Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…

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Il rischio che l’inflazione duri ben più del previsto è reale.  Un recente  studio della Bce, tramite alcune simulazioni, giunge anche a calcolare un possibile aumento dei prezzi al consumo globale compreso tra lo 0,9 e il 4,8 per cento. È l’effetto sulla crescita dei prezzi del cosiddetto processo di “reshoring”, vale a dire il rimpatrio delle produzioni per evitare di dovere dipendere da altri Paesi come la Cina o l’India. Fino ad ora l’inflazione è stata scaricata sostanzialmente sul consumatore. Soprattutto a reddito fisso.  Non sulle imprese di produzione.

Se parliamo di consumi alimentari si è scaricata anche sui margini delle imprese della GDO che, almeno in una prima fase, forse sottovalutando il fenomeno o ritenendolo  passeggero, ne hanno in parte assorbito le dinamiche.  Resta purtroppo la realtà. Da un lato c’è chi accusa la GDO di speculare sui prezzi e dall’altro la GDO  che cerca di smarcarsi con diverse strategie. Il Fatto Alimentare (https://bit.ly/3MWdQRx) mette sotto i riflettori un punto vendita di Esselunga.  Non è solo l’azienda di Pioltello che cerca di  proporre, attraverso sconti e promozioni a getto continuo,  una convenienza complessivamente maggiore della propria offerta rispetto alle altre. Il consumatore però percepisce una grande confusione e si muove sempre più con maggiore cautela. 

Detto questo, un dato però emerge nella sua crudezza. È difficile convincere il cliente della propria estraneità agli aumenti, spesso esagerati, dei prezzi quando  i costi, aumentati a causa della lievitazione delle materie prime, vengono dati per rientrati. La Grande Distribuzione, fin che ha potuto, si è difesa. Non ha cercato gli aumenti. Li ha subiti. Sconti e promozioni, concordati o meno con i fornitori, restano una delle poche armi a disposizione visto che di strategie comuni di filiera non se ne parla. Così come di superare l’impostazione dei contratti lunghi con l’industria in regime di alta inflazione che, oltre ad essere un errore che alimenta l’inflazione stessa, rischia di ritornare al mittente, prima o poi, come un boomerang.

Fuori dal nostro sguardo quotidiano  tra i buoni esempi di azioni che rientrano in una  filosofia di contenimento ci sono Tesco, nel Regno Unito, e l’insegna francese E.Leclerc. Per Tesco, un approccio a tre livelli ha dato i suoi frutti. Oltre all’allineamento dei prezzi di alcuni articoli con quelli dei negozi Aldi (l’insegna discount più conveniente nel Regno Unito), l’azienda ha anche introdotto i “Clubcard Prices”, una serie di sconti esclusivi effettuati automaticamente alla cassa per i titolari della carta fedeltà del distributore. Questi sconti sono diventati una parte centrale del marketing di Tesco nell’ultimo anno, contribuendo a migliorare significativamente la percezione del valore e della qualità dell’insegna agli occhi dei suoi clienti.

E.Leclerc insegna leader in Francia ha rivendicato  il suo impegno nei confronti dei suoi clienti. Nel corso del  2022, ha lanciato  un suo “scudo anti-inflazione” un programma che offre buoni sulla carta fedeltà per controbilanciare gli aumenti di prezzo di 120 articoli tra i più frequentemente acquistati. Michel-Édouard Leclerc, presidente dell’insegna, pubblica regolarmente interviste ed articoli sugli sforzi compiuti dall’insegna per mantenere i prezzi a un livello basso sulle sue reti. Anche in Italia fortunatamente ci sono realtà che si muovono in questa direzione in una sorta di EDLP. Strategie diverse pur con lo stesso obiettivo. La differenza sostanziale è che nessuno da noi contribuisce a governare la partita.

Al consumatore italiano così, interessa poco di chi è la vera colpa. I suoi soldi li spende al supermercato e quindi ascolta con diffidenza le giaculatorie delle insegne sulla loro convenienza. Il rischio vero è che si incrini proprio il rapporto di fidelizzazione faticosamente costruito.  Inoltre il consumatore sa benissimo che, una volta aumentati, i prezzi difficilmente tornano indietro. Quindi c’è un’inflazione ufficiale, quella dell’ISTAT a cui segue quella reale che colpisce il rapporto tra consumi familiari e reddito disponibile che, con gli stipendi fermi, modifica nel tempo la struttura stessa dei consumi.  Anche perché i risparmi  si stanno assottigliando.   (Da dicembre 2021 a marzo 2023, l’inflazione ha  eroso i depositi delle famiglie e invertito la loro tendenza ad accantonare riserve da 2.076 a 2.015 miliardi. Dati FABI). Un segnale pesante. 

