Dopo averci ragionato e scritto (https://bit.ly/3xzrzWH) ho avuto la possibilità di visitare l’ortomercato di Milano. Non ho risolto i miei dubbi sulla filiera nord africana e sugli intrecci dalla produzione al consumo sui quali ritengo occorra mantenere alta l’attenzione per i rischi che comporta ma ho potuto toccare con mano il passaggio epocale in corso. Ho fatto una visita interessante tra passato e futuro. Tra ciò che è ancora oggi la SOGEMI e ciò che diventerà tra pochi anni.
Il mio legame con il mondo dell’ortofrutta e del fresco in generale non nasce soltanto dalla mia provenienza dal mondo della Grande Distribuzione ma dal rapporto e dalla reciproca simpatia e stima con un “maestro” come Dino Abbascià purtroppo scomparso nel 2015, presidente nazionale di Fida-Confcommercio (Federazione italiana del dettaglio alimentare) e presidente del sindacato milanese dettaglianti ortofrutticoli. È lui che mi ha introdotto in questo mondo raccontandomi la passione necessaria, la professionalità e la serietà che contraddistingue il profilo dei migliori operatori e i limiti e la spregiudicatezza di molti altri.
Una cosa che balza immediatamente agli occhi, girando per i corridoi, è proprio questo contrasto. il contrasto tra un modo di lavorare sempre uguale a sé stesso, alle piccole furbizie da commerciante improntato al “qui e ora” e all’“abbiamo sempre fatto così” e chi ha ben compreso che quel mondo deve cambiare proprio per continuare ad essere sé stesso. Lo capisci dal via vai un po’ ambiguo verso i camion, dallo spazio occupato a volte un po’ più in là del proprio perimetro e da tanti altri piccoli stratagemmi per tirare a campare. Ma capisci benissimo che questo mondo se non cambia la mentalità ma anche di passo è arrivato al suo capolinea.
Eppure, tra i diversi operatori, si respira un’aria di lavoro, di impegno e, soprattutto, di integrazione tra culture e nazionalità differenti. Forse uno dei luoghi più emblematici sotto questo profilo. un fiore al’occhiello per il Comune di Milano. Tensioni che evidentemente ci sono ma che si stemperano con un sorriso, con una stretta di mano dopo una frenata provvidenziale di un carrello che trasporta troppo velocemente la sua merce nei corridoi. È l’altra faccia, quella positiva, del rischio di illegalità che alberga sempre tra questi corridoi.
Sono la maggioranza dei nordafricani che ci provano a crescere e ad integrarsi. Da eccezionali ma piccoli commercianti provano a trasformarsi in imprenditori scontando tutte le difficoltà dell’operazione. Molti non ce la fanno. Però tutti, almeno una volta nella vita, ci provano. È uno dei punti di forza di questa comunità e, sotto questo tetto, questi tentativi sono possibili. E di questi tempi, non è poca cosa.
Il punto che crea scompiglio tra gli operatori è che, a poche decine di metri, il futuro avanza inesorabile. E forse pochi credevano che dalle parole, dai grandi progetti immobiliari in parte tramontati, dall’idea geniale, purtroppo accantonata, della “città del gusto” post EXPO questo luogo creato ad hoc nel 1956 che ormai risente abbondantemente dei suoi anni e dopo un numero eccessivo di presidenti e di progetti, potesse diventare realtà.
Arrivati al dunque sale inevitabile la protesta. Per molti di loro è comprensibile. Vale il detto “non puoi chiedere al tacchino di festeggiare il Natale”. Avvisati per tempo che il cambiamento era in arrivo e che li avrebbe raggiunti hanno probabilmente pensato di “sfangarla” anche questa volta.
E il cambiamento, che piaccia o meno, rompe gli schemi abituali, costringe ad uscire dalle proprie sicurezze, e spinge ad un calcolo costi benefici che va oltre il singolo operatore. Dietro l’angolo c’è una fase di transizione che impone dei sacrifici, delle problematiche organizzative e di costi e delle esclusioni. Il progetto era noto. Inutile inventarsi delle proteste. L’attuale ortomercato non è più idoneo. FOODY avanza spedito.
Il progetto, voluto dal Comune di Milano, corroborato da cento milioni di investimento trasformeranno la vecchia struttura in un mercato agroalimentare all’avanguardia tra tutte le strutture simili presenti in Europa. Oltre alla nuova struttura del mercato ortofrutticolo nascerà una piattaforma logistica tra le più avanzate e un Palazzo Affari che ospiterà aziende, start up e attività del settore agroalimentare. E tutto questo si concluderà praticamente dopodomani, nel 2025.
“FOODY vuole diventare il punto di riferimento della grande tradizione e della eccellenza del Made in Italy nel mondo” recita il claim che sottende l’avanzamento dei lavori. L’atteggiamento dell’Associazione Grossisti è contraddittorio. Da un lato contesta “le modalità operative e strategiche di SogeMi e del suo Presidente Cesare Ferrero, che prosegue nel suo percorso senza il necessario e costruttivo confronto con gli operatori” e dall’altro mira a rallentarne il percorso paventando criticità e problematiche logistico-operative inevitabili connesse alla presenza del cantiere.
Un coinvolgimento degli operatori è auspicabile e necessario soprattutto per gestire le inevitabili contraddizioni insite in un progetto così complesso. Ma non può essere un coinvolgimento finalizzato a creare le condizioni affinché il progetto stesso rallenti o i tempi vengano troppo diluiti.
Milano ha bisogno di questa struttura. Semmai va ripensata o rilanciata proprio laddove cerca di porsi al centro della grande tradizione alimentare nazionale. Le proteste senza proposte costruttive praticabili non portano però da nessuna parte.