La prima fase del negoziato sindacale si è chiusa purtroppo con un nulla di fatto. Era prevedibile. Troppo complessa e improvvisa un’operazione che ha risvolti economici, organizzativi e sociali mai accaduti nel nostro Paese. Foriera di incognite sotto diversi punti di vista. E altrettanto prevedibili le reazioni pavloviane dei sindacati di categoria di fronte ad un evento di queste dimensioni e fuori dalla loro portata.
Molti osservatori superficiali l’hanno frettolosamente ridotta ad una mera operazione speculativa condotta con spregiudicatezza sia dalla multinazionale francese ormai pronta alla fuga dal nostro Paese che da Conad con alla testa Francesco Pugliese alleato con Raffaele Mincione. C’è anche questo ovviamente. Ma c’è ben altro.
Il futuro della GDO passa anche attraverso queste operazioni. Le concentrazioni sono necessarie per crescere rapidamente in un contesto complesso come quello italiano caratterizzato da un tessuto imprenditoriale particolarmente stratificato. Per Conad quindi un’operazione necessaria, determinante per il suo riposizionamento. Così come aver assunto con responsabilità il ruolo di perno centrale della riassegnazione a terzi della parte di Auchan che non era comunque destinata a restare nel Consorzio senza scatenare un’asta speculativa.
A chi avrebbe preferito assistere in poltrona al destino già scritto della multinazionale francese o fatica ancora a comprendere il termine “salvataggio” declinato in questa situazione basterebbe ricordare la vicenda Mercatone Uno e cosa avrebbe significato uno spezzatino di queste dimensioni gestito da un commissario completamente fuori dalle logiche della GDO. A meno che non si pensi più ingenuamente che Auchan sarebbe stata disponibile a gestire in prima persona la ritirata. I risultati sarebbero stati ben più drammatici per i dipendenti e non solo. A monte e a valle.
Ai profeti e ai nostalgici dell’improbabile, quando si parla di occupazione, andrebbe sempre ricordato che fra più azioni possibili, si deve sempre scegliere quella la cui conseguenza peggiore è comunque migliore delle conseguenze peggiori di tutte le altre azioni. Ma tant’è.
La conferenza stampa del 18 dicembre e lo sciopero dichiarato proprio il 23 dicembre per provocare il maggior danno possibile hanno sancito in modo plastico la distanza ancora presente tra le parti. Così come dimostra la querelle in rete sulle responsabilità sindacali in Auchan.
Conad ha oggi davanti due strade. O sceglie di completare il percorso perseguendo fino in fondo la strategia impostata fin dall’inizio dai suoi avvocati e consulenti o si ferma a riflettere sulla possibilità di percorrere altre opzioni se si dimostrassero praticabili. Nel primo caso sarà inevitabilmente preclusa la possibilità di un accordo con il sindacato confederale di categoria unitariamente inteso.
Dopo aver siglato l’accordo sui dirigenti con Manageritalia e un preaccordo complessivo con UGL è difficile pensare ad una disarticolazione netta del fronte confederale senza un deciso passo in avanti. Ho avuto modo di seguire in differita i comizi del 23 dicembre dove si sono ascoltate differenze profonde e aperture interessanti che, se colte e approfondite, potrebbero cambiare segno al negoziato.
Nel sindacato c’è ancora chi si illude che Conad possa convincersi ad accettare cultura, relazioni sindacali e approccio organizzativo sul modello di Auchan o di realtà completamente diverse dal Consorzio e dai suoi soci ma c’è anche chi ha capito benissimo che questo pio desiderio non ha alcuna possibilità di successo.
Questa non è una vicenda destinata a risentire più di tanto delle agitazioni classiche, pur legittime e comprensibili, promosse dai sindacati. L’asimmetria negoziale in campo è evidente. L’operazione non cambierà segno, Conad non può essere obbligata a fare nulla che ne possa compromettere il futuro, il Governo non è in grado di imporre una soluzione alternativa ma solo mettere a disposizione la strumentazione di legge, i potenziali partner delle possibili soluzioni alternative devono passare comunque dal Consorzio e gli esuberi, alla fine, saranno sicuramente meno di quelli oggi evocati con il rischio per loro di essere dimenticati e rimossi in breve tempo da tutti (media, politica, istituzioni) in considerazione del numero complessivo che resterà scoperto rispetto a quelli che troveranno comunque una soluzione.
