Julius Verne ha scritto che alcune strade, una volta scelte, portano più al destino che ad una destinazione e in Confcommercio tutte le persone dotate di un minimo di buon senso sapevano fin dall’inizio che saremmo arrivati qui. Era solo questione di tempo. Il tribunale di Roma ha dunque assolto perché il “fatto non sussiste” l’ex Direttore Generale Francesco Rivolta.
Troppi calcoli opportunistici hanno consigliato a molti di girarsi dall’altra parte. La pandemia poi ha reso buona parte delle strutture territoriali più povere e dipendenti economicamente dalla Confederazione. Quindi poca voglia di sollevare problemi.
L’autoassoluzione pubblica di Carlo Sangalli fu quindi ritenuta la strada necessaria a chiudere il cerchio. Sommato all’idea di un “complotto” la verità preconfezionata sarebbe stata sufficiente ad azzerare il triste mee-too confederale e voltare rapidamente pagina. Con il Direttore Generale messo alla porta e scaraventati fuori i tre vicepresidenti che chiedevano spiegazioni si è così potuti arrivare, subito dopo, alla rielezione per acclamazione di Sangalli e all’importante modifica dello statuto. Indispensabile al Presidente per realizzare il suo obiettivo: restare a vita negli organismi confederali.
È rimasto aperto, però, il lento ma inesorabile piano inclinato giudiziario che è proseguito, pur con i suoi tempi, facendo emergere prima il contorno, poi, tassello dopo tassello, la cruda verità dei fatti. Paradigmatica è stata la testimonianza in tribunale di Giuseppe Guzzetti già Presidente di Fondazione Cariplo che ha smontato pezzo dopo pezzo le elucubrazioni più fantasiose alla base delle tesi dell’anziano Presidente.
Riabilitata oggi sul piano giudiziario l’immagine del Direttore Generale e dell’incolpevole assistente, che ha subìto, come donna, un danno ancora più grave, il disegno imbastito si squaglia come neve al sole. Il progetto andreottiano di “tirare a campare come alternativa al tirare le cuoia” ha subito un duro colpo. La credibilità degli accusatori ne esce a pezzi. Siamo così ritornati al via.
Francesco Rivolta avrà modo, ovviamente, di far valere le sue ragioni e i danni che ha subito nelle sedi opportune. Restano i tre vicepresidenti sbrigativamente allontanati ingiustamente a suo tempo e il fatto incontestabile che Carlo Sangalli, a giudizio dei presenti di allora, ha mentito agli organismi confederali. Quindi Confcommercio non si trova solo ad avere un Presidente evidentemente a fine corsa a prescindere ma pure al centro di fatti che gettano una luce sinistra sul governo dell’intera confederazione e su tutti gli altri luoghi dove il Presidente è stato insediato grazie alla sua carica principale. A cominciare dalla prossima nomina alla Camera di Commercio di Milano dove si dice che sarebbe pronto a ricandidarsi per l‘ennesima volta.
Se fossimo in un Paese normale Carlo Sangalli sarebbe però politicamente finito. Vedremo presto se e cosa succederà. Eppure, lo dico con rispetto del suo passato, Carlo Sangalli non è solo quello che emerge da questa brutta storia. Anzi. C’è un elemento poco conosciuto che lo rappresenta meglio di qualsiasi racconto. Basta recarsi in corso Venezia a Milano nella sede di Confcommercio, al secondo piano di palazzo Castiglioni costruito da Giuseppe Sommaruga ai primi del novecento in quello che è il più prestigioso palazzo liberty della città. Alla parete, appena prima di entrare nell’ufficio del Presidente, un manifesto sindacale degli anni 80 del secolo scorso che dice molto di lui: “Troppi SanGalli nel pollaio!”. Non è un caso che lo abbia voluto appendere proprio lì.
In effetti è proprio così. Di Sangalli non ce n’è stato uno solo nel pollaio. Per quello che mi riguarda ne ho conosciuti più d’uno. E alcuni li ho pure apprezzati. C’è quello che ha raccolto la Confcommercio a pezzi dopo la defenestrazione di Sergio Billé e l’ha rilanciata. Ci sono voluti anni per far ritornare protagonista la confederazione di piazza Belli. Lì, credo, abbia dato il meglio di sé. Aveva ancora l’ambizione e la voglia di fare la differenza. C’è poi quello che ha intuito la necessità di costruire Rete Imprese Italia provando ad unire commercianti e artigiani (Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna e Casartigiani) e dar vita alla cosiddetta Confindustria dei Piccoli, che, nelle intenzioni, avrebbe potuto rappresentare quasi il 60 per cento del valore aggiunto prodotto in Italia. Sogno tramontato dopo un entusiasmo iniziale per la strenua difesa delle poltrone di ciascuna organizzazione.
C’è infine quello che abbiamo di fronte oggi spinto dal desiderio di resistere incollato alle decine di posizioni conquistate in carriera da dove ha gestito, tramite il suo cerchio magico centinaia di incarichi, distribuendo poltrone che hanno alimentato e alimentano quel sotto-potere interno e esterno che lo sostiene. Senza dimenticare che prima di arrivare al vertice della Confcommercio era stato eletto per ben sette volte alla Camera dei Deputati.
Un personaggio certamente controverso che, tutte le volte che si è trovato, se non altro per questioni anagrafiche, in vista di un possibile capolinea, è riuscito sempre a ribaltare a suo favore la situazione spostando il traguardo sempre più in là. Sarà così anche questa volta? Eppure è difficile ricordare qualcosa di significativo di cui sia stato protagonista negli ultimi dieci anni. L’ingaggio come Direttore Generale di Francesco Rivolta aveva fatto pensare ad una reale volontà di guidare il cambiamento. In realtà non credo ci abbia mai pensato. Cacciare un amico di lunga data, colpirlo alla schiena con un’accusa infamante e calunniarlo era però un azzardo talmente spericolato che non poteva restare impunito. E così, al tribunale di Roma è suonata la campanella. La ricreazione è quindi finita.
Restano alcune domande a cui qualcuno dovrà rispondere. Innanzitutto se la Confederazione di Piazza Belli è zona franca rispetto al codice etico enunciato con grande enfasi dalla stessa Confcommercio. Se c’è un limite al mantenimento del potere o siamo di fronte al “fine mandato mai” al quale sembra tendere l’entourage dell’anziano Presidente. E, ultimo ma non certo meno importante, chi decide se e quando è il momento giusto per farsi da parte.
Un tranquillo e studiato viale del tramonto costruito tra fondali di cartapesta e comparse plaudenti rischia di trasformarsi in un precipizio che potrebbe inghiottire tutto e tutti. Non solo l’anziano pifferaio che ha guidato la sua folla plaudente verso il burrone.
E così le ombre sono destinate ad oscurare le luci di una gestione che pure ci sono state. Friedrich Nietzsche ci ricorda che “La saggezza più grande dell’uomo è quella di saper tramontare al momento giusto”. Ecco, questa saggezza, fino ad oggi, a Carlo Sangalli è sicuramente mancata.
Tanto valeva farsi andar bene Bille’. Ci dicemmo fieri di essere usciti dal consociativismo quando i partiti storici. furono spazzati via, e ci invischiammo nell’autoreferenzialismo: dalla padella nelle braci.