Il 2022 dovrebbe essere l’anno della svolta sul piano associativo nella GDO. Il comparto non può permettersi di continuare a muoversi in ordine sparso. Soprattutto nel contesto post pandemia, nella gestione del PNRR e se, i segnali di ripresa dell’inflazione, dovessero confermarsi. L’Italia in novembre ha segnato un aumento del 3,9% dell’indice contro una media EU del 5,2%. Ed è la media del pollo.
Per ora si scontrano le tesi di chi si sente mordere i polpacci dagli aumenti e chi, dall’altra parte, non vuole rassegnarsi agli scenari più foschi. In mezzo, una Politica distratta da altri temi. La scelta di narcotizzare la situazione rassicurando tutti con indennizzi a pioggia che drenano risorse importanti impedendone una diversa finalizzazione, rischia di compromettere la fase della ripresa. Per questo il ruolo della rappresentanza economica e sociale e la sua unità potrebbero essere decisivi. Ad oggi, però non è così.
Dalla GDO arrivano però due segnali apparentemente distanti e contraddittori tra loro che mostrano un disagio analogo: l’inadeguatezza dell’attuale associazionismo reso evidente sia sul piano generale dove la GDO non conta nulla e contemporaneamente su quello contrattuale dove, i pur numerosi CCNL bloccati da anni e l’aumento della contrattazione “fai da te”, segnalano un deficit di autorevolezza della rappresentanza altrettanto evidente.
L’entrata delle cooperative Conad nelle Ascom territoriali e la nomina di Francesco Pugliese in Confcommercio come vicepresidente con la delega su fiscalità e finanza di impresa (in attesa di sviluppi sulla titolarità del CCNL) e l’entrata di Retail institute Italy dove sono rappresentate tutte le componenti del mondo distributivo, in Confindustria Intellect che è la federazione della comunicazione, consulenza e ricerche di Confindustria.
Mettere a fattor comune la rappresentatività generale dell’intero settore del terziario di Confcommercio con la forza organizzata della prima insegna della GDO non significa solo che il contrasto di interessi tra piccola e grande distribuzione, rappresentato da Confcommercio, che ha caratterizzato buona parte della seconda metà del novecento, è ormai alle spalle.
Oggi nella Confederazione, a parte AIRES e Assofranchising, c’è FIDA che rappresenta i piccoli dettaglianti alimentari ma non c’è una federazione che rappresenti la GDO. Carlo Sangalli non l’ha mai voluta sperando sempre (forse invano) di recuperare Federdistribuzione. Con l’ingresso di Conad il problema però si porrà se altre insegne nazionali dovessero seguirla.
In secondo luogo questa scelta aggiunge al peso di Confcommercio nell’interlocuzione politica e istituzionale sul settore, l’autorevolezza di Conad e la sua capacità/volontà di interpretare le esigenze complessive della GDO e del commercio nazionale. Soprattutto di questi tempi. È la mossa del cavallo. Il problema semmai è di chi resta fuori chiamato a scegliere con chi stare per meglio tutelare i propri interessi.
La domanda di fondo oggi sul tavolo è se conviene ad altre insegne interloquire con Conad per costruire insieme, pur da sponde differenti, un forte perimetro associativo di nuovo conio o lasciare le cose come stanno accontentandosi di ciò che passa il convento. Ai tavoli che contano non ci sono mai troppe sedie a disposizione. E non avere tra le proprie fila né la prima né la seconda impresa del comparto sposta gli equilibri e rende evidentemente più fragile il ruolo sia di Federdistribuzione che di tutte le altre .
È la differenza tra far parte di una Confederazione che parla a nome di più categorie economiche o sociali e quindi può proporre o accettare sintesi nell’interesse generale o una Federazione o Associazione che, indipendentemente dai numero degli associati che vanta, al massimo può agitare alcuni argomenti o priorità. Nella Distribuzione, a contendersi la rappresentanza a questo livello oggi sono in quattro: Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione e Coop. Di cui solo le prime due sono Confederazioni. Tutte quattro sono si firmatarie di CCNL ma non tutte hanno lo stesso peso. Il resto dell’associazionismo di scopo presente (cito ADM, Retail Institute, ecc.) non c’entra nulla con questo livello di interlocuzione. E quindi restano contenitori aperti a tutti.
L’adesione di Retail Institute a Confindustria intellect è però anch’essa da considerare una mossa che può produrre conseguenze importanti. Per ora con lo scopo di costruire un’intesa sulle dinamiche inflative nella filiera nazionale, cosa di per sé fondamentale ma in grado di aprire, in prospettiva, nuovi scenari.
La Confederazione di viale dell’Astronomia ha più volte espresso la volontà e il desiderio di rappresentare, non solo sul piano contrattuale, il terziario italiano. Oggi sono molte le imprese che aderiscono a Confindustria che applicano il CCNL del terziario firmato da Confcommercio. I conflitti di interessi nella filiera hanno però sempre reso impraticabile una convergenza propedeutica ad aprire nuovi scenari associativi. Gli stessi sindacati che rappresentano il terziario (sia dei dirigenti che dei lavoratori) sono restii ad aprire alla confederazione degli industriali. Per ragioni di strategia ma anche di semplice convenienza.
La decisione di Retail Institute di aderire, di fatto, a Confindustria stimola però riflessioni interessanti. Innanzitutto segnala la consapevolezza generale che le rappresentanze che fino a prima della pandemia hanno parlato a nome della GDO sono inadeguate ad affrontare il nuovo contesto. Se non si parte da qui non si comprende né la decisione di Conad né quella del Retail Institute. E, in secondo luogo, questa inadeguatezza invita a riflettere ciascuna impresa del comparto, su dove giocare il proprio peso per contare di più laddove le decisioni si prendono sul serio.
Per ora, molte insegne della GDO, frastornate dagli “stop and go” imposti dalla gestione del contesto sembrano osservare queste accelerazioni da lontano. Hanno altre priorità. Chi, nonostante la pandemia, è andato bene, sta addirittura migliorando i suoi risultati e quindi tira dritto per la sua strada. Chi stava andando meno bene, li sta peggiorando e soffre in silenzio. Tagli sul personale, muso duro ai fornitori e forti promozioni sono lì a dimostrarlo. Spaventati dai costi e dal rischio di ripresa dell’inflazione diverse insegne della GDO, pur appartenendo alle associazioni ritenute più rappresentative, a livello locale scelgono contratti di lavoro locali meno onerosi. Altre si limitano a chiedere alle rispettive associazioni di non rinnovare, posticipandoli, quelli scaduti. C’è parecchia confusione sotto il cielo. I sindacati da parte loro non credo possano reggere all’infinito partecipando a inconcludenti tavoli di confronto. Rischiano di pagare un prezzo alto in termini di credibilità.
È una situazione che obiettivamente, non può durare a lungo. Per questo scuotere l’albero mettendo in campo, pur a titolo di deterrenza, le due confederazioni principali, entrambe curiosamente con un’aquila battagliera nel loro stemma, è certamente positivo. Poi dipenderà dalle rispettive strategie. Chi avrà più visione, capacità di aggregazione e pazienza, vincerà la partita il cui esito è lontanissimo da essere già scontato.