Trovo molto interessante gli spunti contenuti nell’articolo di Venanzio Postiglione sulle attese (deluse) del nord sul Corriere di oggi. Un nord che intorno alle insegne del Partito del PIL cerca di segnalare un disagio profondo, palpabile e foriero di sviluppi oggi ancora imprevedibili.
E’ il contrario del popolo delle campagne della Brexit inglese o dei gilet gialli francesi. In Italia il disagio sta crescendo nei vagoni di testa più che da quelli in coda al treno. E questo le elezioni politiche del marzo scorso non lo avevano segnalato con forza. Anzi.
Mentre il disagio sociale, le disuguaglianze, le promesse mancate assegnavano ai 5S la delega politica in antitesi a chi aveva governato fino ad allora, solo una parte modesta dell’elettorato riconosceva alla Lega la rappresentanza di quella parte del Paese che non ha affatto voglia di decrescere. In pochi mesi, però, lo scenario politico e sociale è cambiato.
I 5S, sempre più paralizzati dalle loro nicchie ideologiche di riferimento, stanno faticando a competere con Salvini e questo li ha costretti a “territorializzare” con maggiore radicalità i loro princìpi. Il reddito di cittadinanza ne è un esempio evidente ma anche i tentativi della ministra per il Sud, Barbara Lezzi di recuperare ruolo ed immagine vagheggiando improbabili riequilibri di risorse a favore de mezzogiorno.
Salvini d’altra parte sembra voler confermare un disegno nazionale per la sua Lega. Sa che può farcela ma ha ancora bisogno di tempo. Le elezioni europee sono alle porte e solo lì il peso effettivo nella coalizione verrà certificato. Così come quello di chi è all’opposizione. Quello, credo, sia il vero Rubicone da attraversare per Salvini.
Costringere la vecchia base nordista a seguirlo per forza e affrontare il mare aperto del sovranismo puntando all’intero Paese oppure essere costretto a ripiegare accontentandosi di una sorta di CSU in salsa verde baluardo delle regioni forti.
Il partito del PIL non sembra intenzionato a seguire supinamente Salvini nelle sue avventure. Crede che solo un Nord forte può trainare l’intero Paese ma sembra intenzionato a trarne le conseguenze se altri si trincereranno (elettoralmente) nel sud. E’ vero, come sostiene Postiglione che il nord non ha in mente l’ampolla di Bossi ma men che meno di finire in un Paese autarchico, isolato dal resto d’Europa, assistenzialista e incapace di affrontare i problemi che attagliano il sud da sempre. Seppure in cambio di una presunta maggiore sicurezza.
Il rischio di una fuga in avanti è molto alto soprattutto quando le risorse economiche a disposizione sono scarse. La scelta di Milano, della Lombardia e del Veneto sulle Olimpiadi invernali del 2026 è significativa. Non era però scontato che Torino non lo capisse per tempo. Ma i 5S non erano, come non sono, in grado di scegliere alcunché. C’è voluta la TAV per chiarire definitivamente lo scenario. Almeno al nord. E il fronte si sta allargando pur con diverse strumentazioni e proposte di mobilitazione.
Il Partito del PIL non ha ancora assunto alcuna particolare colorazione politica. E forse non la ricerca neppure. Nello stato nascente vi hanno aderito un insieme di persone e gruppi sociali di diversa estrazione inseriti in territori che, guarda caso, coincidono con il nord. Certo, dietro ci sono anche le associazioni di rappresentanza tradizionali (chi più chi meno) che vantano comunque un radicamento territoriale. Ma la loro presenza è saggiamente discreta proprio perché il contrasto alla disintermediazione può avvenire solo intermediando in modo nuovo. Superando cioè i rigidi confini della rappresentanza tradizionale e reinventandosi un ruolo di sostenitori di iniziative altrui tese però a contrastare la decrescita infelice, il pessimismo cosmico o la paralisi decisionale. Per poi eventualmente ricomporre il tutto in termini di nuova rappresentanza.
E’ la politica nei territori che trova le sue radici nel fare e nelle efficienti amministrazioni pubbliche del nord che spesso ha messo in difficoltà i cittadini nello scegliere sindaci o amministratori locali di destra o di sinistra perché la sobrietà imposta dal debito pubblico li rende sempre più simili e che vengono valutati più su ciò che fanno concretamente che, sempre più, deve coincidere con le promesse della campagna elettorale.
Quest’area, oggi, sembra non pretendere immediatamente nuovi interlocutori politici certi e strutturati in modo tradizionale. Né nel centro sinistra né nel centro destra.
Per questo sembra aggrapparsi a chi, nel Governo, appare come argine all’incompetenza e all’approssimazione. Alle elezioni europee, quell’elettorato che alle politiche non aveva votato per Salvini, potrebbe riversarsi su di lui più per mancanza di alternative che per convinzione. Così come era probabilmente successo all’altro Matteo. Generando tutte le inevitabili illusioni del caso.
Per questo credo che l’accelerazione o meno del progetto sovranista italiano è nelle mani dei leader della Lega. Non solo di Salvini. Possono decidere di passare comunque il Rubicone rischiando parte del proprio elettorato tradizionale alla conquista di nuovi volti e territori o fermarsi per tempo intestandosi le esigenze e le preoccupazioni del partito del PIL.
Nello stesso tempo il nord sarà disponibile, e fino a quando, a farsi trascinare in avventure dall’esito incerto?
Venanzio Postiglione conclude ricordando che “La questione settentrionale è lo specchio della ripresa o del declino del Paese. Non parlarne diventa già una scelta. Mentre a Roma si discute se affidare un po’ di terra a chi fa il terzo figlio c’è un’Italia che vuole correre.. o almeno camminare. Se possibile.”