Basta poco per agitare la business community della GDO. C’è chi predica bene e chi razzola male. A volte sono gli stessi. Adesso ci si mette anche PAM con l’anguria ad un centesimo a giocare d’anticipo proprio mentre Eurospin anziché lasciare, raddoppia questo fine mese con l’uva in vendita sotto l’euro al kg.
Eurospin è un’azienda da studiare. Non è LIDL e neppure Aldi. E, probabilmente, nelle intenzioni, nemmeno un vero discount. Sono i migliori interpreti e continuatori su piazza di ciò che ha prodotto, nel bene e nel male, la cultura della GDO italiana nel secolo scorso. Forse per questo continuano a macinare risultati incredibili.
Innovazione quanto basta e solo se serve, pochi contatti con i soloni della GDO, alta redditività dei PDV, marca privata per fidelizzare l’insegna, fornitori felici di poter ottimizzare l’utilizzo dei loro impianti altrimenti sottoutilizzati o altri spinti a scegliere tra minestra o finestra, negozi di proprietà, basso costo del lavoro e grande flessibilità organizzativa. Poche chiacchiere e cassetto pieno a sera.
Sotto sotto incarna tutte le ambizioni più o meno esplicite delle leadership imprenditoriali che si sono succedute alla testa delle insegne nazionali nel 900. Per alcune di queste probabilmente fa male sentirselo ricordare, ma è così.
Fanno bene o fanno male? I risultati sembrerebbero dar loro ragione.
Il localismo interpretato da loro non è solo nei prodotti offerti, nei prezzi proposti ma nella capacità stessa di mimetizzarsi nei territori di appartenenza. Eurospin, se osservi un loro punto vendita fuori dal contesto polemico che lo circonda, assomiglia a quei negozi di alimentari di paese sotto casa degli anni 60 dove trovavi un po’ di tutto ma difficilmente chiedevi una marca specifica o conoscevi il prodotto. C’è voluto “Carosello” per sdoganare i prodotti di marca e poi i supermercati di importazione straniera.
Prima ti affidavi con fiducia all’esperienza del negoziante. Sapevi che comunque ti avrebbe trattato bene pur di non perderti. Più che un’ imitazione di un discount tedesco Eurospin, a mio modesto parere, è un tentativo di riprodurre in chiave aggiornata, quel contesto.
Il suo target sono quelli che vanno a fare la spesa di fretta, sono poco interessati al servizio, non vogliono spendere più del necessario ma percepire una buona qualità e non si perdono inseguendo la pubblicità e le marche note. Così come chi ci lavora dentro sa che la flessibilità e l’impegno personale sono la vera moneta di scambio con l’azienda.
Ovviamente non bisogna essere Einstein per capire che una buona parte dei consumatori che frequentano Eurospin (e non solo) vogliono proprio quello. E i risultati lo dimostrano. Con l’avvicinarsi di agosto l’azienda rilancia. Come sempre.
Sa che i concorrenti, alcuni giornalisti, le lobby agricole e i fornitori del comparto agro alimentare sono sul chi vive perché attendono la solita mossa del cavallo pre-ferragostana per stigmatizzare le pratiche dell’azienda di San Martino Buon Albergo.
In realtà i critici mirano al bersaglio grosso: la GDO nel suo complesso. Basterebbe questo per comprendere che gli attacchi sono una banale azione di lobby. Utilizzano la spregiudicatezza di Eurospin per altri obiettivi. In fondo un’azienda che si muove sul confine serve a tutti. Alimenta per qualche giorno il dibattito sui social, consente a qualcuno di prenderne le distanze per poi imitarli alla prima occasione. Eurospin sa che ai suoi clienti la cosa interessa poco e quindi spara le sue cartucce e sta al gioco. L’anno scorso è toccato all’anguria ad un centesimo. Oggi tocca all’uva.
“È inaccettabile la speculazione in atto sui prezzi dell’uva da tavola che non coprono neanche i costi di produzione in forte aumento anche a causa del maltempo, quando in Puglia non è neppure ancora entrata nel vivo la raccolta” tuona la Coldiretti pugliese. Che punta, come è giusto che sia, a difendere il proprio perimetro. Pochi giorni fa sugli scudi c’era la passata di pomodoro che, secondo i dati proposti, costerebbe meno della confezione che l’accompagna.
Ma sono sufficienti queste critiche e queste pratiche per spiegare l’arretratezza di buona parte del primario e un fenomeno grave come quello dello sfruttamento e del lavoro irregolare in agricoltura? I dati dimostrano che non è così e che alcuni comportamenti rischiano solo di essere oggetto di strumentalizzazione per non affrontare il problema vero.
Ben 2.656.000 lavoratori subordinati nel complesso dei settori versano in posizioni irregolari. Quasi 200 mila di questi, sono vittime del caporalato. In agricoltura si concentra il cuore del fenomeno. Le stime Istat sull’economia non osservata (economia sommersa compresa quella illegale) la quantificano in 211 miliardi di euro, con un’incidenza sul PIL di quasi il 12%.
Secondo il V Rapporto Agromafie e caporalato a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto “Le organizzazioni mafiose, in maniera diretta o indiretta, riescono ad infiltrarsi nel settore agroalimentare dirottando a loro vantaggio parti della ricchezza prodotta lungo la catena di valore”.
Quindi siamo ben oltre le polemiche che accompagnano l’approvazione e la necessaria messa a terra della legge contro le pratiche commerciali sleali approvata a marzo e che sarà operativa probabilmente dopo l’estate.
Le pratiche commerciali di una parte della GDO possono non piacere. Personalmente preferisco chi si adopera per un equilibrio diverso dalla produzione al consumo. Non sono però per nascondere la realtà che va ben oltre le responsabilità della GDO così come non sono spaventato dalle promozioni estreme. Andrebbero però valutate nella strategia di una impresa e spiegate meglio ai consumatori nelle loro conseguenze.
Personalmente sarei molto più cauto a giudicare e catalogare le strategie commerciali di un’impresa come “sleali” o sbagliate a prescindere. Soprattutto da parte dei concorrenti. Questa mania di criticare i competitor è tipico dell’arretratezza culturale del comparto della GDO rispetto agli altri settori.
La GDO innova poco. Quindi il campo da gioco resta al momento ancora caratterizzato da una forte aggressività sui costi e sulla convenienza dell’insegna. Basta vedere la ritrosia nel rinnovare il contratto nazionale scaduto da anni. E se le regole della partita restano queste vince chi le interpreta meglio.
Se non si fanno concentrazioni e non si creano le risorse economiche necessarie all’innovazione vera, nella filiera, si compete strada per strada, nel singolo punto vendita e nell’offerta al cliente. E quest’ultimo, rassegnato o felice, continuerà ad andare dove gli conviene, dove è più comodo e dove l’esperienza di acquisto è più in linea con le sue aspettative.
Mi hanno mangiare una volta delle salsicce prese all’euro spin, avevano un colore oscillante tra il fucsia e il viola.
Ho provato il loro caffè don jerez, è terribile. Se non sei veramente in bolletta mi chiedo come si possa anche solo entrarci li