Chiunque è dotato di un minimo di sensibilità politica e sociale non può non identificare in una nuova stagione unitaria il prossimo percorso che devono compiere le organizzazioni sindacali confederali. Lo dimostrano i tempi, la storia e il contesto nazionale e internazionale con cui occorre misurarsi. È giusto dire, come fa Bentivogli, che senza strategia il sindacato, unitario o meno, non va da nessuna parte ma è anche corretto non dare per scontato che il problema sia rappresentato solo dalla FIOM o dalle tentazioni politiche del suo segretario generale. Anzi, limitarsi a pensare che, rimosso il problema Landini la strada sia in discesa rischia di essere un errore molto grave con nefaste conseguenze. Negli ultimi vent’anni il sindacato (quasi tutto il sindacato) ha rinunciato a pensare al futuro e si è chiuso in un recinto identitario da cui non è più uscito. gli stessi gruppi dirigenti di categoria nazionali e locali hanno costruito piú sull’identità e sul l’appartenenza che sui contenuti. In parte era inevitabile. Dal 1994 in avanti alle divisioni sui contenuti sono subentrate le divisioni e basta. Su tutto. E quando non ci si incontra più né ci si confronta su nulla, difficilmente si costruisce insieme. A parte poche eccezioni tutto si è svolto nei rispettivi recinti. E i nuovi gruppi dirigenti sono stati selezionati e sono cresciuti all’interno di quelle logiche. Chiunque volesse trovare un’analogia con gli anni 60 quando i vecchi gruppi dirigenti furono messi in crisi dall’effervescenza sociale di quel periodo si sbaglia. Il contesto è diverso, gli attori in campo sono diversi e, soprattutto, l’attacco ai corpi intermedi coinvolge anche le organizzazioni datoriali e quindi è in corso un evidente cambio di paradigma economico e sociale che impedisce una semplice riproposizione del passato. Per questo sarebbe fondamentale per il sindacato riprendere il rapporto con gli intellettuali, rilanciare i centri di formazione, riprendere il confronto unitario sui contenuti, e impegnarsi in una nuova strategia riformista. Ovviamente una strategia che fa della collaborazione nel Paese e per il Paese il suo punto di partenza. Lavoro, produttività, merito, condivisione convinta di rischi e opportunità con le imprese, welfare contrattuale e aziendale, politiche attive del lavoro, superamento definitivo del modello antagonista, sono i temi da approfondire. Evitando di limitarsi a segnalare le rispettive posizioni ma individuando alleanze, convergenze e priorità. L’alternativa è condannarsi all’irrilevanza politica e sociale. I segnali positivi ci sono: il contratto nazionale del Terziario e le complesse vertenze chiuse unitariamente con risultati apprezzabili sono lì a dimostrare che si può fare. Occorre andare avanti così.