Il patto anti inflazione, al di là dei risultati che produrrà concretamente, dimostra che un comparto economico vale ed è ascoltato se dimostra di sapersi rappresentare unito in tutte le sue componenti. La polemica sul cosiddetto “caro carrello” e sulle performance economiche “stratosferiche” della GDO facevano presagire una messa in mora dell’intero settore che, per ora, è stata sventata. Il consumatore si ferma allo scontrino. Non vede i listini ballerini dell’industria.
L’esperienza che se ne dovrebbe trarre da questa vicenda è che una federazione che raggruppi tutta la Grande Distribuzione non può che essere, ancora di più, un obiettivo irrinunciabile. I “mal di pancia” della vecchia guardia cresciuta nelle guerricciole tra insegne e il fatalismo di chi, pur comprendendo il problema, è scettico sugli altri compagni di strada, dovrebbero lasciare il campo a nuovi leader in grado di condividere una visione comune. Per questo insisto spesso sulle analogie e sugli esempi dei nostri cugini francesi.
Alexandre Bompard, CEO di Carrefour è, da poco, presidente della Fédération du Commerce et de la Distribution (FDC). L’associazione che riunisce la maggior parte dei grandi marchi della distribuzione alimentare francese, compresa quella specializzata. È subentrato a François Bouriez, co-amministratore delegato del gruppo Cora-Louis Delhaize, che ricopriva questa carica dal 2011. Su LinkedIn, una volta eletto, si è subito dichiarato “onorato di questa nomina e ha paragonato il suo impegno per la FDC a quello che già contraddistingue Carrefour: “In un’epoca di inflazione galoppante, di trasformazione digitale e di lotta al cambiamento climatico, le battaglie sono numerose. E sono da tempo le nostre in Carrefour. Sono entusiasta all’idea di affrontarle con tutti i membri della FDC.”
Per capire le ragioni che hanno spinto Carrefour e il suo CEO a diventare la punta di diamante nell’interlocuzione con il Governo francese sul patto anti inflazione e contro le resistenze di una parte dell’industria denunciando anche la skrinflation nei propri punti vendita è necessario partire da qui. Alexandre Bompard è un top manager che ha ridato un’immagine vincente a Carrefour togliendola dalle sabbie mobili di una crisi che sembrava irreversibile, è un top manager riconosciuto, interlocutore della politica francese e un leader nel comparto.
La Fédération du Commerce et de la Distribution (FCD) rappresenta le imprese della distribuzione prevalentemente alimentare. Questo settore conta oltre 700.000 posti di lavoro, 2.000 ipermercati, 5.702 supermercati, 4.605 hard discount e 17.000 minimarket, ovvero circa 30.000 punti vendita per un volume d’affari di 200 miliardi di euro. Interviene in particolare nei settori della sicurezza alimentare, dello sviluppo sostenibile, delle relazioni economiche (PMI, industriali, settori agricoli), dei rapporti con le parti sociali e temi legati alla pianificazione territoriale e all’urbanistica commerciale.
Il comparto oltralpe vanta 4 realtà tra le prime 25 nel mondo con il 40% del fatturato prodotto all’estero e il 70% degli acquisti nel Paese viene fatto tra le insegne associate (dal sito FCD). Con questo biglietto da visita e con le opportunità create sul piano occupazionale, ambientale, sociale e di sostegno alle produzioni nazionali la GDO francese, parte del terziario di mercato, non si sente seconda a nessuno. L’autorevolezza parte da qui.
In Italia le aziende della GDO sono distribuite in diverse associazioni. La prima e la seconda impresa del comparto (Conad e Coop) fanno vita a sé con ANCD e ANCC. Le associazioni che ne rappresentano gli interessi. La prima, poi, ha scelto Confcommercio che resta uno degli interlocutori privilegiati di questo Governo (insieme a Confindustria e Coldiretti). Federdistribuzione, a sua volta, raggruppa la stragrande maggioranza delle insegne, Confesercenti qualche realtà locale e, infine, Confimprese che ha un taglio associativo più trasversale che raggruppa ulteriori realtà importanti presenti nel Retail.
