Conad/Auchan. Se non ora, quando?

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È bastata una dose imprevista di complessità aggiuntiva per mandare in crisi molti osservatori. Alcuni, a dire il vero,  non sono mai stati in partita. Succede quando si vogliono esprimere giudizi in campi lontani dalle proprie competenze. Oppure quando si prendono a prestito pregiudizi altrui.

La vicenda Conad/Auchan sotto questo punto di vista è stata paradigmatica. Da una parte il declino di quella che è stata un grande azienda multinazionale presente nel nostro Paese da oltre trent’anni. Dall’altra la voglia di inserirsi in questo declino di un’importante insegna italiana per provare ad accelerare la propria crescita. Una sconfitta per chi se ne è andato, un incubo per chi è lasciato su terreno. Un sogno che si realizza per chi subentra: confermarsi come primo player della Grande Distribuzione nazionale.

Quando questi passaggi di mano coinvolgono migliaia di persone i tempi sono generalmente molto lunghi, i piani di presunti rilanci con continui ribaltamenti del management si susseguono a ritmi incalzanti  quindi la metabolizzazione delle inevitabili conseguenze ha modo di maturare “di sconfitta in sconfitta”. Basterebbe qui ricordare l’inarrestabile declino della Standa dalla Montedison a Billa fino alla sua completa dissoluzione e la necessità di importare lo strumento della cassa integrazione  nel comparto del commercio per gestirne le conseguenze.

Nel caso di Auchan questo tempo non c’è stato. Anzi, la sua mancanza ha generato un equivoco gigantesco anche al tavolo negoziale sulla sua consistenza economica, sulla sua capacità di continuare ad esistere come entità a sé stante, sulla sua capacità, indipendentemente dalla proprietà, di mantenere livelli occupazionali pressoché intatti.

Chi ha preferito darsi alla fuga non era certo un branco di sprovveduti. Ha valutato la cessione a prezzi di saldo come il minore dei mali. Sapeva che le conseguenze sarebbero state drammatiche sul piano dell’immagine e per molti collaboratori che al contrario di loro, pensavano possibile continuare a crederci, che non c’era, in sostanza più nulla da fare. Per i francesi era da considerarsi morta. Impossibile da spiegare a coloro i quali ne avevano accompagnato il declino convinti della lealtà dei transalpini e della loro volontà di continuare.

L’equivoco “gigantesco” si è così alimentato con la rabbia di chi è stato abbandonato, la certezza granitica che Il compratore avesse fatto un affare stratosferico, l’inevitabile ridda di voci su tesoretti e speculazioni immobiliari, l’idea, in sostanza, che Conad potesse essere “auchanizzato” ma che il destino cinico e baro avesse disposto altrimenti.

E lì è stato caricato di tutto. I media subalterni, la politica distratta e compiacente, i sindacati conniventi.  E prima che l’esplosione del Coronavirus consegnasse l’esperto  Burioni alla notorietà della rete in una parte di Auchan e per alcuni osservatori poco avvezzi al tema ci si è accontentati delle narrazioni di Burini per alimentare l’illusione che un’altro epilogo di questa storia  fosse possibile.

Dall’altra parte Conad, non appena ha avuto la possibilità di capire la reale consistenza dell’acquisizione, ha dovuto fare i conti con la realtà riconsiderando alcuni entusiasmi iniziali. Dall’antitrust agli interessi dei terzi subentranti, dalle difficoltà di integrazione e di rilancio dei PDV, dal piano industriale sugli ipermercati con gli spazi da ricollocare fino alle difficoltà dell’accordo sindacale.

Tutto questo sicuramente aggravato dall’esplosione del covid-19. Così si è ritornati al via. Come in tutte le realtà complesse che dovendo fare i conti con la realtà che cambia devono rivedere i propri piani, aggiustare tempi e modalità di implementazione. È così dappertutto.

In ogni vertenza importante stabilito un quadro di riferimento “la via si fa con l’andare” come ci ricorda il poeta Machado. Per questo bene ha fatto la Fisascat Cisl a non limitarsi a sottoscrivere l’accordo sulla CIG al ministero ma a restare inchiodata al tavolo negoziale in azienda cercando di controbilanciare l’eccesso di soliloquio aziendale che in questa fase, a mio modesto parere,  andrebbe mitigato. Non è facile e la vicenda cassa Covid lo ha dimostrato.

Il sindacato è un partner fondamentale di queste fasi. Conad, le sue cooperative e i suoi imprenditori hanno fatto una grande operazione. L’ultimo miglio resta però fondamentale. Nessuno è in grado di farlo in solitaria. Questo è il momento di rilanciare.

Condivido ciò che ha detto il sottosegretario Francesca Puglisi: “non ci siamo mai fermati per dare soluzioni e risposte alle urgenze pre-Covid, abbiamo siglato al dicastero l’accordo sulla vicenda Auchan e l’intesa sulla nuova cassa integrazione per Alitalia. Non abbiamo mai mollato i casi esplosi prima della pandemia e gradualmente stiamo intervenendo su ognuno di essi”. Bisogna ripartire da lì. Ricomporre quel tavolo per  andare avanti. Questa credo sia la sfida di oggi.

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