Grande Distribuzione e produttività. Una sfida non solo per le aziende..

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Agatha Christie sosteneva che “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza ma tre indizi fanno una prova”. Insisto, anche se aver affrontato l’argomento mi ha portato qualche critica,  nel ritenere un errore del sindacato di categoria non prendere atto che il tema della produttività è centrale. Non però in generale dove tutti, più o meno, ne convengono ma nel concreto della quotidianità del punto vendita.

E, come ho già scritto (https://bit.ly/3OOkOr8),  discutere di produttività è altra cosa che affrontare il tema in presenza di investimenti tecnologici come in altri settori. La strada è una sola. Ottimizzare la prestazione individuale e collettiva coinvolgendo le persone e mettendo al centro il servizio al cliente e la redditività del negozio. Adesso è il momento dei discount. Dopo Eurospin  tocca a Penny Market il discount tedesco del gruppo Rewe. Il sindacato di categoria sembra scoprire improvvisamente  le “consuete criticità” del lavoro in un punto vendita. Difficile capirne la ratio. Nei punti vendita, soprattutto nei più piccoli o gestiti dai franchisee si lavora così. Da sempre. Dal comunicato della Uiltucs Uil scopriamo che le “relazioni sindacali territoriali sono insufficienti ed inefficaci per responsabilità aziendale, salute e sicurezza sono in discussione, i carichi di lavoro sono eccessivi, turni ed orari di lavoro sono pesanti, c’è un improprio utilizzo delle clausole elastiche e flessibili nonché dei permessi retribuiti. Turnazione e pause non sono rispettati e le pulizie dei negozi, dei servizi e dei parcheggi sono in capo al personale con altre qualifiche”.

Cambia l’insegna ma la musica è sempre la stessa. Visto dai comunicati  sindacali, Eurospin, Penny Market o altri discount e non solo, ogni vertenza aperta parte da una fotografia talmente drammatica che i punti vendita sembrano assimilabili a gironi danteschi. La distanza tra ciò che il sindacato rivendica e l’impostazione organizzativa aziendale è talmente ampia da svuotare di senso qualsiasi negoziato perché la differenza di impostazione, su queste basi,  è incolmabile. Vengono così dichiarati fantomatici blocchi degli straordinari e programmati scioperi di cui se ne perde immediatamente traccia. Le aziende abbozzano e  tutto ritorna alla quotidianità della gestione del punto vendita.

I discount ma anche gli stessi supermercati alle prese con il difficile equilibrio tra fatturati e margini funzionano così. Il tema della produttività del lavoro e quindi del suo riconoscimento diventa centrale. Tra l’altro  in vista del possibile rinnovo dei numerosi CCNL, il sindacato rischierebbe di  tirarsi la zappa sui piedi da solo. E queste, lo dico  per i critici esterni,  sono tutte realtà che non hanno né un turn over elevato né un assenteismo eccessivo.  E neppure rilevabili abbassamenti delle performance o peggioramenti della qualità di servizio percepiti dai clienti. Né faticano a trovare collaboratori. Le iniziative formative e di coinvolgimento sono numerose, la possibilità di accedere a  carriere interne, pure.

È chiaro che il lavoro nella GDO non è per tutti. Orari, turnazioni, impegno richiesto a contatto con i clienti e gestione degli imprevisti di ciò che si genera a monte nella logistica e nel rifornimento necessitano di caratteristiche diverse da altri comparti economici. Il punto vendita, pur costruito su una gerarchia precisa e all’interno di un modello organizzativo standard, comporta responsabilità personali e capacità di muoversi in mezzo ad imprevisti e interlocutori interni ed esterni che rendono quel lavoro particolare. Senza confini di qualifica né di inquadramento.

C’è un organizzazione formale di cui il CCNL ne rappresenta sulla carta il quadro di riferimento e poi c’è la realtà fatta di clienti esigenti, richieste di ogni tipo, promozioni che sconvolgono la quotidianità, derivati dagli afflussi e di picco. Non è quindi un lavoro adatto a tutti.  Il rischio che uno o più sindacati insistano su modelli organizzativi superati sembra essere l’unica spiegazione. A volte anche i manager intermedi delle aziende tirano troppo la corda. Soprattutto se e quando prendono impegni con la loro gerarchia che sanno di non poter mantenere.

Eppure il tema della produttività e del suo riconoscimento  anche a vantaggio dei lavoratori dovrebbe animare la discussione in vista dei rinnovi contrattuali. Draghi è stato chiaro. I CCNL vanno rinnovati. Ma se non si vuole ridurli ad una pura questione salariale la loro attualizzazione sui temi chiave per le imprese andrebbero ripresi.

I modelli organizzativi precedenti che hanno permeato il CCNL erano mutuati sostanzialmente dalle grandi superfici e derivati da una forte impostazione tayloristica. C’era poca cultura del servizio e delle logiche di un negozio e un’impostazione quasi da reparto industriale. Organici di reparto, nastri orari, operazioni di pulimento esternalizzate, pause e rimpiazzi, inquadramento e tipologie di lavoro consentivano organizzazioni lasche e spesso ridondanti. Ma i bacini di utenza erano ben diversi. E la competitività tra i differenti formati è data da una continua ricerca di equilibrio tra fatturati e margini e quindi il tema dei costi, della loro gestione e del contributo qualitativo delle persone diventano centrali.

Il sindacato di categoria di fronte a questo può “fingere” di non vedere la realtà mettendosi di traverso  o scegliere di misurarsi con le imprese per una più equa distribuzione dei benefici prodotti da questi modelli organizzativi e quindi per un maggiore protagonismo dei lavoratori partendo dall’andamento del punto vendita ma guardando alla prospettiva dell’insegna che lo comprende. E questo converrebbe anche alle aziende che porterebbero il lavoro e la sua valorizzazione al centro di una rinnovata centralità del cliente e della sua gestione evitando così di scivolare verso un utilizzo strumentale del lavoro sempre meno pagato che, prima o poi, si rivolterebbe contro.

E questo è un passaggio obbligato se il welfare contrattuale e la bilateralità vengono intesi come passi nella direzione di forme di coinvolgimento e di partecipazione alla vita del comparto e delle aziende e non come esclusivi generatori di risorse e poltrone. Il CCNL è quindi a un bivio. Può ripiegare diventando uno strumento di semplice governo salariale e quindi una sorta di salario minimo gestito nel settore o evolvere verso modelli contrattuali più coinvolgenti e partecipativi. Su questo produttività e sua distribuzione potrebbero rappresentare il vero punto di svolta. 

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