Tutti i riflettori restano puntati su Conad ma il 2020 a mio parere riserverà anche altre sorprese. Le realtà più performanti sono alla ricerca di nuove identità e la GDO rimasta sostanzialmente orfana dei “grandi vecchi” che l’hanno costruita e condotta dalla seconda metà del novecento, sta cambiando pelle.
Le diatribe tra Bernardo Caprotti e le Coop sembrano ormai un residuato di un’epoca di aggressività tra insegne che oggi non ha più ragion d’essere. La “sua” Esselunga è ad un bivio. Presto la parte della famiglia che ne detiene la maggioranza, per volere espresso nel testamento del patron che l’ha costruita, dovrà liquidare il resto degli eredi. Non sarà un’operazione indolore. Non occorrono grandi esperti per capire che all’azienda più performante della Grande Distribuzione italiana questa vicenda potrebbe cambiarne la prospettiva. Nello stesso testamento, Bernardo Caprotti auspicava la cessione indicando addirittura il profilo migliore e più adatto per garantirne la continuità. Una continuità che rischia di non essere una prospettiva rassicurante visto il contesto competitivo.
Fino a pochi anni fa la cessione ad una multinazionale della GDO sarebbe forse stata vissuta diversamente. All’orizzonte i giganti della rete inducono tutte le imprese del comparto alla riflessione e la stessa ritirata prima di REWE (discount a parte) e poi di Auchan raffigurano scenari poco rassicurati per una cultura imprenditoriale che ha fatto la sua fortuna quando i cosiddetti competitor dall’altra parte erano piccoli bottegai difesi strenuamente da Confcommercio e da Confesercenti già in crisi per il costo degli affitti, le tasse, alle prese con difficili passaggi generazionali e amministrazioni locali alla ricerca di consenso e di risorse economiche.
Oggi lo scenario competitivo è ben diverso. All’espansione quantitativa tradizionale in grado di coprire molte limiti strutturali fa premio la capacità di cambiare, di innovare, di muoversi rapidamente, di concentrarsi per generare le risorse economiche indispensabili per competere.
Il gioco oggi è cambiato e top manager veri, esperti di navigazione in acque difficili si contano sulle di una sola mano. Per molti altri è già un enorme successo se non distruggono il lavoro di chi li ha preceduti. L’innovazione e il contesto competitivo non sono alla portata di tutti. Occorre concentrarsi, sviluppare nuovi rapporti win win nelle filiere, agire localmente ma saper pensare globalmente. Innovare formati e servizio al cliente.
A differenza di altri comparti economici nella GDO ci si continua ad confrontare strada per strada ma occorre anche sapersi attrezzare per guardare lontano altrimenti si verrà risucchiati nel gruppo dei follower e spinti ad avvitarsi su sé stessi nella classica spirale fatturati-costi-margini dall’epilogo scontato. Con esiti immaginabili sull’occupazione tradizionale.
Conad e pochi altri lo hanno solo intuito tra i primi. Con quello che a prima vista è apparso un azzardo complesso il Consorzio ha rotto gli schemi di un mondo un po’ provinciale e da sempre rinchiuso dentro le proprie logiche. Ma, come sempre, quando muovi un tassello importante modifichi, più o meno consapevolmente, il quadro di riferimento per tutti.
Non c’è solo un modo per crescere. Ci sono le multinazionali già presenti che si stanno riorganizzando, altre che ancora lontane stanno cercando di capire come entrare nel nostro mercato, altre realtà ancora che si mettono insieme con le formule più varie.
Nessun formato è mai di per sé finito. Per quelli declinanti occorrono idee nuove ma anche per quelli in crescita c’è comunque la necessità di consolidarsi, di innovare e di pensare al dopo. Il mercato italiano è tra i più difficili ma continua a far gola a molti. E per chi non vuole restare con il cerino in mano la cessione dell’azienda è un’opzione realistica.
Anche per un’azienda performante come Esselunga. Gli eredi portano sulle loro spalle una enorme responsabilità. Fare quello che è giusto pensando al futuro di ciò che il patron Caprotti ha costruito o pensare ai propri interessi personali? O trovare un giusto compromesso?
Già oggi tenere in panchina uno dei manager/imprenditori più interessanti e innovativi della GDO come Giuseppe Caprotti per evidenti questioni familiari non è certo, a mio modesto parere, una scelta lungimirante. Ovvia, certo, ma da cui non può nascere una altrettanto disponibilità ad una soluzione che metta al centro il futuro dell’azienda e non le legittime aspettative economiche di ciascuno degli eredi. La schermaglia sul nuovo formato “Esse” proposto a Milano segnala una incompatibilità difficile da ricomporre.
E questo non è un bene. La narrazione proposta che accompagnerà questa inevitabile divisione sarà certamente rassicurante. Speriamo solo che la realtà coincida con le intenzioni. Vedremo se Esselunga sceglierà la quotazione in Borsa o la cessione. In questo ultimo caso i pretendenti esteri saranno diversi. E tutti agguerriti.
A mio parere un’occasione persa. Il nostro Paese avrebbe bisogno di un grande player nazionale forte e radicato nei territori che però sappia guardare al mondo. Alfiere del Made in Italy e trascinatore dell’intera filiera.
Bernardo Caprotti in una bellissima lettera a Carlo Sangalli affrontò da par suo l’argomento della mancata scelta di affrontare i mercati esteri di Esselunga. Ringraziò ironicamente il Presidente di Confcommercio per averlo impegnato in una lotta durissima sulle autorizzazioni nei singoli territori così da tenerlo lontano dall’accarezzare progetti di internazionalizzazione per la sua azienda.
Scelta forse allora inevitabile ma che ha contribuito a lasciare il campo libero alle multinazionali sui mercati internazionali. Anche per la promozione dei nostri prodotti.
Riprenderla oggi nelle formule più innovative e performanti potrebbe essere importante e strategico per la nostra economia agro-alimentare-industriale?
Io credo di si.