In tempi di Coronavirus ci siamo accorti (forse per la prima volta) dell’importanza di alcuni lavori. Dagli ospedali alle forze dell’ordine. Non di meno di chi sta nei campi a chi immagazzina, trasporta le merci e le trasforma nelle fabbriche fino alle commesse nei negozi alimentari, piccoli e grandi.
Grazie a loro abbiamo attraversato i momenti più acuti del lockdown e siamo arrivati fino ai giorni nostri. La solidarietà verso di loro dell’intera popolazione è stata unanime e sincera. Il loro ruolo riconosciuto. Il loro impegno, ben oltre la prestazione ordinaria. Personalmente spero che questa riconoscenza trovi un riconoscimento anche nei prossimi rinnovi contrattuali che li coinvolgono, nei sistemi premianti e nella modifica dei regimi fiscali che li penalizzano.
L’avvicinarsi delle probabili riaperture delle attività economiche sposta inevitabilmente il focus anche su altre attività. Porta in emersione quella parte del lavoro che le chiusure forzate hanno messo in secondo piano. Alle vere e proprie tragedie di uomini e donne altrettanto invisibili.
Se per i primi si sono forse utilizzati paragoni forti, a volte esagerati, per i secondi sembriamo rassegnati a considerarli, purtroppo, effetti collaterali della pandemia.
Parliamo di milioni di persone che rischiano il loro futuro. Piccoli imprenditori con i loro dipendenti, lavoratori di aziende già in crisi, partite IVA, titolari di attività che i tempi e la profondità della situazione di cui sono incolpevoli spettatori e protagonisti vengono nascosti alla vista.
Ma mentre nel primo caso l’invisibilità ha lasciato il passo alla loro indispensabilità nel secondo caso il rischio vero è che dietro i freddi codici Ateco si nascondono persone in carne ed ossa e che, questa invisibilità, è drammaticamente individuale.
Quando parliamo di piccole attività commerciali, turismo, professioni, artigiani, piccole cooperative parliamo della vivibilità della nostro società. Di vita nei quartieri delle nostre città, di relazioni tra generazioni e persone. Certo parliamo anche di PIL.
Ma, a mio parere, non è solo questo il punto. Molti si interrogano sul “dopo”. E tutti convengono che tante cose dovranno cambiare. Ma il “dopo” lo costruiamo solo se abbiamo una visione a 360° della società che vogliamo costruire o ricostruire. E tutte queste attività hanno un valore sociale che va al di là del PIL che generano. E comprendono milioni di persone che rischiano una altrettanta invisibilità nella fase della “ricostruzione”.
Le loro associazioni si stanno comportando bene. Sicuramente in modo responsabile e costruttivo. Ma questo non deve far pensare che il problema sia minore rispetto ad altri comparti economici. Dietro le attività collegate al commercio, al turismo e alle professioni e a quant’altro di simile c’è un mondo che sta soffrendo due volte. L’aspetto economico è evidente, pressante, indiscutibile ma dietro c’è la grande preoccupazione di poter avere un dopo. Di potersela almeno giocare. Di trovare la forza per ricominciare.
Slogan come “andrà tutto bene”, “ce la faremo” vanno sempre bene. Ma non raccontano fino in fondo ciò che avviene dentro le persone quando si guardano allo specchio. Quando sono sole con il loro problema.
Negli interventi dei loro leader associativi questo aspetto si percepisce nettamente. Sottolineo con forza l’aspetto associativo perché questa crisi dimostra che da soli non si va da nessuna parte. I sindacati per il loro ruolo, le associazioni di impresa, l’intero mondo dell’impegno sociale e del volontariato hanno ripreso la loro centralità sia come interlocutori delle istituzioni ma anche come punto di riferimento vero di tutto ciò che dal basso deve trovare uno sbocco democratico pur nella confusione e nella difficoltà delle scelte che attendono il Paese.
L’importanza dell’associazionismo è un tema determinante e centrale nella fase della ricostruzione post Covid-19. Attenzione a sottovalutarlo. Non si esce da questa situazione senza un’interlocuzione forte tra istituzioni, politica e associazioni rappresentative.
La litigiosità tra forze politiche in questo momento è un lusso che, purtroppo, non possiamo permetterci. E le grandi confederazioni hanno una rappresentatività reale derivata dalla loro conoscenza dei problemi ma soprattutto perché sono un vero punto di riferimento vero delle persone.
Sottovalutarne il ruolo e le proposte significa aprire inconsapevolmente scenari ben più complessi per il futuro del nostro Paese. È vero. Dobbiamo riuscire a vincere questa prova ma dobbiamo farlo cercando di non lasciare indietro nessuno. E soprattutto rafforzando i meccanismi della democrazia e della partecipazione.