E così c’è voluto addirittura un intervento deciso di Mario Draghi per far capire che i CCNL vanno rinnovati. Eppure Carlo Sangalli lo aveva incontrato da poco nascondendosi dietro le solite richieste sul tema: riduzione sul cuneo contributivo e fiscale e sgravi sugli aumenti ipotizzando futuri rinnovi. Si era dimenticato di dirgli che l’ultimo CCNL del terziario è stato sottoscritto sette anni fa ed è fermo da oltre due anni e che, a differenza di Confindustria che i suoi contratti li aveva rinnovati, il CCNL è rimasto fermo senza alcuna ragione specifica particolare. Turismo e piccoli esercizi travolti dalla pandemia hanno i loro contratti nazionali e buone ragioni per non rinnovarli in questi anni. Quindi nessuna scusa.
Solo la competizione al ribasso tra Confcommercio, Federdistribuzione e Confesercenti nel rinnovo precedente ha convinto tutti e tre che buttare la palla in tribuna fosse una buona cosa. Alle aziende in fondo sarebbe andata bene così. Avrebbero risparmiato nel breve e rinviato il rinnovo a tempi migliori.
Nessuna delle tre organizzazioni si è voluta assumere la responsabilità che le competeva proponendo un percorso serio alle imprese. E un negoziato win win ai sindacati di settore. Meglio cavalcare paure e preoccupazioni in vista di una possibile quanto rischiosa tempesta perfetta puntualmente arrivata. E oggi il quadro si sta complicando ulteriormente.
Eppure Sangalli in passato ha subìto l’uscita di Federdistribuzione proprio per aver deciso che era arrivato il momento di chiudere un contratto nazionale che vedeva contraria proprio la GDO. Altri tempi evidentemente. L’attuale vertice di Confcommercio ha perso quella sensibilità. Oppure si è perso tra veti e contraddizioni interne. Muro sull’aspetto salariale, vaghe teorizzazioni nel merito delle proposte sindacali e qualche commissione creata per ammortizzare le spinte dei lavoratori. Una figuraccia certificata dal Presidente del Consiglio che fotografa l’affanno complessivo e la mancanza di iniziativa dell’intero associazionismo nel commercio e nel terziario.
Alcune insegne si erano addirittura mosse autonomamente concedendo premi ai propri collaboratori. Poca cosa, certo, ma in grado di segnalare una sensibilità presente. Quello che è emerso è che non si è vista nessuna capacità di individuare un percorso con obiettivi chiari e condivisi con le imprese e con i sindacati. Quindi una carenza di leadership. Oltreché di proposte. E questo ha spinto le imprese che non stavano subendo alcuna pressione interna a optare per la strada più semplice: non fare nulla. Ma nemmeno decidere di prepararsi ad impostare un rinnovo che provasse ad affrontare i temi fondamentali dei prossimi anni di validità del CCNL e risolvesse i nodi del passato.
L’ultimo contratto firmato risale a sette anni fa. Buona parte del contenzioso nelle imprese è dato proprio dal fatto che in questi sette anni è cambiato tutto. Il sindacato (o parte di esso) ne ribadisce in ogni confronto aziendale contenuti e prerogative. Le aziende spinte a forzare vanno oltre e spesso si trovano in difficoltà. Il CCNL si è trasformato da elemento di condivisione sui temi organizzativi e gestionali in strumento di contrapposizione continua. Basta scorrere tutte le singole vertenze aziendali che via via si sono aperte nelle differenti insegne.
Pensare che un punto vendita possa reggere oggi applicando alla lettera la logica del CCNL scaduto costruito quando il comparto, ad esempio della GDO, era in crescita, il lavoro festivo o gli orari estesi non erano consolidati come oggi, i livelli di flessibilità del lavoro erano diversi, i discount praticamente non esistevano e a dominare la scena erano le grandi superfici, significa solo non aver capito cosa sta succedendo nel comparto. Gli organici necessari, il rapporto tempo indeterminato/tempi determinato, i part time e la loro distribuzione nella pianta organica e le declaratorie conseguenti così come la totale esternalizzazione delle attività di pulimento erano figli di un altro modello organizzativo. Lo stesso ricorso al franchising era molto meno diffuso, il CCNL era uno solo e la contrattazione aziendale era maggiormente presente e, in alcune realtà, accompagnava questi cambiamenti. Tutto questo non c’è più.
Aggiungo che l’impossibilità di aumentare i fatturati spesso causata, più che dall’evoluzione dei modelli di consumo, dalla moltiplicazione delle insegne e dei formati nei territori, ha reso impossibile l’applicazione formale di norme che applicate alla lettera in un negozio altererebbero il conto economico del punto vendita e farebbero crollare la produttività del lavoro. E questo non può essere l’obiettivo del sindacato di categoria. I CCNL vanno rinnovati. Ma se non si vuole ridurli ad una pura questione salariale la loro attualizzazione sui temi chiave per le imprese andrebbero ripresi con maggiore apertura.
Confcommercio e Federdistribuzione hanno purtroppo perso tempo. Soprattutto perché i loro CCNL non c’entravano nulla con i settori travolti dalla pandemia che hanno i loro. Hanno voluto mettersi furbescamente sottovento nonostante i rinnovi del contratti nel comparto industriale solo per le note rivalità tra associazioni. Nessuno ha messo in campo una leadership vera. Adesso dovranno accelerare e riaprire un confronto a cui non si sono preparati.
Il sindacato, da parte sua, non può “predicare bene e razzolare male” e quindi deve affrontare sia il tema della la distintività della GDO mettendo mano ad un rinnovo che dovrà differenziarsi nei contenuti da quello di Confcommercio. E quest’ultima se vuole dare risposte ad un terziario che cambia dovrebbe andare ben oltre al perimetro della GDO cogliendone le esigenze. La presenza del CCNL di Federdistribuzione ne sposta inevitabilmente il baricentro. Un CCNL che si rivolge ad una platea ben più numerosa e variegata non può restare inchiodato ad una lite da cortile. Semmai dovrebbe porsi il tema di future ricomposizioni sul piano contrattuale e non come difendersi dalle”furbate” altrui come invece sembra auspicare il vertice politico della Confcommercio.
Purtroppo la debolezza della confederazione di Piazza Belli non aiuta. E, come ho già scritto (https://bit.ly/3OOkOr8), sindacati e associazioni dovrebbero alzare lo sguardo insieme perché il tema della produttività è altra cosa affrontarlo in presenza di investimenti tecnologici come in altri settori piuttosto che in un negozio. Piccolo o grande che sia. Accompagnare i cambiamenti mentre crescono le preoccupazioni sul piano economico generale comporta di convergere tutti su un unico obiettivo strategico: ottimizzare la prestazione individuale e collettiva coinvolgendo le persone, riconoscendone l’impegno e il contributo e mettendo però al centro il servizio al cliente e la redditività del negozio stesso.
E questo va realizzato aggiornando in profondità i contenuti del contratto nazionale. Soprattutto in un comparto refrattario alla contrattazione aziendale. Perché solo così si liberano le risorse necessarie al rinnovo che non può comprendere solo l’aspetto salariale se si decide di guardare avanti. Insieme. Come dovrebbe essere l’obiettivo strategico di entrambe le parti in campo.