Qualche anno fa un amministratore delegato tedesco mi fece chiamare con urgenza dalla sua assistente. Cosa era successo? Un collega, responsabile commerciale, alla sua richiesta di spiegazioni su una missione, ancora da compiere, in Sicilia, aveva risposto che non era tenuto a fornire alcuna spiegazione perché, in quanto dirigente, aveva l’autonomia di decidere cosa fare, quando e come. E che, l’amministratore delegato avrebbe dovuto e potuto misurarlo sui risultati e non sulla gestione del tempo o delle modalità di esecuzione della prestazione. Pur non giustificando la ruvidezza della risposta del collega ho dovuto confermare le sue buone ragioni nel difendere la sua autonomia e il suo modo di lavorare. Succede spesso, soprattutto da parte di manager di vecchia generazione, che si pretenda una presenza tipo quella richiesta ad un impiegato del catasto. Oggi si lavora per obiettivi e si dispone di una tecnologia che consente di lavorare in modo profondamente diverso dal passato scegliendo tempi e modi. Ma chi è rimasto in vecchi schemi superati ragiona ancora in termini di luogo fisico definito, catena di comando tradizionale e orario di lavoro. Il dirigente di vecchia scuola non delega, decide in prima persona, giustifica sempre i suoi comportamenti e, siccome non riesce a controllare tutto, accusa il prossimo dei propri limiti. Il mondo del lavoro è ancora abitato da figure di questo tipo. Fortunatamente stanno scomparendo perché nelle moderne organizzazioni non li vuole più nessuno ma resistono ancora su qualche scoglio dove sono rimasti attaccati come cozze. Questi manager amano la sera lasciare l’azienda per ultimi e pretendono lo stesso atteggiamento dai collaboratori. Non importa se fingono di lavorare o perdono tempo giocando a tetris o al solitario con il PC, l’importante è che stiano supini nella postazione di lavoro a loro assegnata. Di solito si circondano di signorsì. Non amano il contraddittorio e si vogliono sentire temuti. Non delegano perché non si fidano di nessuno. E, non fidandosi di nessuno, non fanno crescere i collaboratori. Fingono di essere democratici, spesso vogliono essere trattati in modo amicale. I collaboratori sanno che il rapporto con il capo è sempre asimmetrico e quindi stanno sempre attenti a non esporsi. Lavorare con loro può diventare impossibile. In genere non hanno visione del futuro. Ne parlano a vanvera. Sono tattici, giocano nel breve. Non si rendono conto dei loro limiti e, in genere portano le loro organizzazioni al capolinea. Che fare quando si incontrano? Occorre gestirli. Adularli, prenderli in parola e crearsi contemporaneamente spazi autonomi. Soprattutto di pensiero. Di solito elencano progetti e idee improbabili, vagheggiano ruoli, compiti e funzioni che non praticano, chiedono contributi agli altri che non usano. Si dimenticano delle promesse che fanno. Ma, proprio per questo, lasciano spazi a chi sa prenderseli. In fondo non sono cattivi. Sono solo superati.