Manca un giorno all’assemblea confederale e sinceramente mi domando dove è finita la Confcommercio. Già lo slogan scelto “Ri-costruiamo il futuro” fa pensare che di quello vero, quello che interessa il Paese, se ne stanno occupando altri che lo stanno Co-struendo. Eppure fino a qualche anno fa era un avvenimento importante che doveva rappresentare, tra le altre cose, la diminuita distanza da Confindustria e dal suo ruolo predominante nella rappresentanza datoriale.
“Terziario si, ma secondi a nessuno” era il grido di battaglia di un Presidente che sentiva e gestiva con sobrietà e orgoglio gli umori, le contraddizioni e le aspettative della sua base. L’assemblea nazionale era il luogo formale dove la presenza della tifoseria, la qualità del parterre e l’effetto mediatico ne amplificavano la statura del leader e la consapevolezza che il comparto economico rappresentato marcava confini sempre più vasti.
L’idea di comprendere nel proprio perimetro organizzativo e sotto la sigla “Confcommercio” l’intero terziario di mercato, annetterlo in un contratto nazionale di natura confederale che superasse la logica delle singole categorie economiche mettendo a disposizione delle imprese uno strumento flessibile, meno costoso di altri e applicabile in modo lasco è stata la vera intuizione che ha assicurato prestigio, rappresentatività e risorse altrimenti difficili da realizzare. Un vero e proprio “salario minimo” ante litteram.
A differenza di altre Confederazioni, poi, il 76% delle entrate di Confcommercio è dato da contributi della bilateralità e dei fondi welfare, il 20% dalle associazioni territoriali, il 3% dalle associazioni nazionali di categoria (dati Confcommercio prog. rappr. 4.0). Quindi i numeri e le risorse portavano vento nelle vele di chi sapeva dove stava andando.
Poi il “giocattolo” si è rotto.
La decisione di trasformare una oliata macchina organizzativa in crescita di consenso e di associati affidata alla leadership dei milanesi e del loro capo per spazzare via le ombre del suo predecessore si è infranta nel momento in cui l’obiettivo di “fine mandato mai” imposto dal suo Presidente ne ha segnato il destino. La fine del sogno di Rete Imprese Italia e la pandemia che si è abbattuta con virulenza proprio sui settori rappresentati, hanno fatto il resto.
La giornata di domani sarà sicuramente perfetta sul piano scenico. Pochi lo sanno ma nulla è lasciato al caso. L’affanno del leader è però evidente. Non è solo un problema di carta di identità. Non si fa politica se ci si ferma lì.
È la consapevolezza che l’intera confederazione è condannata alla velocità di movimento del suo Presidente. Oggi praticamente immobile. Non solo per le note vicende giudiziarie che lo coinvolgono e che ne compromettono la credibilità ma anche per la difficoltà evidente ad interpretare la realtà, i cambiamenti imposti già prima della pandemia, il ruolo richiesto ad una importante organizzazione di rappresentanza. Confcommercio è sparita dalla scena perché non ha più niente da dire e da dare sul futuro del Paese.
L’ufficio studi e l’iniziativa autonoma di singole categorie come Federalberghi e Conftrasporti faticano a mascherarne la sparizione dai radar. L’accordo storico con Amazon a cui Conftrasporto ha dato un contributo importante e commentato da tutti nella sua unicità non ha registrato alcun segnale significativo dalla Confcommercio.
Non riesce a rinnovare il proprio contratto nazionale perché l’autorevolezza è svanita, e, senza quella, esplodono i particolarismi (vedi i contratti firmati da Federdistribuzione e dalla stessa FIPE in disaccordo addirittura con quello firmato da Federalberghi) e la contrattazione cosiddetta pirata che infesta, guarda caso, i comparti del terziario e del commercio più di qualsiasi altro settore.
Surclassata da Confindustria nel presidio del PNRR e nel rapporto con la Politica che conta perché non più in grado di giocare nella massima divisione l’assemblea confederale più che un’occasione di rilancio rischia di essere la pietra tombale delle ambizioni non tanto del suo Presidente che sono evidentemente limitate al mantenimento del suo ruolo ma della confederazione stessa che spero prenda atto che una stagione si è conclusa e non saranno i cambiamenti climatici a renderne possibile una sua continuità.
Confcommercio può ancora dare tanto se riesce a voltare pagina. Personaggi tanto per fare qualche nome importante come Lino Stoppani, Fabrizio Palenzona, Barnabò Bocca e, perché no, Francesco Pugliese che si appresta ad entrare alla testa della principale azienda della grande distribuzione nazionale potrebbero dare un contributo decisivo per rilanciarne l’autorevolezza e l’iniziativa.
Più che una corsa per accaparrarsi un trofeo è un grande atto di generosità e di impegno che sono richiesti a tutti coloro che scommettono sul futuro possibile per la confederazione. Quello sì da RI-COSTRUIRE come ammette lo slogan scelto per l’assemblea.
Domani ascolterò con grande attenzione la relazione di Carlo Sangalli. I molti anni che ho passato in quel mondo mi fanno comunque tifare affinché la squadra possa farcela. Spero capisca lui per primo che c’è un tempo per ciascuno e per ogni cosa. E che il suo è scaduto.