Per la grande distribuzione non è tutto oro quello che luccica. Mentre è in corso l’integrazione degli ex punti vendita Auchan in Conad e Carrefour cerca, attraverso una difficile riorganizzazione, di riportare i conti in ordine, altre realtà nella loro quotidianità e lontano dalle logiche della comunicazione ufficiale provano a riallineare margini e fatturati anche attraverso un rigido controllo dei costi.
Purtroppo c’è chi pensa (e scrive) che tutto questo possa avvenire senza ripercussioni sulla qualità e quantità del lavoro impiegato o perlomeno senza che queste problematiche non emergano per quello che in realtà sono. Passi indietro, anche sul piano gestionale e nel rapporto con i propri collaboratori per poterne fare anche qualcuno in avanti.
Le reazioni sindacali sono comprensibili ma testimoniano una difficoltà di fondo. La grande distribuzione, a differenza di altri settori, conta su un’omogeneità che potrebbe essere sfruttata meglio in un contesto di nuove politiche attive. Grandi e piccole imprese nazionali e locali, formati differenti, esigenze formative simili potrebbero essere gestite creando strumenti di comparto a disposizione di tutti i territori e di tutte le imprese. E, soprattutto consentendo ai lavoratori una ricollocazione in tempi ragionevoli accompagnando e non subendo la riorganizzazione in corso del settore.
Così non è e quindi ad ogni accenno di crisi o di ristrutturazione la reazione pavloviana porta a respingere formalmente i piani aziendali, ad attaccarsi all’interpretazione di leggi e contratti che hanno ragione di esistere in tempi di normalità e di costringere le persone coinvolte a cercare individualmente soluzioni che, se affrontate con lungimiranza, potrebbero costituire una vera innovazione sociale.
Adesso è il turno di PAM. Un gruppo importante della GDO con oltre 7mila dipendenti. Il detonatore della protesta sono state le decisioni sull’organizzazione del lavoro, a cominciare dal processo di internalizzazione di alcune attività di pulizia dei negozi. Assolutamente comprensibile ovviamente la reazione sindacale se vista con gli occhi dei 250 lavoratori addetti alle pulizie che rischiano così di perdere il lavoro in conseguenza della riduzione dell’appalto delle imprese che li occupano. Meno se non considera che questo porta all’ ottimizzazione delle risorse interne, altrimenti a rischio, ad una riduzione dei costi e quindi ad un maggiore equilibrio complessivo che segnala comunque la volontà di non arrivare a decisioni più drastiche sul personale.
Purtroppo è la storia del cane che si morde la coda. Un’iniziativa di razionalizzazione dei costi viene scambiata per l’inizio della fine. È così, anziché, produrre un confronto e un coinvolgimento sulle strategie e sul futuro del gruppo porta solo alla cosiddetta “legge del pendolo”. L’azienda convinta delle sue buone ragioni forza la mano e tira dritto, il sindacato contesta la decisione ma in conclusione la subisce, dopo qualche sciopero fallito, alcuni lavoratori sostenuti da sindacalisti che pensano utile essere sostituti dai magistrati scelgono la strada delle cause individuali e, alla fine, il più forte e deciso vince la mano di una partita infinita.
PAM ha un amministratore delegato di grande esperienza. Ho avuto modo di conoscerlo e lavorare con lui quando era più giovane e credo che il tempo e le scelte professionali che lo hanno formato lo pongano ad un livello di credibilità e di conoscenza del settore di primo piano. PAM come tutte le aziende più sensibili del comparto sa benissimo cosa aspetta il settore. Ha ben compreso che c’è un prima e un dopo la pandemia. In questi anni ha avuto modo di conoscere punti forti e punti deboli del gruppo.
PAM, è una realtà nata nel Veneto nel 1958 che comprende Pam Panorama, Pam Franchising e In’s Mercato, con oltre mille negozi tra diretti e in franchising oggi dislocati in tutta Italia. È un gruppo economicamente solido ma che, credo, comprenda benissimo, le difficoltà che lo attendono e le risorse necessarie ad affrontarle. Sanno che li aspettano tempi duri.
Non c’è solo quindi sul tavolo lo scontro che rischia di contrapporre industria e grande distribuzione per l’aumento del prezzo delle materie prime che può avere pesanti ripercussioni sulle imprese. Ci sono anche i contratti nazionali da rinnovare e scaduti da oltre due anni accompagnati dallo sfaldamento progressivo di questi ultimi prodotto dall’adozione di tipologie contrattuali meno costose proposte dai consulenti a livello locale come reazione adattiva di un sistema a bassa produttività ed elevati oneri strutturali. O il passaggio a forme spinte di franchising.
Salvo qualche eccezione l’intero comparto è alle prese con continue riorganizzazioni interne che mirano a contenere i costi. Può piacere o meno ma la cancellazione di buona parte della vecchia contrattazione aziendale nel settore, la compressione dei livelli di inquadramento, la spinta sulla polivalenza delle mansioni, una accentuata flessibilità sull’uso e sul mancato riconoscimento economico di parte del lavoro straordinario vanno in quella direzione.
Purtroppo una parte del sindacato di categoria fatica a comprendere che una stagione è finita. La grande distribuzione ha concluso definitivamente la fase dove crescere era alla portata di tutte le insegne, è alle prese con la necessità di riposizionare formati e business sotto la pressione della concorrenza e della necessità di innovarsi e concentrarsi, scopre fragilità organizzative e fatica a confermarsi in molti territori.
Il sindacato di categoria è però anch’esso di fronte ad un bivio. Limitarsi a contestare ogni decisione aziendale legandola alla convinzione che si tratti di uno stravolgimento di un passato sindacale e contrattuale che non c’è più o accettare la sfida del cambiamento diventandone protagonisti. Non farlo è un errore strategico.
Capisco che non sia un passaggio facile perché, dall’altro lato della “barricata” anche le imprese della GDO hanno messo ormai da tempo da parte quella necessaria sensibilità sociale pensando di poter fare ciò che vogliono assegnando ai rappresentanti dei lavoratori solo un ruolo formale. Io penso, per quello che può valere, che questo sia un errore e una mancanza di visione del futuro.
Centralità del cliente e del lavoro sono un binomio indissolubile nella nuova GDO. I tempi, lo sottolineo per chi non ne è convinto ancora, stanno cambiando per tutti.
Non entro nel merito del discorso sindacale, so che il gruppo ha iniziato un percorso di cambiamento molto radicale delle modalità di lavoro/scelte commerciali, anche nella sede centrale con obiettivi forti e precisi che potrebbero sembrare in contrasto tra loro. Il problema sarà dargli il giusto “ TIME TO MARKET “. Oggi è necessario essere rapidi.