Confcommercio, Confesercenti e Federdistribuzione sono titolari di un contratto nazionale. Le prime due di natura confederale con il quale vanno ben oltre il commercio in senso stretto, la terza esclusivamente di comparto. Aggiungo che Amazon aderisce a Conftrasporto in Italia che fa parte di Confcommercio mentre in Europa è in Eurocommerce insieme a Confcommercio e a Federdistribuzione. Infine Alcune realtà della GDO, pur in Federdistribuzione, si muovono in sintonia con Confcommercio a livello locale utilizzandone i servizi associativi. Il mondo dei discount è in parte in Federdistribuzione e in parte fuori. Un quadro abbastanza complesso che toglie inevitabilmente peso a ciascuna associazione distribuendolo in perimetri a volte convergenti e a volte rissosi impegnati a riaffermare una reciproca visibilità.
Se dovessimo semplicemente sommare gli occupati dichiarati da ciascuna associazione di rappresentare avremmo numeri completamente starati rispetto alla realtà. Questa è una delle ragioni che tiene lontano i pur lodevoli tentativi del CNEL di certificarne la reale rappresentatività. Oltre alla certificazione della provenienza delle rispettive entrate. L’altra ragione è che certificare “chi rappresenta chi” è materia complessa. Nel terziario di mercato, quindi nel commercio, Confcommercio è sicuramente la più titolata ma non è così nei sotto settori specifici. Nessuna quindi può vantare una maggioranza assoluta. Aggiungo che in questa sovrapposizione di ruoli la cosiddetta contrattazione “pirata” aumenta la sua presa a livello locale o di insegna. Un guazzabuglio di difficile soluzione.
L’unità e l’autorevolezza espressa dalla propria leadership sono elementi fondamentali in tempi come questi. L’esempio francese è lì a dimostrarlo. La scelta di Carlo Alberto Buttarelli alla guida di Federdistribuzione, oltreché finalmente azzeccata dopo una serie di presidenze deboli, credo sia corretto considerarla propedeutica a successivi passaggi di convergenza unitaria. Era anche nel mandato di chi lo ha preceduto ma non è successo nulla. Il percorso intelligente e unitario delle associazioni che ha portato al “patto” è però lì a dimostrare che la “trappola” di non fare nulla sull’inflazione per poi scaricare sulla GDO l’insensibilità sociale è stata brillantemente evitata.
L’industria si è trovata di fronte una GDO diversa. Meno propensa a cedere, come al solito, sul piano collettivo per limitarsi a lucrare “sottobanco” a livello di singola insegna. Non c’è stato uno scontro frontale per due ragioni. Innanzitutto perché l’industria si è riallineata, pur a modo suo. E la seconda perché la GDO non ha affondato il colpo stigmatizzando gli esempi più evidenti di scorrettezza sui prezzi o cavalcando la skrinflation se non con qualche “puntura di spillo” sui social e in modo assolutamente generico. Per dirla con il Manzoni “il coraggio uno non se lo può dare”. Al contrario di Carrefour in Francia che non ha esitato ad intestarsi lo scontro.
Qui da noi le rispettive convenienze tra buyer e interlocutori industriali hanno consigliato di abbozzare. Un tatticismo che però non ha convinto fino in fondo i consumatori. E lo si è visto dalle reazioni in rete. Se un’azienda diminuisce la quantità ma non lo dichiara e l’insegna GDO tace, qualcosa suggerisce che c’è un idem sentire (un convenienza reciproca a vendere comunque quel prodotto) difficile da negare. Interessi di insegna, interessi di comparto e di filiera devono comunque trovare nuove sintesi. È più passa il tempo più cresce la consapevolezza che pur lunga e complessa, quella intrapresa, è la strada giusta.