La scelta di Federmeccanica e del rispettivo sindacato di categoria di scommettere insieme sul futuro di quel comparto industriale ha rappresentato un segnale importante. Non si affronta un cambiamento radicale come quello che attende le aziende senza un quadro di riferimento condiviso. Certo le imprese del settore avrebbero potuto preferire un rinnovo contrattuale di basso livello cercando di mantenere le mani libere ciascuno nella propria realtà.
Hanno fatto un’altra scelta perché la dimensione e la profondità del cambiamento che le sta attraversando è fuori dalla portata delle singole imprese e dei singoli lavoratori. Certamente dovranno gestire contraddizioni, fughe in avanti o resistenze ma lo scenario nel quale hanno collocato il loro contratto nazionale scommette sulla collaborazione.
I CCNL in rinnovo, scaduti ormai da anni, coprono un arco di tempo nel quale si disegnerà (forse in modo definitivo) la qualità del rapporto tra impresa e lavoro e quindi anche tra impresa e sindacato. Nella Grande Distribuzione la presenza di più contratti nazionali non aiuta a scegliere una direzione di marcia.
Caratterizzati da un sostanziale dumping al ribasso sul costo del lavoro sarà difficile per tutti impostare una nuova rotta. Sui principali contratti (Federdistribuzione, Confcommercio, Confesercenti e Coop) incombono i cosiddetti contratti pirata e molte insegne, soprattutto quelle più piccole, cedute in franchising o localizzate in singoli territori sempre più “ossessionate” dal costo del lavoro non sembrano intenzionate a cambiare registro e la competitività tra associazioni spinge ad alzare vecchie bandierine.
Se saliamo di dimensione resta il problema che il modello di flessibilità adottato e di gestione del personale poco si sposa con la presenza di un sindacato rivendicativo tradizionale. Due esigenze opposte quindi rischiano di scontrarsi. Da una parte un sindacato che non riesce a riposizionarsi definitivamente in termini di credibilità nei confronti delle imprese ed è quindi condannato a subirne scelte e iniziative mentre dall’altra è fuori dubbio che, nei prossimi anni, la GDO dovrà crescere in autorevolezza, dotarsi di una strategia unitaria, misurarsi ad armi pari con gli operatori della rete e superare la logica dei formati distributivi che l’hanno caratterizzata nel novecento mettendo al centro sempre più la qualità e le modalità del servizio al cliente.
Questi ambiziosi obiettivi non si possono raggiungere se ogni insegna gioca per sé. La mediocrità complessiva della visione dei top manager del settore e del quadro associativo sul piano dell’innovazione politica e sociale del comparto non lascia però spazio a facili ottimismi.
La scarsa ibridazione con altri comparti della filiera, il sostanziale benessere raggiunto che ricorda la storia della rana che aspetta sempre un po’ a saltare fuori dalla pentola e così si ritrova bollita, la mancanza di stimoli interni a mettersi in discussione, l’età media degli attori e di chi dovrebbe fare cultura di comparto, il disinteresse delle realtà principali di guardare con sufficiente generosità oltre il proprio perimetro organizzativo rendono il settore politicamente fragile ed esposto alle intemperie del contesto.
Il CCNL, la sua potenziale carica innovativa, il ruolo che entrambe le parti potrebbero giocare insieme fuori dalle dispute di retroguardia che ne hanno caratterizzato il recente passato, rendendole entrambe deboli sia a livello locale che nazionale, potrebbe rappresentare un’occasione importante.
Innanzitutto di unità del comparto. Una nuova architettura sarebbe fondamentale per le imprese. Ci sono cose che possono essere messe a fattor comune e altre lasciate alla specificità delle singole associazioni. Solo in questo modo, ad esempio, la “guerra” ai contratti pirata può avere un senso e produrre un risultato. Non dimentichiamo che nel confronto in atto tra salario minimo e estensione erga omnes della copertura dei CCNL avere quattro contratti non consente certo un protagonismo positivo.
In secondo luogo l’equilibrio tra on line e off line, tra chi lavora h24x365 e chi si trova ancora a discutere di aperture festive e orari può essere trovato solo consentendo un quadro concorrenziale più equilibrato. E su questo il sindacato di categoria deve decidere una volta per tutte se giocare un ruolo esplicito o limitarsi a continuare a subire la situazione. Infine il tema della gestione della fase di razionalizzazione del comparto dopo la “crescita infinita”.
A fronte della potenza di fuoco del web dovrà trovare nuovi equilibri tra i formati e modelli organizzativi/commerciali che prevedono impatti e ricadute sulle imprese e sui lavoratori. Il passaggio da una cultura espansiva classica che nel novecento ha favorito la capacità, la visione e lo spirito imprenditoriale dei best performer del comparto oggi si trova di fronte ad uno snodo decisivo.
Altri competitor incombono la cui forza sta innanzitutto nel fatto che sono in grado di sottrarsi alle regole del gioco. Anche la GDO a suo tempo lo ha fatto alleandosi con la politica, soprattutto a livello locale costringendo al game over quella parte della piccola distribuzione che non poteva o non voleva cambiare. Oggi la ruota sta girando rapidamente ma, e qui sta la differenza fondamentale, i nuovi competitor non hanno alcuna esigenza di compromesso.
Agiscono globalmente e localmente con la stessa intensità e si muovono tra le linee di diversi settori con l’obiettivo di costruire un vero e proprio ecosistema. Sono “glocal” nel senso più vero del termine. Pensare di competere evitando un ripensamento profondo del proprio modello e limitandosi di chiedere ad un ipotetico arbitro per rallentarne l’espansione oltre che essere inutile è ingenuo. Certo c’è un problema di regole del gioco che vanno allineate ma non è qui che si gioca la partita vera.
La partita quindi per la GDO si gioca a mio parere su quattro assi. La sfida dell’innovazione del comparto e dei formati, l’ibridazione tra l’offline e l’online, la qualità del servizio e degli addetti e, assolutamente fondamentale, la centralità del cliente. Ovviamente tanto va fatto nelle singole imprese ma il quadro di riferimento è decisivo anche per l’immagine stessa del settore che nonostante lo sforzo prodotto durante la pandemia è rimasto ai minimi storici come produttore e gestore di lavoro povero.
Sappiamo benissimo che non è tutto così ma l’astio latente di una parte della politica che nel lockdown si è manifestato con le limitazioni ai centri commerciali o alla vendita di prodotti no food nei PDV è lì a dimostrarlo.
Il CCNL è fondamentale perché oltre a rafforzare l’interlocuzione con la politica, può determinare una visione comune, una convergenza di interessi, la necessaria flessibilità organizzativa e il ridisegno della partita salariale in chiave di una maggiore correlazione con i risultati e l’innovazione richiesta.
Contemporaneamente, l’implementazione della formazione degli addetti, necessario al riposizionamento complessivo del comparto anche con un utilizzo più efficace dei fondi interprofessionali, la gestione delle possibili conseguenze occupazionali e il ruolo del welfare in un settore che non ha nelle sue corde la contrattazione aziendale sarebbe di primaria importanza. Il contratto nazionale può essere considerato un costo da esorcizzare o una opportunità da praticare. Così come il sindacato. Un interlocutore fragile e velleitario o un’opportunità da cogliere per le imprese per continuare a crescere.
Per questo sarà la qualità della visione che verrà messa in campo, il commitment e la volontà delle imprese, l’impegno e la professionalità dei negoziatori che farà la differenza. Non certo la competizione al ribasso tra sigle come è stato fino ad ora.