C’è una differenza profonda tra le vertenze sindacali di oggi con quelle passate. E c’è n’è ancora di più tra settori merceologici differenti. Da un lato l’intensità e la durezza delle agitazioni tradizionali è sensibilmente diminuita mentre dall’altro sono aumentati metodologie e strumenti per raggiungere e sensibilizzare attraverso i media, vecchie e nuove solidarietà.
Nei settori è fondamentale la tradizione e la forza di mobilitazione del sindacato di categoria. Più è autorevole e riconosciuto più ne mantiene la guida, determina tempi e modalità delle iniziative, individua gli interlocutori utili e dosa le forze per poter reggere fino alla conclusione. In sostanza sa cosa occorre fare per accrescere la solidarietà intorno alla vertenza, gestire i rapporti con i media, con la politica e le istituzioni locali.
L’obiettivo è la soluzione migliore possibile della vertenza. Non la lotta in sé. Meno il sindacato è radicato più cede il passo all’estemporaneità delle iniziative, agli umori e alle tensioni altalenanti delle persone coinvolte e alla difficoltà di rappresentare le proprie ragioni all’esterno.
La differenza sostanziale sta proprio nella scelta dell’obiettivo. Nel primo caso, laddove il sindacato è forte e autorevole, si punta a far modificare opinione al management o alla proprietà anche attraverso alleanze e interlocutori istituzionali. Nel secondo caso si attacca a testa bassa l’azienda in sé, la si individua come responsabile in toto della situazione cercando addirittura di rallentarne le vendite o provando ad incrinarne il rapporto con i potenziali clienti. Con il rischio che, alla fine, ci si procura solo una serie infinita di autogol.
La tenuta necessaria e indispensabile per vertenze che abbisognano di tempi lunghi viene meno quando la debolezza intrinseca tende a pararsi dietro alla verbosità aggressiva ma circoscritta all’insulto fine a sé stesso, alla storpiatura dei claim aziendali e a trascinare l’azienda nella sua complessità nel marasma della polemica.
Non distingue gli interlocutori, interni o esterni, non li disarticola, non cerca di separare l’azienda dalla quale si pretendono (giustamente) delle soluzioni da chi, a torto o a ragione, ne rappresenta le determinazioni che si vorrebbero modificare. È un po’ come se ci si rassegnasse in partenza alla sconfitta finale cercando di trascinare con sé tutto il contesto.
Ovviamente chi gestisce il negoziato fa quello che può per barcamenarsi tra la gestione della trattativa finalizzandola ad un obiettivo possibile e lasciare che la parte meno strutturata si sfoghi e pretenda improbabili risultati immediati.
La vicenda Conad/Auchan è molto interessante da questo punto di vista. Auchan era una multinazionale con un perimetro definito, usi e consuetudini chiare, controparti visibili ad occhio nudo. Il sindacato di categoria parlava una lingua comprensibile a tutti dettata da un contratto di lavoro e da un sistema di regole del gioco interpretate da una direzione risorse umane strutturata e da interlocutori locali e nazionali connessi tra di loro in modo tradizionale.
Conad, per ora, non ha nulla di tutto questo. In quasi in ogni negozio ha un imprenditore autonomo e indipendente che, accettato statuto e regolamento è associato al Consorzio, ha una struttura centrale dedicata alla gestione del personale con compiti più di coordinamento e di indirizzo perché ogni cooperativa ha la sua struttura i suoi usi e le sue consuetudini e se non ricordo male sotto quel cielo (compreso BDC e la sede Conad di Bologna) esistono anche tutti e quattro i contratti nazionali della distribuzione moderna. L’esatto opposto della struttura di Auchan. Difficile intendersi.
La differenza è che la struttura Conad, il suo modello, la sua flessibilità organizzativa, la sua capacità di presidiare il territorio e la sua originale interpretazione di un servizio di qualità al consumatore l’hanno trasformato in un modello vincente. L’altro in un modello sconfitto.
