Frequento numerose insegne della Grande Distribuzione. Ho sotto casa un comodissimo Carrefour Express. Ho l’Esselunga di viale Cassala a qualche centinaia di metri dove vado spesso. Fino a poco tempo fa preferivo arrivare fino al Viaggiator Goloso di Buccinasco a non più di un quarto d’ora d’auto. Purtroppo il Comune ha deciso di fare cassa con l’autovelox e alla seconda multa per un millimetrico superamento della velocità consentita, ho rinunciato. Non mi andava di finanziare surrettiziamente il comune in questione.
Quando passo per lavoro mi fermo al Gigante di Lonate Pozzolo o all’Iperal di Bovisio Masciago. Due insegne molto interessanti. Recentemente Banco Fresco a Varedo, Tigros in via Giambellino e il Bennet di Viale Corsica. Infine il Destriero a Vittuone e Lidl a Corbetta. In Trentino, la mia seconda casa, Poli a Malè oppure Aldi a Cles. Al mare, la Coop di Follonica. Mi manca il Veneto dove ritornerò presto e dove mi attirano un paio di insegne e il sud dove ho avuto la fortuna di aprire numerosi punti vendita e quindi mantengo numerosi contatti. Non ho preferenze particolari. Dopo tanti anni di frequentazione non è l’insegna in sé che mi cattura. Mi piace entrare nel punto vendita e osservare. Ho partecipato a tante aperture, dalla selezione del personale alla costruzione delle squadre, che mi basta poco per capire il clima e la presenza, o meno, del cosiddetto “quiet quitting” quella condizione, oggi tanto evocata ma presente da sempre nei punti vendita, in cui le persone riversano nel lavoro solo il minimo indispensabile rinunciando a mettersi in gioco. Oppure dove non sono gestite correttamente.
Oltre ai prodotti e alle offerte nei supermercati, che registro solo se sono particolarmente interessanti, osservo quindi le persone nel lavoro. Come si muovono, come gestiscono la merce sui lineari. Come affrontano e supportano (o sopportano) i clienti. E, ovviamente, mi piace osservare la gente, i clienti che li frequentano. La fretta di alcuni e la calma olimpica di altri. Il sorriso sardonico quando apre improvvisamente una cassa e si infilano lasciando gli altri basiti per lo scatto di quello che sembrava un pensionato dal passo incerto. Le borse di plastica che segnalano la propensione al nomadismo tra insegne. La soddisfazione del direttore di un punto vendita minore quando il cliente posiziona la “sua” merce nel sacchetto dell’insegna leader.
C’è però una generale contraddizione tra chi frequenta questi templi del consumismo moderno e chi li racconta. Troppo tecnicismo, troppi numeri e poco calore nelle descrizioni della realtà. Eppure regie di punto vendita e addetti spesso ci mettono l’anima. Si è parlato molto di loro durante la pandemia raccontando l’impegno e i rischi che si stavano assumendo. È però così tutti i giorni. Dall’apertura alla chiusura del negozio succede un po’ di tutto.
Renato Curcio un sociologo noto per altre vicende ha scritto diversi articoli sull’isteria immotivata di certi clienti. Sui meccanismi di controllo del lavoro. E poi Capi area, Ispettori, Direttore, Capo reparto e spesso qualche visita a sorpresa del management aziendale, tutti con il budget in testa, non garantiscono sempre incontri sereni. Lavorare in un supermercato sembra la cosa più semplice del mondo visto che non servono, in partenza, titoli o esperienze particolari. Serve impegno, voglia di migliorarsi, capacità di lavorare con gli altri e disponibilità. Avere poi un buon carattere aiuta. Orari e loro distribuzione nella giornata e nella settimana non sono per tutti. Eppure giovani e meno giovani vengono formati e diventano rapidamente una squadra. Ovviamente se il responsabile del punto vendita sa fare il suo lavoro.
Gestire un’organizzazione complessa fatta di esigenze aziendali e priorità individuali, impegni reciproci, emergenze e assenze non programmate attraverso budget organici con relativi costi e che, a differenza di un reparto industriale non hanno solo il prodotto da governare ma pure il cliente con le sue esigenze, non è facile. Spesso i top manager si fanno fotografare al caricamento scaffali o alle casse. Pochi di loro saprebbero gestire quel concentrato di umanità e di esigenze aziendali da far coincidere ogni giorno. E questo accade in un qualsiasi punto vendita della GDO. Ogni errore di gestione delle persone se non affrontato e risolto crea attriti e complicazioni da gestire.
Da HR una delle attività che preferivo era incontrare quelle persone definite “cause perse” dai commerciali dell’azienda. Questi ultimi, si sa, cambiano idea sulle persone alla velocità della luce. Non ho mai trovato in questi incontri persone perse per sempre alla causa aziendale. C’è sempre un motivo scatenante, un errore di gestione, una parola data e non mantenuta. Una sottovalutazione delle esigenze e delle priorità dell’interlocutore che in una piccola comunità si trasforma in condanna o pregiudizio. Rimosso il guaio le persone ripartono con tutt’altro spirito.
Se osserviamo una qualsiasi insegna da questo punto di vista ci accorgiamo che sono, in fondo, tutte uguali. Nei pregi e nei difetti. Può cambiare la job description per alcuni compiti richiesti o meno ma la sostanza non cambia. C’è però una enorme differenza. La qualità del personale, la loro disponibilità la loro competenza in tempi dove promozioni e sconti sono alla portata di tutti, e dove i clienti sono più infedeli che in passato, stanno diventando il vero spartiacque. È la squadra e quindi il servizio offerto il vero punto di forza. Eppure tutti gli esperti scrivono di referenze, convenienza, formati, crisi delle grandi superfici. Si dà per scontato ciò che scontato non è: la qualità delle persone. La loro formazione, i percorsi di carriera, il loro punto di vista. L’ingaggio e il coinvolgimento.
Chi gestisce il miglior reparto pescheria di un’insegna, chi la panetteria o la gastronomia? Oggi ci sono insegne che reggono ancora per le leggende metropolitane che le accompagnano. Non per una distintività che spesso non c’è più. “Quell’insegna è la più conveniente”. C’è la carne migliore”, “la gastronomia è eccezionale”. Se si interrogano i clienti queste affermazioni si sentono spesso.
Se fossi nei responsabili di un’insegna oggi mi interrogherei proprio su questo punto. Non accontentandomi di fermarmi soddisfatto o meno al costo del personale e al budget. Credo che su questo andrebbero accesi più spesso i riflettori perché sempre più la differenza che decreta il successo di un PDV la fanno le persone. Il loro contributo e il loro impegno personale. Negozio fisico, negozio digitale è questo il problema oggi? Il problema è il servizio. La qualità e la risposta l cliente. Fisica o digitale che sia. È una delle declinazioni moderne del concetto di “convenienza” di un’ insegna. Una delle ragioni che spingono a premere o meno un click o varcare una soglia di un negozio piuttosto che un’altra.