La partita quindi non si gioca sulle prove muscolari né sui social o sulla quantità di danno che si può infliggere ad un tessuto organizzativo e commerciale già allo stremo per conto suo ma sulla dose di realismo necessario da mettere in campo su ciò che è ancora possibile fare per l’occupazione eccedente, sulle assunzioni di responsabilità reciproche che tengano i riflettori accesi sul percorso per tutto il tempo necessario e infine sulla qualità della gestione di chi sarà destinato comunque ad occuparsi del ricollocamento esterno.
Conad è quindi ad un bivio. Potrebbe continuare a considerare troppo rischiosa l’ipotesi di scommettere sulla possibilità di un’intesa sindacale che potrebbe destabilizzare il proprio mondo e quindi decidere di andare fino in fondo seguendo le indicazioni dei suoi consulenti. La meta è ormai relativamente vicina e ci si può arrivare anche da soli chiudendo la partita con chi sta fuori dal perimetro del negoziato confederale e riducendo al massimo gli esuberi. D’altronde la disponibilità concreta ad un’accordo sindacale realistico per entrambe le parti, ad oggi, non è per nulla scontata. È dunque possibile la prova di forza ma, per quanto possa valere la mia opinione, la considererei una scelta sbagliata. Non c’è solo un problema di tempi e di inevitabilità delle conseguenze.
A fine gennaio si capiranno meglio due aspetti importanti. Le deliberazioni dell’antitrust definiranno il perimetro Conad e ciò che dovrà essere ceduto o chiuso. Quindi la vera necessità di assorbimento dell’occupazione collegata. Il secondo elemento di chiarezza potrà arrivare dai partner individuati disposti a investire negli spazi lasciati dalla riduzione degli Iper e il loro contributo occupazionale. Gli stessi progetti sugli Iper saranno più comprensibili. I numeri degli esuberi più precisi.
A quel punto ci si potrebbe concentrare sulla soluzione necessaria ai due problemi principali. La verifica concreta della disponibilità dell’universo Conad all’assorbimento locale di parte delle eccedenze e il problema delle sedi. Dando per scontato che un contributo del sistema a parità di professionalità e di costo potrà esserci resterebbe aperta la necessità di concentrarsi sulle sedi e sui veri punti di crisi sul territorio.
Senza considerare il contributo seppur minimo che può mettere in campo il gruppo Auchan se sollecitato dal MISE, gli incentivi per le dimissioni e i repechage del sistema stesso di candidature specifiche è possibile strutturare un progetto di ricollocamento esterno con protagonisti i firmatari dell’accordo e con un braccio operativo da costruire in BDC in grado di rapportarsi con le società di OTP selezionate e i livelli istituzionali preposti. Aggiungo che le organizzazioni di rappresentanza se coinvolte potrebbero supportare questa fase mettendo a disposizione i loro centri formativi.
C’è spazio per un intesa. Occorre però cercarla con la massima determinazione possibile. Almeno provarci fino in fondo. In questo modo Conad potrebbe voltare pagina più rapidamente e concentrarsi sul suo futuro accompagnando però, con la convinzione necessaria, il processo di ricollocazione delle persone che ragionevolmente non credo impegnerebbe più di un anno.
Per Conad una sfida nella sfida, un’obbligazione di mezzo che ne confermerebbe il tratto più sociale al di là delle polemiche preventive e pretestuose che hanno caratterizzato questa fase. Io resto ottimista.
Il 30 di ottobre, sollecitato da un interlocutore attento ho declinato il mio pensiero con un tweet. “Continuo a pensare che gli esuberi dovrebbero essere proposti all’intera GDO anche studiando nuove formule di accompagnamento, distacco e sostegno. Però la vicenda necessiterebbe di interlocutori seri e non burocrati”.
Una proposta analoga che guarda alla crisi dei formati dell’intera GDO l’ha lanciata lo stesso Francesco Pugliese. Serve passione per il proprio lavoro, convinzione, fiducia negli interlocutori e rispetto delle persone coinvolte loro malgrado. Su queste basi, a mio modesto parere, varrebbe la pena provarci. Ci guadagnerebbero tutti.