Per ora, ciascuno continua a giocare per sé. A monte della filiera tira un brutta aria così come tra i consumatori. I venti di guerra trasformano i rischi in certezze e la carenza di materie prime sta facendo il resto. La GDO ha fatto quello che ha potuto per attutirne l’impatto nella prima fase spinta a scambiare inevitabilmente l’effetto per la causa. Oggi è tardi per insistere.
Non è certo affidandosi ad una comunicazione retorica che propone dighe immaginifiche al carovita che si esorcizzerà il problema. Né semplicemente rimbalzando altrove le responsabilità sugli aumenti. Qui dovevamo arrivare e qui siamo arrivati. Non c’è solo l’effetto sui prezzi sui quali la GDO si trova più esposta, essendo l’ultimo anello della catena, all’ira e al disagio dei consumatori.
C’è l’impatto sui costi in tutta la filiera e il rischio degli scaffali vuoti. La tempesta perfetta è quindi arrivata. Adesso però non servono fughe in avanti. Utile ma non sufficiente una generica richiesta di rimodulazione temporanea dell’IVA. Se i prezzi schizzano verso l’alto essendo l’IVA in percentuale è evidente il rischio di pagare una tassa sulla tassa.
È però questo il momento di ragionare sulla filiera, sulle sue fragilità e sulle sue prospettive. Alla politica e alle imprese che la vivono va chiesto questo. E lo devono fare tutte le sue componenti, insieme. Lasciare che gli aumenti si scarichino semplicemente sui consumatori o unirsi al coro di chi chiede ristori generici come quelli distribuiti a pioggia in altre categorie economiche è inutile. Occorre quindi individuare le risposte necessarie ad evitare il tracollo “qui e ora” delle imprese soprattutto PMI ma guardando avanti.
Occorre affrontare alle radici i problemi della filiera nazionale. A cominciare dalla produzione agricola nazionale e favorendo le aggregazioni del sistema produttivo italiano ancora troppo frammentato oggi composto da oltre 700mila aziende agricole e più di 70mila industrie. Occorre puntare all’autosufficienza alimentare. Sfruttare l’occasione del PNRR per ridisegnare le priorità dell’intero comparto.
l’Italia si trova particolarmente esposta alle crisi internazionali e sconta la forte dipendenza, ad esempio, dalle importazioni di mais dai Paesi dell’Est Europa, che hanno costi di produzione decisamente minori. Secondo una recente analisi del Centro Studi di Assolombarda, a gennaio, l’indice delle quotazioni delle materie prime non energetiche continua a crescere e ha raggiunto il +45% rispetto al pre Covid. “Il gas naturale in Europa (TTF Olanda), soprattutto, ha registrato un’impressionante fiammata dei prezzi pari al +660% rispetto al pre Covid.
Più contenuti, ma sempre rilevanti, gli aumenti delle quotazioni del petrolio (Brent) pari al +31%. Il forte rialzo dei beni energetici, soprattutto del gas, si è trasferito sul prezzo dell’energia elettrica italiana. A dicembre 2021 il PUN (Prezzo Unico Nazionale energia elettrica) in Italia ha raggiunto il picco storico di 281 €/MWh (+492% rispetto al valore di gennaio 2020) e a gennaio si attesta sui 224 €/MWh (+372%). La situazione legata all’aumento del prezzo di materie prime ed energia è allarmante e rischia di compromettere seriamente la ripresa economica – ha dichiarato Alessandro Spada, Presidente di Assolombarda”.
Luigi Scordamaglia consigliere delegato di Filiera Italia in una recente intervista accende i riflettori sulle cause fondamentali della situazione. Innanzitutto le questioni legate al clima. i raccolti sono stati scarsi, o comunque più scarsi rispetto alle stime negli Stati Uniti, in Canada e in Russia. Nel 2021, il costo dei cereali e della soia è salito notevolmente rispetto al 2020, quello del mais è aumentato del 60-70%, quello del frumento in certi casi anche dell’80%. A livello mondiale c’è stata una corsa all’accaparramento, perché ogni Paese pensa per sé.
Sull’energia, non essendo riusciti a diversificare le nostre fonti, dipendiamo troppo dall’estero. Avere coltivato come quasi esclusivo fornitore la Russia, con la guerra in Ucraina in corso, la situazione si aggraverà ulteriormente. Senza dimenticare che “è cresciuto ancora, arrivando praticamente a raddoppiare, il costo di alcuni materiali usati dall’industria alimentare, come carta, cartone, vetro e plastica e quello della logistica. Oggi spostare nel mondo materiali e prodotti costa molto di più”.
E tutto questo mentre l’industria stava cercando di uscire a fatica dalla pandemia e dai suoi continui stop-and-go. La conclusione di Scordamaglia più che una profezia è purtroppo una facile previsione: “il peggio deve ancora arrivare”.
Venendo alla GDO la pandemia non aveva inciso più di tanto nel comparto. Anzi. Qualcuno si è addirittura illuso che, il recente allentamento delle misure di emergenza, segnasse il possibile ritorno alla situazione precedente. Comprese le pratiche commerciali abituali. La guerra in Ucraina è l’uno-due che rischia di mettere fuori gioco la tenuta dell’intera filiera. Siamo così entrati in una nuova fase.
È la politica quindi che deve scendere in campo. E la GDO deve decidere rapidamente quale ruolo vuole giocare smettendola di accontentarsi di risposte semplicistiche. Le lobby e i media che si muovono a monte sono tutte in campo con un’obiettivo semplice. Scaricare gli aumenti a valle e addossare alle rigidità della Grande Distribuzione, parte delle responsabilità della situazione. È chiaro che l’indirizzo è sbagliato. Ma tant’è.
L’incapacità politica complessiva del comparto porta purtroppo ad escludere una visione comune. La stessa ostinazione della GDO di pensare sufficiente rifugiarsi in sconti e promozioni nelle singole insegne segnalano la non comprensione del cambio di fase. Ad un consumatore frastornato e preoccupato e ad una filiera a monte che rischia grosso non bastano buyer arcigni e politiche commerciali e di acquisto spregiudicate.
Serve un’iniziativa politica unitaria con il Governo. Le associazioni di categoria, se ci sono, devono battere un colpo. Costi, prezzi e sostegni immediati e di prospettiva devono essere messi sul tavolo. La GDO come comparto nel suo insieme deve mettere a fattor comune la volontà e l’esigenza di uscire insieme da una crisi che non sarà né breve né facile per nessuno.