Una certezza è che verrà prorogata la CIG-Covid per altre settimane. Il divieto di licenziamento per giustificato motivo continuerà per altri 3 mesi quindi fino al 17 agosto. Probabilmente questo determinerà altra CIG. Andrea Malacrida AD di Adecco Italia parla di tre milioni di posti di lavoro a rischio. Solo i mancati rinnovi dei CTD cubano 1,5 milioni di persone circa. La mancanza di politiche attive e di orientamento sulla formazione possibile in CIG ci presenterà inevitabilmente un conto salato sul piano occupazionale.
Per rimediare a questa situazione bisognerebbe attivarsi immediatamente non già limitandosi a prevedere nuovi sussidi. Nel commercio e nel turismo le imprese a rischio sono circa 270 mila. Molte di queste imprese non potranno riprendere alle condizioni ipotizzate. I costi di gestione non giustificano le riaperture con le misure di distanziamento previste.
Né è pensabile sostenere economicamente queste imprese in attesa di tempi migliori. La stessa Grande Distribuzione era già attraversata, prima del Covid-19, da processi di riorganizzazione soprattutto sui grandi formati e nei comparti non alimentari soggetti alla concorrenza dei player della rete. A questo occorre aggiungere che i contratti nazionali presenti in molte categorie sono scaduti da tempo e non sembrano ipotizzabili rinnovi a breve. Aggiungo che il rischio di una nuova rincorsa al ribasso tra i diversi contratti applicabili come quella che ha caratterizzato i rinnovi passati è una opzione più che evidente.
Come uscirne?
Personalmente pur essendo un “pattoscettico” per esperienza non vedo alternative ad un confronto tra le parti sociali che metta al centro le necessità concrete delle imprese e dei lavoratori. In una situazione eccezionale non sono sufficienti strumenti ordinari. Oggi le parti sociali sono impegnate a tutelare i propri associati nell’emergenza. Il rischio è che, nel tirare la coperta dalla propria parte, ci si concentri sul presente e sulle condizioni della ripartenza e non sulle conseguenze inevitabili e innestate da questa situazione.
Pensare di gestire gli effetti del Coronavirus utilizzando esclusivamente ciò che abbiamo a disposizione per le crisi di azienda o di settore non porterà da nessuna parte. Occorrerebbe fissare delle priorità credibili a livello confederale che modifichino sostanzialmente la natura, i contenuti e gli obiettivi della legislazione in materia e dei contratti nazionali adattandoli alla eccezionalità della situazione. Con tre obiettivi.
Innanzitutto la “retribuzione di ripartenza” che andrebbe riposizionata ad una quota situata tra il valore della CIG covid e i parametri stabiliti nei contratti per un periodo variabile e legato alla ripresa dell’attività delle singole impresa. Questo con l’obiettivo di contenere i costi e salvaguardare la massima occupazione possibile. Molti non si rendono conto che il prezzo di questa ripartenza non può essere semplicemente scaricato solo su chi non è previsto.
Per chi non potesse rientrare subito in azienda o chi è destinato comunque a perdere il posto di lavoro perché la sua impresa è destinata a chiudere occorrerebbe mettere in campo un progetto di politiche attive che agevoli il reinserimento nelle imprese ma anche il riorientamento dei singoli lavoratori.
Enti bilaterali, fondi interprofessionali e risorse aggiuntive potrebbero contribuire a finanziarne i progetti. Infine la possibilità di impiegare i fruitori della CIG Covid in attività a tempo determinato di pubblica utilità o propedeutiche a creare nuove opportunità di lavoro per chi accetta di mettersi in gioco. Un accordo interconfederale è necessario per fotografare l’eccezionalità della realtà e individuare gli strumenti necessari.
Rassegnarsi a centinaia di migliaia di disoccupati giustificandoli con la profondità della crisi e le difficoltà della ripartenza significa pensare possibile scaricarne il costo su una parte della popolazione. Quindi occorre darsi, a mio parere, tre obiettivi. Flessibilità del sistema, costi gestibili per lo Stato e per le imprese, strumenti vecchi e nuovi con un tasso maggiore di partecipazione.
Abbiamo ascoltato con grande attenzione i virologi sulla gestione della pandemia e ne abbiamo accettato i consigli, abbiamo compreso che una situazione straordinaria rende necessario il ricorso a strumenti straordinari. Non possiamo pensare che la ripartenza del mondo del lavoro possa avvenire come se nulla fosse capitato e alle condizioni precedenti.
Ovviamente a questi sacrifici andrebbero chiamati tutti i cittadini attraverso le forme che saranno ritenute più idonee. Ma la ripresa del lavoro non può assegnare un semplice ruolo di spettatori alle parti sociali scaricandone l’intero costo sulle imprese che non ce la faranno e ai loro lavoratori. Pur con forme di sostegno assistenziale e limitato nel tempo. Occorre fare di più.
Purtroppo le conseguenze sull’occupazione e sulla vitalità del nostro sistema economico ci saranno comunque e ce le trascineremo per anni. Oggi però la sfida che abbiamo di fronte riguarda ciò che possiamo fare per venirne fuori concretamente. È una sfida difficile perché presuppone che ognuno dei soggetti in campo sappia guardare al proprio particolare inserendolo in un disegno generale.
Se così fosse questa crisi ci lascerebbe come eredità qualcosa di importante. Soprattutto ci confermerebbe che i pur legittimi interessi di parte possono trovare sintesi nell’interesse generale della comunità di cui facciamo parte. Perché come ci ricorda Ernest Hemingway “ il mondo ci spezza tutti quanti, ma solo alcuni diventano più forti là dove sono stati spezzati”.