Piccolo commercio e strumentalizzazioni pseudo ambientaliste

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Quando si parla di commercio (piccolo o grande che sia) sul piano del suo contributo alla vivibilità di una città  prevale uno strano modo di ragionare. È come se le stagioni ne dovessero influenzare gli argomenti. In primavera-estate prevale la consapevolezza che il commercio resta un presidio che frena la desertificazione delle periferie e dei centri storici.

Se ne sottolinea il ruolo sociale spesso in alternativa alla grande distribuzione per chi vive nelle città, se ne salvaguardia l’autenticità e l’utilità per l’intera comunità. Si evita accuratamente di parlare dei problemi che lo affliggono e delle soluzioni possibili per rilanciarlo. Ci si limita a contrapporlo alla grande distribuzione o ai giganti della rete. Come se il problema fosse lì.

Non si affrontano temi cruciali come la crescita degli affitti nei centri storici, la questione fiscale e nemmeno la difficoltà nei passaggi generazionali. O come attrarre i giovani per rilanciare  tutti i mestieri collegati. E se questo a livello nazionale è un problema fortunatamente a Milano e in Lombardia  il rapporto tra le associazioni dei commercianti, a cominciare da Confcommercio, e le istituzioni è fortunatamente positivo, attento e collaborativo.

Dal Politecnico del Commercio che sforna addetti ai più svariati mestieri sostituendosi alle carenze dell’istruzione professionale, alle iniziative per migliorare l’immagine e il contributo dei commercianti alla vivibilità fino alle iniziative che coinvolgono addirittura a livello di via o di quartiere e che segnalano un rapporto tra associazione di rappresentanza, Comune e Regione costruttivo e sempre improntato a trovare le soluzioni ottimali per i commercianti e la città.

Quando arriva la stagione fredda non cambia solo il clima metereologico. Qualcuno cerca di mettere artificiosamente in crisi il clima sociale mettendo un intero comparto sul tavolo degli accusati. Eppure sul tema del contributo alla riduzione dell’nquinamento ambientale questa collaborazione stava dando i suoi frutti con la decisione di adottare le cosiddette “lame d’aria” nei negozi che per attrarre la clientela dovessero decidere di mantenere le porte aperte.

Una decisione concordata con le istituzioni comunali che ha un peso economico per i commercianti tesa a dimostrare un livello di sensibilità e di rispetto di un interesse comune come  quello di contenere e ridurre l’inquinamento atmosferico.

Di fronte a questa disponibilità condivisa si è scatenata una bagarre da quella parte della cultura ambientalista che pensa di risolvere i problemi dell’ambiente a colpi di slogan o di irrigidimenti inutili che provocano solo reazioni uguali e contrarie. Il confronto è in corso e le soluzioni individuate.

Confcommercio ha già dato la disponibilità immediata all’adozione delle lame per gli esercizi sopra gli 80 mq. ma chiede una diversa gradualità tra centro e periferia e un sostegno per gli esercizi già messi in crisi dai cantieri della metropolitana. Il sindaco Sala, correttamente, ha chiesto solo di accelerare il processo chiedendo di formalizzarne gli impegni in tempi certi. Un altro segnale di collaborazione costruttiva.

L’ala più intransigente dell’ambientalismo milanese è però alla ricerca di visibilità. Dopo la protesta del taglio degli alberi al parco Bassini e al nervosismo sul progetto del nuovo stadio, si è lanciata in questa inutile contrapposizione che rischia solo di creare un irrigidimento che non risolve il problema e di distrarre i cittadini dalle diverse cause che fanno affrontate con una strategia di lungo termine e non con risposte dettate da esigenze tattiche e di competitività nella compagine amministrativa della città.

Il sindaco Sala ha già dato prova di saper contenere queste spinte che più che aiutare a trovare soluzioni che consentano a tutti di fare la propria parte rischiano solo di creare problemi o di rinviarli all’infinito. Pretendere la chiusura delle porte anche per quelle attività che le ritengono fondamentali per il loro business quando gli studi promossi congiuntamente hanno dimostrato che le cosiddette “lame d’aria” possono ridurre fortemente il problema è un inutile accanimento che non porterà a nulla.

La città ha bisogno di sintesi positive e condivise. Una comunità ha la sua ragion d’essere se non alimenta contrapposizioni ma individua le soluzioni possibili. Il piccolo commercio porta già sulle sue spalle una serie di pesi e di vincoli pesanti che ne minacciano la competitività. Non credo che sia cosa saggia esasperarne gli animi. Soprattutto su un tema dove le strumentalizzazioni politiche e le contrapposizioni sono all’ordine del giorno.

 

p.s. La fotografia che ho scelto è un omaggio ad una persona che ho avuto la fortuna di conoscere, Dino Abbascià, che ha dedicato la sua vita all’Unione del commercio  di Milano.  RIP
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