Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…

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Sui piazzali della logistica è sempre più difficile trovare i sindacati confederali come interlocutori. Le varie formazioni legate al sindacalismo di base hanno via via preso il sopravvento. Così come nei magazzini di molte realtà che lavorano anche per la grande distribuzione. Picchetti e denunce sono all’ordine del giorno. Per queste formazioni sindacali,  con un seguito di associati ancora complessivamente modesto, eterogeneo e in cerca di visibilità, il ricorso alla  magistratura rappresenta una parte decisiva della loro strategia. L’obiettivo è tenere aperto un clima di tensione continua per ottenere un risalto mediatico. In alcuni casi si assiste ad un gioco di sponda tra loro, i media che non amano il sindacalismo confederale e alcuni magistrati anch’essi in cerca di visibilità. 

La verifica della consistenza e della veridicità delle accuse formulate dalla Procura di Milano sarà oggetto dei tre gradi di giudizio. E questo vale per Esselunga come per qualsiasi altra azienda. Sull’azienda di Pioltello conservo qualche dubbio aggiuntivo sulla consistenza delle accuse stesse. Per lunghi anni oggetto di verifiche e controlli di tutti i tipi per le esternazioni “spigolose” dell’anziano leader hanno portato  quella realtà  ad essere estremamente attenta e sensibile al contesto legale e contrattuale. Molto più di altre. Per questo preferisco attendere gli sviluppi prima di esprimere qualsiasi giudizio. Spesso alle iniziative della Procura milanese accompagnate da un forte eco mediatico non è seguito nulla di risolutivo.

In termini generali, il “sottostante” non nasce oggi e non è sconosciuto. Dura da almeno vent’anni. Ogni tanto se ne parla ma, purtroppo, nessuno affronta alla radice il problema. Il tema delle finte cooperative (cosiddette spurie) che nascono e muoiono con l’obiettivo di sfruttare i lavoratori immigrati ed evitare tasse e contributi  inserendosi nei sub sub appalti, spesso bypassando qualsiasi  controllo, esiste. Bisogna però stare attenti a non generalizzare perché si rischia di colpevolizzare un sistema che non c’entra nulla. In Italia ci sono circa 60 mila cooperative, che da sole danno lavoro a circa il 7% dei dipendenti privati. Non si tratta quindi di una nicchia, ma di una parte importante della nostra economia. E le continue denunce di Lega Coop e Alleanza cooperative sulle anomalie riscontrate dimostrano che lo stesso sistema cooperativo, per la grandissima parte sano e autentico, cerca di isolare il fenomeno: “Chiediamo il pugno duro contro le false cooperative” hanno spesso dichiarato i loro dirigenti. 

I settori maggiormente interessati da questi fenomeni sono quelli della lavorazione delle carni, dell’agroalimentare, delle costruzioni edili ed infrastrutture, dell’autotrasporto, della logistica e del facchinaggio, dei noleggi, dell’attività di assistenza sociale dove le modalità di esecuzione dell’appalto non si discostano molto dalla mera fornitura di manodopera. Ricordo le difficoltà che ho incontrato  in Rewe italia per riportare tutto il sistema logistico di supporto ad un livello di trasparenza accettabile. Le lunghe notti passate dentro e intorno ai magazzini di Lacchiarella per intercettare lavoratori senza permesso di soggiorno spinti a  scavalcare le recinzioni dai caporali per pochi euro e sostituire i lavoratori regolari delle cooperative abbassandone così i costi e questo nonostante gli accordi blindati sottoscritti e gli impegni formali. Le vie di fuga sono infinite. Fortunatamente, grazie ad interlocutori seri (nel nostro caso la CLO – cooperativa lavoratori ortomercato aderente alla Lega della Cooperative) ne siamo venuti a capo.

Capisco la preoccupazione  che in queste ore, dopo l’intervento della Procura di Milano, spinge molti CEO a pretendere risposte dai loro direttori amministrativi (e dai loro legali). Eppure ci si dovrebbe interrogare per tempo. Sulla  storia e quindi sulla la credibilità  dell’appaltatore individuato, innanzitutto. In secondo luogo il costo del servizio. Se  è inferiore ai minimi del CCNL firmato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, soprattutto in presenza di subappalti dove l’appaltatore affida ad un subappaltatore in tutto o in parte, l’esecuzione del lavoro ad esso appaltato. Infine i controlli sul posto. Devono essere diretti, continui e costanti. Non basta avere le buste paga dei lavoratori della cooperativa sulla scrivania. Spesso ciò che è scritto sul cedolino paga non corrisponde affatto al lavoro effettivo. E poi i controlli all’INPS. Mai fidarsi del terzista senza verificare la veridicità delle sue affermazioni. 

