“Avanti, Pedro, con giudizio, se puoi”, l’espressione diventata proverbiale che Alessandro Manzoni mette in bocca al Gran Cancelliere di Milano Antonio Ferrer che si rivolge al cocchiere è, in estrema sintesi ciò che i sindacati hanno ribadito a Cristophe Rabatel CEO di Carrefour con la sottoscrizione del recente accordo sul franchising e sulla gestione degli esuberi. Pandemia e crisi delle grandi superfici in generale hanno certamente spinto all’intesa. Aggiungo che la preoccupazione di non lasciare aperta una vicenda in presenza di tensioni sulla proprietà del Gruppo Carrefour e la volontà della stessa azienda di concentrarsi sul piano di rilancio evitando problemi sindacali nel 2022 hanno determinato, tutto sommato, un risultato significativo.
Il franchising, indipendentemente dalle scelte di Carrefour, sta diventando sempre più importante nella GDO. Per questo non può più essere esclusivamente considerato un luogo destinato al cosiddetto lavoro povero come elemento strutturale del business. È, al contrario, una realtà in crescita che deve prendere sempre più coscienza di sé, del proprio ruolo e delle responsabilità collegate. Non è però così dappertutto.
Alcune imprese hanno scelto questa strada per scaricare le loro contraddizioni spostando parte del rischio di impresa sul lavoro. L’adozione di forme contrattuali spurie ne è una dimostrazione evidente. Aggiungo che nel comparto ci sono stati diversi segnali negativi, anche sul piano commerciale e gestionale, che hanno addirittura costretto insegne importanti a rescindere i contratti in essere con loro franchisee. Le tensioni attengono ai costi di gestione, alla capacità o meno di allineare brand e politiche commerciali, ai rapporti spesso imposti con le centrali di acquisto e alla logistica. C’è quindi sempre il rischio, sollevato da alcuni esperti, che franchisor e franchisee nella GDO, viste le dimensioni del business, prendano percorsi paralleli destinati spesso a non incontrarsi confondendo così il consumatore finale.
La multinazionale francese ha però deciso, su questa scelta, di impostare la sua strategia di uscita dalla crisi e giocare buona parte delle sue carte. Non solo in Italia.
L’accordo come sottolineano i sindacati di categoria, “è il primo siglato nel settore della distribuzione commerciale e impegna Carrefour a vincolare, nei contratti stipulati con i franchisee, all’applicazione dei Ccnl sottoscritti da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, al rispetto delle normative su salute e sicurezza. Nel caso in cui vengano ceduti o affittati a terzi operatori, punti vendita a gestione diretta, continuerà ad essere applicata la contrattazione integrativa aziendale e saranno riconosciute in continuità la rappresentanza e le agibilità sindacali”.
Carrefour ha deciso così di impegnarsi ad un altro livello togliendo del tavolo una delle preoccupazioni principali dei sindacati dichiarandosi disponibile quindi a mantenere una qualche forma di controllo nel tempo sui dipendenti coinvolti nel passaggio a terzi. Cosa affatto semplice da gestire visto che si tratta comunque di un altro imprenditore.
Comunque lo si voglia leggere o interpretare nella sua fattibilità concreta è un passaggio importante che consente alla multinazionale francese di concentrarsi sul piano di riorganizzazione in atto che è la sua priorità nel 2022. L’altro aspetto riguarda la gestione degli esuberi dichiarati. Nessuno formalmente sarà licenziato. “L’esubero, ridotto a 719 dipendenti dai 769 iniziali, sarà gestito unicamente con il criterio della non opposizione a fronte di un incentivo all’esodo. L’intesa prevede anche percorsi di riqualificazione interna del personale o di ricollocazione presso terzi” come spiega il comunicato sindacale.
Su questo vale la pena soffermarsi.
Il rallentamento della crescita interna delle imprese, il ridimensionamento degli ipermercati e delle grandi superfici in generale, la ristrutturazione dei punti vendita, la competizione e le acquisizioni di insegne fanno prevedere uno scenario sociale complesso per la GDO. La mancanza di politiche attive e di strumenti idonei a gestire queste fasi dovrebbero essere rimesse al centro della riflessione e delle proposte soprattutto perché le imprese impegnate nelle ristrutturazioni possono farsi carico degli esuberi fino a un certo punto.
Dopo di ché la persona resta comunque sola con il suo problema. Se di basso livello e in età relativamente giovane il ricollocamento può essere rapido e l’incentivo funziona. Se si è in aree già in crisi occupazionale, a corto di formazione o in una sede impiegatizia impegnato in un’attività poco rivendibile e avanti con l’età le dimissioni incentivate costituiscono sempre un rischioso salto nel vuoto.
Gli incentivi all’esodo e la cosiddetta “non opposizione” individuale fanno il paio con le “dimissioni incentivate” di accordi analoghi e costituiscono il massimo impegno che può assumere una realtà in profonda ristrutturazione. Sappiamo benissimo che in molti casi non basta. La scelta tra “minestra o finestra” spinge comunque a scelte difficili le persone. Servirebbero strumenti che aiutino il ricollocamento di chi non è in grado di muoversi sul mercato.
È un ruolo centrale che dovrebbe essere assegnato alla bilateralità proprio in vista del rinnovo del CCNL fermo ormai da due anni. Cercare un lavoro, oggi è un lavoro. Perderlo o doverlo lasciare quando si è avanti con gli anni, senza essere preparati al cambiamento e formati a gestirlo, può trasformarsi in un handicap difficile da superare.
La soluzione però non può essere messa solo in capo all’impresa oltre una certa misura. E questa misura è naturalmente diversa da azienda ad azienda. Anche in relazione al futuro dell’impresa stessa e ai doverosi impegni occupazionali assunti verso chi resta. Soprattutto se la situazione economica e organizzativa è per certi versi già pesantemente compromessa o rischia di esserlo a breve senza interventi correttivi.
Per questo gli ammortizzatori sociali, i tempi e gli strumenti messi in campo devono essere tarati sulla popolazione coinvolta e gestita da professionisti. La cassa integrazione nella GDO e quindi il riconoscimento di un possibile stato di crisi compare nella complessa vicenda Standa. Prima il comparto ne era addirittura escluso. Da allora ad oggi è cambiato tutto. I CCNL e la contrattazione aziendale nel tempo ne hanno saputo accompagnare lo sviluppo delle singole insegne ma ora è arrivato il momento di una profonda manutenzione anche per affrontare gli inevitabili cambiamenti in atto.
Sta alle imprese e alle loro associazioni cogliere la disponibilità del sindacato di categoria, espressa anche in questo accordo, tesa a costruire nel nuovo CCNL, intorno al tema della centralità delle risorse umane, al riconoscimento della loro professionalità legata allo sviluppo della produttività del comparto, un risultato equilibrato che comprenda strumenti concreti di politiche attive necessarie a gestire le crisi, le riorganizzazioni e la conseguente mobilità intrasettoriale.