Che questi rinnovi di contratto nel terziario e nella distribuzione moderna sarebbero stati più complessi da portare in porto dei precedenti, era evidente. I cinque anni trascorsi corrispondono ad un’era geologica in termini di business. Terziario e GDO sono cambiati in profondità attraversati da accelerazioni prima sconosciute. Pensiamo, ad esempio, alle insegne che hanno lasciato il campo, a chi è subentrato, all’esplosione del franchising, alla crisi dei grandi formati. All’affermarsi dei discount. Il contesto socio economico ha fatto il resto.
Va anche ricordato che, fino al precedente CCNL, quello firmato da Confcommercio del 2015, in campo, da entrambe le parti, c’erano leadership forti e riconosciute sia sul fronte datoriale che sindacale. Una storia importante che aveva attraversato diversi rinnovi contrattuali e che aveva consentito di costruire un impegnativo sistema bilaterale e di welfare si era però ormai chiusa e una nuova, in grado di “capire e gestire il cambiamento”, andava reciprocamente individuata. Lo avevano fatto altre categorie industriali a cominciare dai metalmeccanici. Federmeccanica e il sindacato di categoria avevano messo al centro il lavoro, il suo cambiamento, l’esigenza di coinvolgere le persone nella vita dell’azienda.
Non lo ha voluto fare Confcommercio che, nel 2019 non solo ha affidato ad un profilo lontano da questi temi, la responsabilità politica del Contratto nazionale ma ha pure ridimensionato l’area tecnica del lavoro e del welfare confederale senza porsi il problema di una sua necessaria evoluzione. Federdistribuzione, poi, solo nel 2018 era riuscita a siglare, insieme al sindacato di categoria, un suo CCNL, identico a quello di Confcommercio pur con uno “sconto” sul monte salariale.
Quel segnale sui costi, sottovalutato dal sindacato di allora, aveva fatto presagire, agli osservatori più attenti, che si stava consolidando nel comparto della GDO una ridefinizione del rapporto di lavoro che mirava ad una riduzione complessiva del suo costo, iniziata ben prima, sfruttando le maglie larghe offerte dalla legislazione, poi con il superamento della contrattazione aziendale, o con il suo ridimensionamento, in una logica, per così dire, “restitutiva”.
Il part-time involontario, ad esempio è cresciuto ovunque nel nostro Paese. Non solo nella GDO. Basti pensare che secondo i dati OCSE in Germania il PT involontario è al 5,2% del totale del part-time. La media OCSE è al 13,3% mentre in Italia è al 52,5%. Il lavoro domenicale e festivo è ormai diventato strutturale, l’inquadramento tradizionale si è sgretolato con l’emergere di nuove figure sempre meno riconducibili alle declaratorie originali. Il franchising si è diffuso, non solo nelle sue forme virtuose. I subappalti hanno preso vigore. In diverse realtà del centro sud, una sorta di contrattazione locale, ha iniziato a insidiare quella nazionale. È chiaro che tutto questo avrebbe dovuto essere monitorato e inserito in un nuovo “patto” tra imprese e sindacati. Il nuovo CCNL, appunto.
La richiesta di “distintività” di un testo importante, in fondo, nasce da qui. Giusto pretenderla da parte di Federdistribuzione che vorrebbe ridisegnare il nuovo CCNL su misura delle insegne e del comparto oggi. Altrettanto giusto che i sindacati pretendano che chi non rispetta i CCNL firmati, le norme di sicurezza sul lavoro e non affronti il tema dell’assunzione di responsabilità nei subappalti, vada sanzionato. Così alcune forme, pur necessarie, di flessibilità individuale dovrebbero essere inserite in percorsi di crescita possibile e non trasformarsi in una condanna ad una precarietà infinita, soprattutto per le lavoratrici. Non fare nulla non sarebbe una sconfitta solo per i sindacati. Costituirebbe una forma di “via libera” per le imprese scorrette. Un dumping inaccettabile. Ma tutto questo non lo si definisce nella concitazione delle fasi di chiusura di un negoziato. Né può diventare un alibi per non fare nulla. Anche Prampolini di Confcommercio aveva provato a rilanciare in dirittura d’arrivo. Prendendosi addirittura i rimbrotti della stessa Federdistribuzione. Non aveva capito che ormai il CCNL era al capolinea. I sindacati di categoria, assicuratisi l’aumento in linea con l’IPCA non ne potevano più, del tira e molla, dopo cinque anni. Da lì la retromarcia finale di Confcommercio e la firma conclusiva.
Chiusa la partita principale e raggiunta l’intesa con la cooperazione, per i sindacati, la firma di Federdistribuzione era attesa quasi come una semplice formalità. Anche molte aziende se l’aspettavano. Da qui la reazione di stupore, ad esempio, di Lidl. Ma anche di molte altre con cui mi sono confrontato. La firma è ormai attesa un po’ da tutti. È un errore dilatarne i tempi. “Qualcuno” al tavolo, di parte aziendale, ha pensato che un rilancio finale, che non avrebbe messo in gioco i famosi diritti acquisiti, poteva starci. Una pessima idea. Un grande favore a tutti coloro che cercavano responsabili per smarcarsi dall’accusa di essere la causa dei cinque anni di attesa.
È indubbio che Federdistribuzione sia affetta da “pisantrofobia”. La paura di fidarsi degli altri che non è generata però da un pericolo reale. È un’eredità del passato che ne tratteggia il profilo. Rappresenta la volontà di chiudersi in se stessa precludendosi la possibilità di costruire relazioni sociali costruttive. Vale verso l’esterno e, a volte, addirittura, tra le insegne stesse in perenne competizione tra loro. Nessuno così si fida di nessuno. Ma la firma del CCNL è oggi inevitabile. Serve un semplice passo indietro. Questo non esclude che le parti dovrebbero impegnarsi, contemporaneamente e insieme, a guardare avanti. Non sprecare il tempo come hanno fatto in questi cinque anni. È evidente che è ormai inevitabile raggiungere un’intesa. È altrettanto ovvio che occorra lavorare di comune accordo per definire, una volta per tutte, quella “distintività” che fino ad oggi non è stata possibile. È una sfida anche per i sindacati. Altrimenti, pur rinnovandolo, resta un testo inutilizzabile. L’obiettivo è quindi, per Federdistribuzione, liberarsi della “pisantrofobia” che la contraddistingue. O almeno provarci. Missione difficile, ma non impossibile.