Girando per i corridoi affollati della fiera di Bologna dove si è appena chiusa Marca 2023, la più importante manifestazione in Italia tra insegne della distribuzione moderna con piccole e medie imprese dell’industria alimentare che, insieme, danno vita a quella che viene chiamata “Marca Del Distributore”, ci si rende conto in modo plastico che il nostro Paese è molto più avanti di quello che ci sentiamo raccontare ogni giorno.
“La MDD può contribuire in modo decisivo alla domanda di tutela del potere di acquisto delle famiglie, e, allo stesso tempo rappresentare una soluzione sostenibile per la tenuta delle imprese distributive e dei partner industriali che la realizzano” ha sostenuto con convinzione il Presidente di ADM Marco Pedroni.
Osservando da vicino questo brulicare di insegne semi sconosciute e di persone che non si fermano mai orgogliose del proprio lavoro non si può non ripescare il famoso apologo del vespide le cui ali non potrebbero sopportare il peso del corpo che a rigor di fisica dovrebbe sbilanciarne il volo; ma il calabrone lo ignora e per questo continua a volare. È questa la dimensione che percepisci in questi corridoi strapieni di umanità varia.
Certo è “solo” una fiera e da domani probabilmente tutto è destinato a tornare come prima ma da qualche parte occorre pur iniziare se si vuole cominciare a pensare più in grande e giocare nella massima divisione. E questo è un ottimo punto di partenza. Innanzitutto da questa iniziativa ci si porta a casa che c’è uno spazio vero per scrivere una storia non subalterna per una GDO protagonista vera nella filiera agroalimentare. Basterebbe volerlo.
Qui si vede la strada fatta da quando la cosiddetta “marca del distributore” era chiamata semplicemente “sottomarca”. Stava di solito in basso sui lineari in una confezione anonima. Era l’alternativa per chi non voleva o non poteva spendere quando, ad esempio, Lucio Battisti nel 1972 cantava nei “Giardini di marzo”: “Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati. Al ventuno del mese i nostri soldi erano già finiti”. Una sorta di discount ante litteram nella pancia del supermercato. I clienti più poveri andavano a colpo sicuro. Le stesse insegne, sbagliando, erano allora titubanti a crederci fino in fondo. Il consumismo trascinava a passo di marcia tutto e tutti. C’è voluta l’affermazione dei discount, che della marca del distributore ne hanno fatto la loro ragion d’essere e un tessuto imprenditoriale industriale pervicacemente piccolo e medio per suonare la sveglia.
Per ritornare ai giorni nostri, dal 2010 ad oggi la quota discount in Italia è passata dal 12,6% al 25%. Contemporaneamente la marca del Distributore è passata dal 15,4% al 20,8%. 1500 imprese agrifood di cui il 92% italiane e l’80% PMI ne rappresentano la partnership produttiva. Nel 2013 queste imprese valevano il 14,9% del fatturato dell’industria alimentare oggi valgono il 31,6%. Sono cresciute di più rispetto al settore registrando le performance migliori.
I rapporti con la Distribuzione sono di lungo periodo per il 75% delle imprese. C’è una sincera ricerca di partnership durevoli. Nessun mordi e fuggi strumentale teso a strozzare la filiera a monte. Valore aggiunto e occupazione, particolarmente al sud, superano la media dell’intero settore alimentare e soprattutto, questo rapporto, stimola l’innovazione del prodotto in termini di nuovi gusti, abbinamenti e nuovi formati. (fonte dei dati proposti elaborazione The European House – Ambrosetti su dati ADM).
Qui a Bologna, quindi, il calabrone vola. Non si percepisce sulle spalle delle imprese della GDO il peso di associazioni in perenne conflitto fra di loro, ADM basta e avanza. Non c’è, negli interventi la solita litania sulla politica distante ma una richiesta di condivisione e di ricomposizione di interessi diversi, non c’è quella diffidenza tra attori di una filiera, quella agroalimentare, che sa benissimo che il tempo di marciare divisi deve essere messo alle spalle. Non c’è la spocchia dei primi della classe. C’è la consapevolezza che il rischio vero è che si perda tutti.
Lo scenario presentato da Valerio De Molli (CEO The European House – Ambrosetti) porta con sé alcuni fattori di crisi che accompagneranno almeno il 2023. Innanzitutto l’inflazione. 11,6% a dicembre; il dato più alto dal 1985. E soprattutto le disuguaglianze che crea sui diversi redditi delle famiglie. Il Covid-19 tutt’altro che superato: 31 paesi nel mondo hanno un tasso di vaccinazione inferiore al 20% e 29 inferiore al 40%. La guerra vicino a noi. Mille multinazionali hanno interrotto la presenza in Russia e quindici milioni di ucraini si sono riversati nei Paesi limitrofi. L’incremento dei costi energetici e logistici. Il prezzo del petrolio è aumentato di 4,6 volte tra aprile 2020 e dicembre 2022 mentre il prezzo del gas, nello stesso periodo è aumentato di 3,7 volte. E senza sottovalutare gli impatti del cambiamento climatico soprattutto in termini di siccità per il nostro Paese con un danno stimato, per il settore, agricolo, di 6 miliardi nel 2022. È l’insieme di questi fattori che genera una pressione inflativa sul settore alimentare superiore di 1,5 punti percentuali sulla media nazionale.
Dall’altra parte c’è la consapevolezza che i consumi (alimentari+bevande) sono sostanzialmente fermi da oltre dieci anni. Sembra chiaro a tutti che la sfida non si vince da soli e che i tempi sono maturi per guardare avanti. Persino le istituzioni e la politica sembrano meno distanti e disponibili all’ascolto.
Giorgio Santambrogio, AD di Végé ha sottolineato di recente che non c’è un “Messi” nella GDO. Ed è vero. Forse fino a poco tempo fa ce ne sono stati troppi che hanno pensato di esserlo. E questo ha reso il comparto della Grande Distribuzione ancillare al primario e al secondario. Valerio De Molli ha restituito ai partecipanti una necessaria visione di insieme e nuovi confini ad un perimetro ben più ambizioso e pronto per chi vuole giocare fino in fondo la partita. Basterà per immaginare la foresta a chi si è fissato a guardare l’albero? Personalmente spero di sì.