Ogni giorno, una nuova notizia ci distrae. Innanzitutto il popolo “ignorante” della provincia inglese che avrebbe deciso senza conoscere le vere conseguenze di quell’atto; i giovani contro i vecchi, poi rivelatasi una bufala, i tre milioni di presunti pentiti pronti a rivotare, gli scozzesi duri e puri e, infine, l’insinuazione che il governo inglese possa non far partire la richiesta di distacco da Bruxelles. Ovviamente alla notizia corrisponde sempre una vigorosa presa di distanza autorevole che la sgonfia in poche ore. Al di là della mia personale curiosità nell’assistere ad una gestione dell’informazione a volte un po’ ridicola, è sintomatico il prevalere di chi vorrebbe far passare diciassette milioni di inglesi come in preda a ripensamenti, paure e voglia di ritornare sui propri passi. Non è così. E non lo è neanche per i veri decisori che, in realtà, si stanno muovendo, approfittando della situazione, con lo scopo di esautorare, di fatto, Bruxelles e di riportare saldamente in mano degli Stati nazionali il potere di governo della nuova Europa che si andrà a sostituire a quella che ormai è alle nostre spalle. Ovviamente nessuno ha interesse a rompere con gli inglesi per ragioni storiche ma anche per ragioni economiche. Quindi più che perdere tempo a ipotizzare inutili ripensamenti sarebbe meglio concentrarsi per comprendere meglio quali dovrebbero essere le priorità, gli interessi e il nuovo rapporto tra Stati nazionali e Bruxelles. Cosa integrare, prima che sia troppo tardi r cosa lasciare ai singoli Stati. L’incertezza e i contraccolpi non sono causati dalle false notizie di temporeggiamento ma dal fatto che nessuno è in grado di dire se questa improvvida forzatura è l’inizio di una nuova e più profonda crisi che ci travolgerà o se, serrando le fila, l’Europa potrà ripartire. Ma soprattutto, come. Con il referendum italiano e le elezioni tedesche e francesi all’orizzonte c’è poco da stare tranquilli. Nessuno si vorrà esporre. È il rischio di lasciare il campo alla speculazione internazionale è troppo alto. Il vero problema riguarda le due grandi famiglie politiche che oggi governano l’Europa. I popolari, per vocazione, ma anche i socialdemocratici, appartengono innanzitutto ai rispettivi Paesi. E osservano l’Europa quasi esclusivamente da quel punto di vista e interesse senza preoccuparsi troppo di scaldare le coscienze e i cuori del resto del continente. E questo è un limite che sta diventando letale, soprattutto per i socialdemocratici che rischiano, in casa propria, pesanti rovesci elettorali proprio perché non riescono a dire nulla di originale e di credibile sulla natura della crisi e sulle sue prospettive. Soli, isolati nel loro Paese, sono meno credibili dei conservatori europei e sottoposti alla pesante pressione di quei movimenti che prospettano soluzioni semplici a problemi complessi. Ed è in questo campo che, secondo me, si potrebbe giocare il futuro di un’Europa diversa. Ma ci vuole tempo. E questo tempo va gestito inevitabilmente insieme tra popolari e socialisti. Insieme perché l’alternativa di procedere in queste condizioni, motu proprio, non esiste. E sarà così anche nei singoli Paesi. Almeno fino a quando i movimenti anti sistema non ritorneranno ad essere residuali. Io non credo che il problema sia se la nuova Europa sarà a trazione tedesca o di altri. Avendoci interagito per anni, considero la Germania, un solido punto di riferimento più di altri Paesi. E non credo possibile, allo stato dei fatti, fantasticare su modelli improbabili. Personalmente credo in una Europa che metta al centro il dialogo sociale, che individui nuovi percorsi per un welfare credibile, che si occupi anche dei “perdenti” e che diventi un motore forte dell’innovazione tecnologica, sociale ed economica. In altre parole che non si rassegni al declino né che lo combatta solo a vantaggio di pochi. Nei ragionamenti e nelle proposte della sinistra europea tutto questo c’è. Però c’è anche poca generosità nell’agire. Ed è in questa mancanza di generosità e di visione strategica che la sinistra europea ha difficoltà a raggiungere il cuore dei cittadini e quindi rischia di essere sconfitta politicamente perché la paura di perdere ciò che ciascuno pensa di avere conquistato individualmente e per sempre (anche se non è vero) guiderà le scelte di ciascuno di noi. E quando gli egoismi o gli interessi personali prevalgono sugli interessi di una comunità o di un insieme di comunità, non succede mai niente di buono.