Covid-19. Niente sarà come prima è una speranza o una minaccia?

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Dopo “andrà tutto bene” nella classifica delle frasi ad effetto di questi tempi metterei “niente sarà più come prima”. Entrambe segnalano una semplificazione di una storia della quale pretendiamo di comprenderne il finale. Sono due facce della stessa medaglia. Il finale o meglio la qualità della ripartenza e quindi del nostro futuro prossimo lo stiamo scrivendo in queste settimane. Facendo o non facendo quello che potrebbe servire a dare un contenuto realistico alle due opzioni.

Per una parte del Paese non “andrà tutto bene”. Comunque. E per loro “niente sarà come prima” è una constatazione realistica più che un semplice argomento da convegno. Coloro i quali oggi sono inscrivibili d’ufficio tra i garantiti (pensionati, settore pubblico, chi può lavorare,  ecc.) sono portati ad osservare il bicchiere mezzo pieno. Faticano a percepire che il conto arriverà anche a loro. E che sarà salato.

Avendo vissuto il lockdown come un intermezzo scomodo ma necessario immaginano un “dopo” molto simile al “prima”. Tutti gli  altri, il bicchiere, se lo vedono, lo percepiscono drammaticamente vuoto. Dario di Vico centra il punto sul corriere (https://bit.ly/2y5jsGR). Il rancore sociale cresce ma non trova, al di là delle retorica pubblica che lo accompagna, un punto di riferimento in grado di fornirgli uno sbocco credibile. C’è comprensione, rispetto, richieste di indennizzo più o meno credibili ma non c’è dietro una strategia convincente. È la demagogia a favore di telecamera che scatta puntualmente  in questi casi.

È un rischio che corrono le stesse organizzazioni di categoria. Il punto vero è che nessuno sa cosa c’è dopo. E quindi l’unica strategia possibile è ripartire dai fondamentali. Tutto ciò che è accessorio, pur sovvenzionandone il declino o la ripartenza per chi sarà in grado di farcela, non avrà la stessa priorità.

Il terziario di mercato si trova di fronte alla sfida più complessa da quando ha assunto un perimetro definito. Settori e sottosettori messi a dura prova dalla realtà. Per questo trovo privo di senso la discussione sulla invocata riapertura dei ristoranti o dei bar pur con la metà dei clienti però dotati di tutte le protezioni del caso.

Ricostruzioni da far invidia ai plastici di Bruno Vespa che oltre ad essere respingenti non tengono conto del conto economico di quelle attività. Così come pensare a code ordinate nelle ore di punta delle stazioni milanesi senza alcun collegamento agli orari di lavoro delle imprese, alla loro produttività, al traffico collegato. Ma anche alle consegne a domicilio, all’e-commerce, ai costi di gestione dei supermercati che presto ritorneranno d’attualità nella loro crudezza.

È evidente che la pazienza e il rancore, strumentalizzabile o meno, procedono di pari passo con il sostegno al reddito. Se questo viene assicurato la tensione resta gestibile. La verità è che i cambiamenti e le innovazioni prevedono tempi lunghi. L’accelerazione di queste settimane illude e mostra scorciatoie impraticabili. Alcuni certo troveranno risposte altri saranno travolti. Mancano all’appello proposte serie.

E qui vedrei bene un compito nuovo delle associazioni di rappresentanza nel saper individuare e proporre soluzioni che vadano al di là dei pur fondamentali indennizzi. Mi immagino che le task force chiamate ad ipotizzare il dopo affrontino le problematiche della ripresa dei diversi settori economici. A loro andrebbero presentate proposte credibili che ipotizzano modalità e tempi necessari ai cambiamenti richiesti. Fisco, costi generali, investimenti necessari, innovazioni richieste alle imprese e quali indennizzi per chi non sarà comunque  in grado di farcela.

Non vedo alternative. Non ci sono esperti esterni in grado di formulare proposte per i diversi sottosettori specifici. E, in mancanza di proposte, prevarrà una logica darwiniana. Così come non basta certo pensare che il blocco dei licenziamenti possa essere posticipato di due mesi in due mesi né che ciò che si decide ad esempio per i mezzi pubblici non abbia ripercussioni sui modelli organizzativi e la produttività delle imprese di un determinato territorio. E che tutto questo non abbia effetto sull’occupazione.

Non credo a fughe in avanti. Ad affascinati discussioni che portano ad inevitabili decrescite più o meno felici. Credo nella partecipazione e nel confronto tra interessi ed esigenze diverse all’interno di priorità condivise. La rappresentanza sociale ed economica è chiamata a questo sforzo.

Chi vi si sottrae pensando di vellicare il malcontento non farà molta strada. Il “dopo” anche per sindacati e imprese non è per tutti. In questo “niente sarà più come prima” assume un valore in sé e la sfida diventa importante per chi la accetta. Per tutti gli altri, rappresentanze comprese,  il destino è già segnato. È solo questione di tempo…

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