Ma cosa sta succedendo ormai da troppo tempo, nella logistica e nei servizi alle imprese?

Non è la prima volta che la Procura di Milano promuove un’inchiesta. Nessuna ha però risolto  il tema principale. Aziende di grosso calibro come Fiera Milano, Uber, Tnt, Lidl, Dhl, Gls, Brt, Geodis, i colossi della logistica italiana e internazionale che, con diversi gradi di responsabilità ma identico meccanismo, sono state indagate. Hanno sottoscritto accordi trovandosi invischiate con cooperative solo di nome, che nascono e muoiono nel giro di pochi anni per evitare i controlli, nelle quali i lavoratori sono soci solo formalmente, ma non hanno alcuna voce in capitolo  e vengono trasferiti da una coop all’altra alla bisogna.

Sono, come scrive Francesco Riccardi su Avvenire: “serbatoi di braccia umane da impiegare il più a lungo possibile e pagare il meno possibile, privi dei diritti conquistati dai dipendenti diretti delle aziende presso cui vengono “somministrati” (illegalmente). Contenitori, inoltre, utili per emettere fatture, molto spesso false o gonfiate, tali da assicurare ai committenti indebiti risparmi fiscali o provviste per fondi neri”. Secondo la procura milanese sarebbero state create società ‘filtro’ che a loro volta si sono avvalse di diverse società cooperative (società ‘serbatoio’), mentre in altri sono stati intrattenuti direttamente con quest’ultime che hanno sistematicamente omesso il versamento dell’Iva e, nella maggior parte dei casi, degli oneri di natura previdenziale e assistenziale”. I segnali di degrado ci sono purtroppo tutti.

Da cosa si riconosce una cooperativa cosiddetta “spuria”? In genere sono cooperative non associate alle centrali cooperative; non rispettano i contratti collettivi sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi; hanno sovente un rapporto di mono committenza con un’impresa appaltante e non operano per il mercato. Sono quasi sempre imprese di nuova costituzione, costituite ad hoc e spesso in successione cronologica tra di loro; sono quindi sempre sconosciute nel settore in cui operano, e non hanno alcun know how; Gli stessi lavoratori di cooperativa il più delle volte neppure sanno di essere soci, perché non hanno scelto questo ruolo, e semmai lo subiscono, insieme al versamento della quota sociale che viene trattenuta loro con quote mensili dai primi stipendi. Non vi sono perciò quasi mai lavoratori dipendenti in queste cooperative ma soltanto soci. Si tratta di cooperative caratterizzate dall’alta presenza di lavoratori immigrati, la cui debolezza contrattuale e sociale li spinge più di altri verso questi settori di lavoro povero, per l’ovvia necessità di avere un contratto che è condizione indispensabile ai fini della legittimità del soggiorno (e quindi della loro stessa esistenza nel nostro Paese).

Per queste ragioni, più che sollevare inutili polveroni, occorrerebbe, invece, una risposta più forte, preventiva, da parte del Governo e del Parlamento. Con norme che circoscrivano e restringano nettamente i confini della somministrazione di manodopera. Con una vigilanza più attiva degli organi preposti, delle parti sociali e dei cittadini-consumatori. Accanto a norme repressive, possono inoltre essere utili norme indicative  come quelle previste dalle legge regionale dell’Emilia Romagna che istituisce un elenco degli operatori economici nei settori dell’autotrasporto di merci, dei servizi di facchinaggio e dei servizi complementari presenti sul territorio regionale con l’istituzione dell’elenco regionale dei prezzi relativi ai servizi di facchinaggio, ai servizi complementari e all’attività di logistica, come strumento di supporto per la valutazione della congruità del costo delle attività di tali settori.

Come ho scritto, il fenomeno è ormai presente da più di vent’anni. Senza interventi risolutivi  resta la cruda realtà. I piazzali, gli scontri, lo sfruttamento degli immigrati e i ricorsi alla magistratura. È tutto ciò che questo  comporta.

 

 

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