Pappagone, celebre personaggio televisivo degli anni ’60 nato dalla fantasia di Peppino de Filippo, si sarebbe chiesto di fronte al bivio che oggi deve affrontare Conad dopo l’uscita di Francesco Pugliese se è meglio essere “vincoli o sparpagliati”. Tutti insieme, convinti e uniti per continuare a crescere, oppure ognuno per conto suo come in una normale centrale o super centrale di acquisto, seppure di matrice cooperativa, regolata da una formale unità di facciata. Se dovessi dare un consiglio (non richiesto) ai leader delle 5 cooperative Conad e al loro Presidente, suggerirei di ripartire da qui.
Nella vicenda che ha coinvolto Conad, seguita all’acquisizione di Auchan, diversi protagonisti diretti o indiretti, hanno preferito non sentire il fischio dell’arbitro che segnalava la fine di quella partita e l’inizio di una nuova fase. La complessa operazione era comunque destinata, per protagonisti, dimensione e dinamiche economiche e sociali, a portare con sé contraddizioni e conseguenze inevitabili. Nel comparto, abituato ad acquisizioni e riorganizzazioni continue ma, tutto sommato modeste, una vicenda che avrebbe potuto trasformarsi in uno dei tanti disastri economici e sociali per i numeri coinvolti, per visibilità e per la complessità dell’operazione stessa si è però chiusa positivamente.
Comprensibili ovviamente, le delusioni manifestate da molti ex Auchan. Traditi dalla multinazionale in cui avevano investito passione e professionalità e in parte snobbati da chi è subentrato hanno continuato a cercare conferme al loro legittimo giudizio negativo su chi se ne è andato, su chi è arrivato e su tutti coloro che cercano o hanno cercato di chiudere una fase e guardare avanti.
Altra cosa sono i giudizi su aspetti specifici e, tutto sommato marginali per la dimensione dell’operazione. Personalmente accetto il suggerimento del direttore di Starmag Michele Arnese quando cita il Socrate del “so di non sapere”. Le inchieste giudiziarie hanno i loro tempi e il loro svolgimento. Sollevare polveroni, insinuare, esprimere facili opinioni derivate quasi sempre da modesti o antichi rancori personali, non serve a nulla. Far intendere di aver già capito tutto quando non si sa un bel nulla è pratica di un certo “opinionismo” che, come ricorda Giorgio Gaber, “riesce a dire tutto senza dire niente con i suoi “parrebbe”, “si vocifera” e “si dice”.
Comunque la si pensi sull’operazione Auchan, il Consorzio deve decidere come voltare pagina. Nei vent’anni circa della leadership di Francesco Pugliese il policentrismo decisionale del sistema, pur sempre presente, aveva inevitabilmente ceduto il passo ad un modello più performante che nel territorio aveva ovviamente i suoi punti di forza operativi lasciando al centro visione e strategia sempre ovviamente condivisa con i vertici delle cinque cooperative. E questa è stata la differenza tra l’aver optato per un CEO con precise caratteristiche personali e professionali piuttosto che un “amministratore di condominio” come hanno fatto altri gruppi.
È chiaro che per alcuni tra i cooperatori più anziani e legati a modelli precedenti (dove le decisioni venivano assunte non tanto in base alla qualità delle proposte quanto piuttosto dai millesimi posseduti) il cambiamento innestato, la visibilità acquisita, l’accelerazione al contesto interno e la sua pervasività sembra siano stati vissuti più come una minaccia al loro ruolo e al loro perimetro che come un’opportunità per crescere e da condividere con gli altri. Il Conad di oggi è un’altra cosa rispetto a prima. E certe abitudini e culture non hanno più ragione di esistere. Francesco Pugliese ha terminato il suo mandato. Tutto il resto, compreso quello che è uscito a suo tempo sotto forma di veline teleguidate, verrà affrontato in altre sedi.
Per queste ragioni, se fossi un socio, rifletterei innanzitutto sul livello di unità ancora possibile delle cinque cooperative e sulla capacità degli attuali leader pro tempore di stare in campo, insieme. Se la risposta costringerà a prendere atto che l’attuale primazia del comparto è stato un punto di arrivo generato dalla visione e dalla determinazione di Francesco Pugliese e non da una precisa e condivisa volontà comune, ogni cooperativa (chi più chi meno) rifluirà a presidiare il proprio perimetro limitandosi ad un rapporto formale con le altre. Per quello che conta il mio parere, una decisione del genere sarebbe però un errore.
