È assolutamente comprensibile la preoccupazione che, di questi tempi, percorre la sede di Carrefour in via Caldera a Milano. La possibilità che la loro azienda venga acquisita da Auchan protagonista di una fuga precipitosa dal nostro Paese getta un’ombra tetra sul futuro difficile da rimuovere. L’idea che ci si possa presto ritrovare nelle stesse condizioni degli ex colleghi di Assago con in più una situazione aggravata dalla pandemia, tutt’altro che superata, anima le riservate discussioni tra manager e personale.
Fin dall’inizio della vicenda che ha coinvolto Conad ho sempre stigmatizzato il comportamento dell’insegna dell’Association Familiale Mulliez e le modalità della ritirata. Non mi è piaciuto il disinteresse verso i propri manager e collaboratori dopo averli addirittura ingaggiati negli anni con forme di coinvolgimento innovative per il comparto.
Francamente però credo che oggi la situazione sia completamente diversa. Innanzitutto il quadro complessivo. Auchan ha lasciato l’Italia ma resta una realtà importante a livello mondiale. Non solo nella GDO. È presente in 14 Paesi e in 3 continenti con 180.000 dipendenti nel mondo di cui meno di un terzo in Francia con un fatturato di 31,627 miliardi di euro nel 2020 (https://groupe-elo.com/fr). E con un patrimonio familiare dei Mulliez calcolato in 33 miliardi di dollari. Una grande azienda padronale solida economicamente pur con tutti i difetti tipici di queste realtà in termini di complessitià decisionale, gestione delle cordate familiari e selezione del management. Anche la stessa Carrefour come REWE quando non hanno trovato le condizioni ideali hanno deciso di lasciare l’Italia. Esserci o meno non credo rappresenti il loro problema principale in questa ipotesi di scalata ma potrebbe sempre ritornare in futuro un “interesse Paese” pur sotto altre insegne.
L’abbandono brutale e veloce da parte di Auchan con la cessione a Conad dei suoi punti vendita e l’idea di rafforzarsi acquisendo Carrefour fanno probabilmente parte dello stesso disegno. Difficile intuirlo allora. Se però così fosse stato concepito fin dall’inizio, Auchan, più che ridimensionarsi avrebbe fatto un passo indietro per poterne fare due in avanti.
Alcuni osservatori a casa nostra si sono concentrati su Conad criticando la gestione dell’operazione sotto diversi aspetti. Hanno semplicemente scambiato il dito con la luna. Auchan aveva fretta di andarsene. Questo è stato subito chiaro. E non credo sarebbe stata in grado di “gestire lo spezzatino” dei punti vendita di Auchan retail. E senza considerare la pandemia scoppiata subito dopo. Avendo vissuto la fase finale di Standa prima dell’arrivo dei tedeschi di REWE, dei suoi lineari desolatamente vuoti, con i fornitori disperati e con i clienti in fuga, non voglio nemmeno immaginare il disastro che si sarebbe abbattuto sui punti vendita con conseguenze ben più drammatiche sull’occupazione. Così non è stato. Figuriamoci se Auchan in Italia si fosse addirittura trovata alle prese con due reti in crisi di risultati, in pandemia e nel bel mezzo di un’operazione di acquisizione.
Auchan ha scelto quindi il male minore per sé e per la sua strategia lasciando però per strada chi le aveva creduto. Conad da parte sua ha colto al balzo la possibilità di crescere altrettanto rapidamente forse sottovalutando le difficoltà gestionali che si sarebbe portato in casa. Soprattutto sul fronte degli ipermercati. Ma queste operazioni non si chiudono se non si assumono rischi e non si mette in campo quella dose di sfrontatezza necessaria per portarli a termine. Quella che consente di vedere sempre mezzo pieno un bicchiere che altri vedono mezzo vuoto.
Solo chi non ha la minima idea di cos’è un’operazione di merger&acquisiton di tali dimensioni può criticarne gli effetti collaterali sempre presenti. Uno studio recente sulle operazioni di M&A negli USA dimostra che il risultato finale è sempre molto diverso dalle previsioni iniziali. Per culture organizzative da riallineare, tempi di adattamento e contesto socio economico esterno. E qui c’è stata pure la pandemia.
Auchan (sottolineo con il senno del poi) ha così costruito una exit strategy inevitabile, intelligente e probabilmente propedeutica alla mosse successive lasciando rapidamente il nostro Paese evitando così di restare impantanata in una situazione ingestibile per una multinazionale di quelle dimensioni. La pandemia ha solo reso più evidente la necessità, già presente nel comparto, di puntare a significative concentrazioni di insegne per crescere e poter competere sul piano globale. A cominciare da casa loro, in Francia.
Il tentativo fallito di acquisizione di Carrefour portato avanti da Couche Tard per l’intervento della politica francese ha innescato l’uscita di scena di un azionista importante come Bernard Arnault, presidente del colosso del lusso Lvmh dopo 14 anni ed è stato il segnale che la strada di chi puntava ad un’operazione “franco-francese” tesa a rassicurare l’intera filiera nazionale era così spianata. Alexandre Bompard, uomo voluto da Arnault e impegnato in una difficile riorganizzazione dell’intero gruppo, è riuscito a convincere gli azionisti a fermare il primo assalto di Auchan. Troppo spericolato nell’architettura finanziaria e sufficiente a spaventare i principali azionisti Carrefour.
Difficilmente però fermerà altri tentativi. Per la politica francese è un obiettivo troppo importante da vendere ad un Paese sensibile alle costruzioni finanziarie domestiche. Tra l’altro il CEO di Carrefour Bompard è uno dei top manager più quotati di Francia ed è già in corsa per posizioni altrettanto prestigiose in altri settori. Il riorientamento di Carrefour è già a buon punto. E quindi può salutare la sua squadra (purtroppo a mio parere) quando vuole. L’idea di proporre Carrefour come la prima Digital Retail Company, pur complessa nella sua messa a terra, è nello stesso tempo, affascinante per un comparto che stenta a innovarsi.
Ritornando al nostro Paese Carrefour quindi non è Auchan retail. Né come qualità di management né in termini di possibilità e capacità di ripartenza. Cristophe Rabatel sta facendo un buon lavoro. C’è una strategia chiara e una squadra in grado di realizzarla. Il punto, a mio parere, è se Auchan, in caso di acquisizione, si farà o meno condizionare dalle sue dinamiche parentali o lascerà al management locale il tempo necessario a completare il progetto in corso e riorientare il business. Carrefour Italia è oggi un cantiere aperto. Necessità di tempo per consentire una valutazione seria sulle scelte messe in atto. Così come un’operazione di merger tra due realtà così diverse tra di loro è, d’altra parte, molto complessa e necessita anch’essa di tempo per realizzarsi completamente. Quindi il 2022, indipendentemente dagli sviluppi oltralpe sarà comunque un anno determinante per l’intero management di Carrefour in Italia.
In Francia credo che, annuncio a parte, se l’operazione andrà in porto, le ricadute si cominceranno a vedere parecchio tempo dopo le elezioni presidenziali. Il sindacato francese ha già le antenne alzate. Personalmente avrei preferito Couche Tard. Auchan è ancora una realtà troppo vincolata da una governance complessa. Credo però che con “Annibale-Amazon alle porte” il segnale che la competizione si sposta su un altro piano è chiara a tutti. L’Association Familiale Mulliez non fa eccezione. Non ci sono alternative alla concentrazione tra insegne per competere. Vale in Francia, in Germania, in Spagna come in Italia. È il 2022 sarà comunque un anno decisivo.