Per chi è in arrivo da Auchan, intere filiali o singoli collaboratori, c’è la necessità dunque di un cambiamento epocale. Di approccio, mentalità, interlocuzione sindacale e di comportamento. Leggendo alcune esternazioni sui social viene da pensare che in Auchan vigeva una informalità di linguaggio nei confronti dei vertici aziendali che non credo funzioni in Conad. Anzi.
C’è un riorientamento culturale da predisporre che dovrebbe accompagnare l’integrazione che se non attivato potrebbe riservare amare sorprese per molti. Da una parte e dall’altra. E se questo vale per i PDV, figuriamoci per le sedi dove le differenze non sono, credo, sulle competenze professionali richieste (sicuramente molto presenti negli ex Auchan) ma nella loro impiegabilità nel contesto delle cooperative dove, probabilmente, sono ritenute difficilmente integrabili. Vero o non vero, purtroppo, poco importa. Difficile cambiare idea.
Quello che, a mio parere, non è accettabile, è che non venga data nemmeno la chance di potersi candidare attraverso un semplice job posting interno. E questo determina pregiudizi reciproci. Ovviamente in sede è solo il ricorso al ricollocamento esterno che può dare risposte numericamente credibili.
Bene l’apertura della mobilità incentivata, bene gli accordi con le regioni, bene l’opportunità di sottoporre un elenco di potenziali candidature ai possibili partner subentranti, bene il ricorso all’outplacement con società serie con risultati di ricollocamento certificati.
Personalmente credo che su questo ci sia un ritardo da recuperare. È interesse di tutti che non si sprechi tempo prezioso fondamentale per attenuare il disorientamento e le tensioni che nelle sedi sono inevitabilmente concentrati più che altrove.
Occorre muoversi proprio perché la prospettiva, in quelle situazioni, è già segnata. Questo lo sanno ormai tutti gli interlocutori coinvolti. Lasciarle al proprio destino non dovrebbe essere nemmeno interesse di Conad perché è anche lì che si gioca una parte importante della credibilità dell’intera operazione. E questo Conad lo sa benissimo. Io ne sono convinto.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…
…La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Mario la tua lucida e realistica analisi credo abbia solo un passaggio incompleto: “Bene l’apertura della mobilità incentivata, bene gli accordi con le regioni, bene l’opportunità di sottoporre un elenco di potenziali candidature ai possibili partner subentranti, bene il ricorso all’outplacement con società serie con risultati di ricollocamento certificati.” Ecco, di tutto ciò non c’è ne traccia ne info, ne tanto meno tempi di attuazione…
Ciao Antonio,
Le prime due mi risulta siano in corso (apertura mobilità incentivata in Lombardia, per ora, e accordi con alcune regioni) la terza (candidature ai partner possibili) è stata annunciata da Pugliese in conferenza stampa. Credo ne sia convinto. Altrimenti non avrebbe avuto senso annunciarlo. L’outplacement è nell’accordo con Manageritalia. Non ancora per gli altri perché non è stato recepito in nessuna accordo. Occorrerebbe farlo. La mia valutazione pur positiva è che occorre muoversi. Ma questo dipende dalle parti. Per questo continuo ad insistere.
Vorrei sapere quanto prende al mese da Conad per scrivere questi articoli, noi ex dipendenti Auchan gli abbiamo dato diversi appellativi, tra cui “editore personale di Pugliese” una volta almeno una volta si legga i resoconti degli incontri tra le parti o interisti uno dei segretari nazionali, giusto per avere un’idea imparziale della vertenza, perché lei è tutto fuorché imparziale. Complimenti per il suo articolo ancora una volta firmato Conad.
Nulla. Seguo con passione questa vertenza esprimendo solo le mie idee. Vedo che la cosa a lei non piace. Altri suoi colleghi lo apprezzano. Continui a seguirmi. Sto per scrivere un altro articolo proprio su questo argomento. Buona giornata.