Conad oggi è ben altra cosa rispetto ad un insieme di cooperative dove alcuni hanno gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore. Conad ha ormai un profilo preciso e unitario di insegna ben lontano dal modello cooperativo originario. Come Rewe in Germania, altri in Francia o altrove. Capisco l’etnocentrismo esasperato e l’attaccamento che alcuni tra i più anziani cooperatori hanno con ciò che loro stessi hanno costruito ma quel tempo è ormai alle spalle. A meno che, come ho già scritto, per qualcuno il primato e le responsabilità che derivano dal nuovo status di leader del comparto è vissuto in contrasto con il senso di appagamento di ciò che la propria esperienza imprenditoriale ha prodotto. Ma questo sarebbe lo stesso problema che hanno altri imprenditori del comparto, pur non cooperatori, che hanno difficoltà a farsi da parte rendendo improponibili e fragili gli stessi passaggi generazionali.
Alla base del successo del consorzio ci sono gli oltre 2200 soci imprenditori che gestiscono 3.928 punti vendita e che garantiscono alle 5 cooperative un fatturato di 18,45 miliardi nel 2022 (+8,5% sul 2021). Immagino a fatica una situazione di contrasto del genere a Rewe o Edeka in Germania che pure hanno un modello analogo. Questo gruppo di imprenditori assolutamente performanti (chi più chi meno) nei rispettivi campionati interregionali ha dimostrato nel tempo di saper ricoprire il ruolo assegnato in partita. Oggi deve presentarsi ai soci e al Paese dimostrando di essere in grado di continuare a giocare nella massima divisione.
C’è un modo di dire anglosassone che recita «Can’t See the Forest for the Trees». Inutile perdersi in dettagli minuti (il proprio albero) scordandosi il quadro generale (la foresta). È la foresta la sfida. L’inflazione, sotto il profilo finanziario, aiuta. Inutile negarlo. Quest’anno un po’ di polvere sotto il tappeto può anche essere nascosta. Ma lo sguardo deve andare oltre il 2023. Altri gruppi incalzano alle spalle e confermarsi ad alti livelli è sempre più difficile.
Per farlo occorrerebbe porsi delle domande precise e non avvitarsi su sé stessi. Innanzitutto in che modo il consorzio nel suo insieme investe sui suoi imprenditori per garantirsi un ricambio generazionale nelle cooperative stesse? Quale formazione di alto livello intende mettere in campo per sostenerne la crescita? Conad dopo aver digerito Auchan può rimettersi a pensare ad altre acquisizioni? Il know how che ha in casa, ad esempio sul formato discount, può generare nuove opportunità? Può continuare a investire sulla sua struttura operativa interna di ottimo livello valorizzandone il ruolo e potenziandone la managerialità e il coinvolgimento o punta fare del “policentrismo decisionale” una caratteristica ineliminabile del proprio sistema con i suoi veti incrociati? E sul lavoro, la sua attrattività in tempi di scarsità di risorse, il suo riconoscimento e il coinvolgimento del cosiddetto “cliente interno” quali proposte intende mettere in campo? Da leader si hanno doveri maggiori che da follower. Lo stesso vale per il rapporto con i sindacati, in crisi di relazione dall’acquisizione di Auchan.
Domande legittime oggi, credo, ancora senza risposta. D’altra parte la qualità di una strategia imprenditoriale in una compagine così eterogenea si misura su come propone di affrontare il futuro. Essere primi ciascuno nel proprio cortile di casa o insieme nel Paese non è esattamente la stessa cosa.
Mario Sassi ci conosce molto bene, il punto cruciale del mondo Conad e anche di tutta la cooperazione è il cambio generazionale, per i soci è un problema familiare, per i dirigenti dovrebbe essere altro.
Vero. Per i soci L’importante è costruire insieme un percorso che lo favorisca. Per i dipendenti, dirigenti o meno occorre prevedere percorsi di aggiornamento continuo. Per i top manager vale la regola (non solo nel privato) che non esistono manager adatti a tutte le stagioni.