Niccolò Machiavelli c’era arrivato già nel 1513. Nel capitolo sesto del Principe (De’ Principati nuovi, che con le proprie armi e virtù si acquistano) “E debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nimici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene.”
In Italia poi è da sempre lo sport principale. Chiunque è stato in azienda lo ha sperimentato in prima persona. I cambiamenti sono sempre faticosi e gli innovatori contrastati. Vittorio Colao poteva proporre qualsiasi cosa. Il trattamento riservato sarebbe stato lo stesso.
I cacciatori di contraddizioni sono entrati subito in azione. E troveranno certamente elementi per confermare il loro pre-giudizio. Mi ricordano quei documenti politici e sindacali del secolo scorso che dovevano contenere tutto e il suo contrario. Altrimenti venivano criticati duramente da chi aveva comunque in mente di criticarli a prescindere.
Il nostro è il Paese del Gattopardo. Amiamo i pifferai che ci trascinano verso il burrone. Quelli che non ci chiedono di uscire dalla nostra zona di confort. In fondo non vogliamo cambiare. Vorremmo tornare al tran tran precedente la pandemia. Come i criceti sulla ruota. Purtroppo per molti non sarà così.
Certo, il cambiamento costa. Soprattutto per chi non potrà farne parte. Ma Vittorio Colao a prescindere dal lavoro della task force è solo la punta dell’iceberg. Quelli come lui non sono benvisti in un Paese che resiste ad ogni cambiamento. Eppure ci sono in tutti i contesti.
Nella politica, nei corpi intermedi, nelle imprese. Non fanno squadra tra di loro, questo è il punto. E così vincono quasi sempre gli altri. I “consulenti” sono poi una categoria a sé stante. Utili per accompagnare i passaggi più delicati della vita delle aziende ma odiati o boicottati da chi pensa di veder sminuito il proprio ruolo.
Ma anche i Top Manager, se impegnati in fasi di grande cambiamento, hanno sempre vita grama. Sergio Marchionne ne ha vissute di tutti i colori dentro e fuori dall’azienda prima di essere celebrato. Lo stesso vale per molti sindacalisti e per tanti dirigenti nelle organizzazioni di rappresentanza.
“Mai disturbare e soprattutto mai far nulla che possa mettere in discussione l’ordine economico e sociale” come ci ha spiegato Alain Deneault. La mediocrazia impedisce l’emergere degli innovatori. I frenatori hanno un linguaggio suadente. Ricco di “si, però”, “si è sempre fatto così”, “forse non ne valeva la pena” e così via. Ma, attenzione!
Spesso i frenatori più pericolosi sono coloro i quali sembra condividano i cambiamenti. Quelli che non contestano mai la strategia in sé ma la tattica, i tempi, le alleanze. Soprattutto se inevitabili. Sono coloro i quali spiegano alla politica o alle aziende quello che farebbero al loro posto se fossero capaci di farlo.
Frenare e criticare è un mestiere. Alcuni ci campano. Altri ci hanno campato per una vita. Sono subdoli. Insinuano, diffamano, addebitano agli altri quello che loro in prima persona sono disposti a fare pur di sopravvivere. Sono presenti in ogni categoria.
Vittorio Colao era ed è un bersaglio facile. Che questo Paese andrebbe girato come un calzino è evidente a tutti. La logica però accettata deve essere NIMBY (l’importante è non essere coinvolti in prima persona). Sono gli altri che devono sempre cambiare. Solo così si spiega perché un baraccone come Alitalia possa essere tenuto in piedi. È un arma di distrazione di massa. Consente a tutti di partecipare ad un gioco di ruolo.
Oppure temi come la previdenza, la sanità la scuola. Temi da agitare nelle campagne elettorali o nelle interviste. Non problemi da risolvere pensando alle prossime generazioni. Colao ha solo dato un titolo e delle priorità. Tutto qua.
Anche nel comparto che seguo da vicino ci sono i Colao. Quelli che pensano possibile innescare cambiamenti profondi. E altrettanti finti innovatori e critici interessati. Purtroppo i cambiamenti costano. Costringono a cambiare innanzitutto sé stessi e le proprie aziende. Non si può predicare bene e razzolare male. E questo provoca delle conseguenze e degli effetti collaterali cha vanno gestiti con grande cautela perché coinvolgono le persone.
E qui, dal mio punto di vista, si vede la qualità di un management. Andare fino in fondo facendo il possibile per ridurre al massimo le inevitabili conseguenze sugli occupati. E farlo dentro un accordo sindacale che apra al futuro. Questa deve essere la vera missione. E non ascoltare i profeti di sventura.
Perché la sindrome di Totò (quelli che si buttano a sinistra per rendersi visibili o perché nessuno li considera) lascia il tempo che trova quando in gioco c’è il futuro di un’impresa e il risultato di una scommessa importante. Nei passaggi di grande cambiamento occorre visione, pazienza, coraggio e determinazione. Poi basta saper aspettare.
Alla fine sul carro salgono tutti.