La scelta più semplice sarebbe stata quella di spiegare ai propri clienti la situazione indicando il differenziale di prezzo con la motivazione. E contemporaneamente concordare un paniere con le istituzioni per tutelare i redditi più bassi rafforzando le iniziative di tutte quelle insegne che già si erano mosse in questa direzione. Ma per questo occorrerebbe un impegno organizzativo, una determinazione e  un’autorevolezza collettiva che non ci sono ancora.  Le richieste esagerate da parte dell’industria, laddove dimostrate, avrebbero dovuto essere stigmatizzate singolarmente evitando inutili generalizzazioni che creano solo confusione.

Per fare questo sarebbe stata però necessaria un’azione comune. Si è preferito procedere in ordine sparso. Chi rivendicando un ruolo attivo contro gli aumenti e chi accettandoli in silenzio. E poi manovrando su sconti e promozioni a getto continuo.  In entrambi i casi con scarsa credibilità rispetto ai consumatori che hanno reagito accentuando il nomadismo tra insegne o scegliendo, a parità di prodotto, quello meno caro. Oppure come sottolinea il “Fatto Alimentare” ponendosi delle domande su qual’è il giusto prezzo di un prodotto.  Un gioco sostanzialmente a somma zero che aumenta la confusione. Gli aumenti in fondo fanno comodo ai bilanci di tutte le aziende e i clienti, preso atto della loro diffusione generalizzata, non possono che subirne gli effetti. La tecnica adottata da Esselunga di “stordire” il cliente sul posto con sconti e promozioni come se “non ci fosse un domani” ha funzionato? Nel breve sembrerebbe di sì. E non solo a Esselunga. A fine anno verificheremo i volumi ma i fatturati ne hanno sicuramente beneficiato. “Se non puoi convincerli, confondili” recita la famosa legge di Truman. 

In tempi di Nutriscore e di Nutrinform non poteva però mancare la proposta del “semaforo della spesa”. Ci ha pensato Assoutenti Sul sito dell’associazione è possibile trovare un elenco di prodotti con annessi gli aumenti dei costi, in modo da poter avere un’idea chiara della situazione. Il sistema a semaforo punta a rendere la spesa più consapevole ed economica prevedendo il colore verde per tutti i prodotti con una crescita percentuale rientrante nel tasso di inflazione programmata, pari al 5.4%. Il Colore giallo, invece, indica i beni che nell’ultimo mese hanno fatto registrare un aumento superiore all’inflazione programmata ma, nonostante ciò, all’interno delle statistiche nazionali, pari al 7.6%. Infine, verrà assegnato il semaforo rosso per tutti i beni il cui rincaro supera la media italiana.

Secondo il presidente di Assoutenti,  Furio Truzzi: “Il sistema semaforico vuole fare trasparenza e aiutare le famiglie, guidandole verso una spese intelligente In un secondo momento, poi, si provvederà a un’articolazione a livello regionale”.  In questo modo, i consumatori potranno sapere quali prodotti sono colpiti da rincari e quali no. Quindi cosa conviene acquistare e cosa è meglio posticipare e come costruire un paniere di prodotti a prezzi calmierati da proporre a Governo, Gdo, produttori ed enti locali come misura anti-inflazione.

“I dati sull’inflazione di maggio dimostrano come l’emergenza prezzi è tutt’altro che risolta in Italia, con i listini al dettaglio che per alcuni comparti, come alimentari e carrello della spesa, rimangono a livelli elevati – spiega sempre il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi – Tra i beni che registrano i rincari più forti figurano oggi lo Zucchero (+52,6% su anno), i Voli nazionali (+43,2%), il Riso (+37,1%), i Voli internazionali (+36,6%), il Latte conservato (+28,7%), l’Olio di oliva (+24,6%), le Patate (+22,2%) e i Gelati (+22%). All’interno del paniere dei beni utilizzato dall’Istat per il calcolo dell’inflazione, tuttavia, non tutti i prodotti subiscono gli stessi aumenti di prezzo. Alcuni latticini, ad esempio, rincarano a ritmo più sostenuto rispetto ad altri alimenti sempre a base di latte, oppure alcuni vegetali subiscono aumenti doppi rispetto ad altri della stessa categoria. Lo stesso discorso vale per alcune tipologie di carne o di pesce, ma anche per beni per la casa, elettrodomestici, cura del corpo, accessori, abbigliamento, ecc.”.

Insomma un’iniziativa interessante che serve a spingere ad una maggiore consapevolezza d’acquisto il consumatore. E ad una maggiore serietà l’intera filiera in un contesto economico delicato che rischia di durare a lungo. Ed è quello che, credo, dovrebbe essere un obiettivo condiviso da  tutti. 

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