ALDI. Buona Spesa (in) Italia?

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Come ho già scritto parlando di LIDL, una multinazionale della GDO la si può osservare da diversi punti di vista. Dal basso, entrando in un punto vendita osservando specificità, prodotti e servizi. O dall’alto: valutandone la forza economica che è in grado di mettere in campo per crescere o meno in un Paese. Oppure osservando come si muove il consumatore. È la vecchia storia sufi dell’elefante e dei ciechi chiamati a descriverlo.  La realtà è come l’elefante. Ognuno di noi ne tocca o ne predilige un punto di osservazione piuttosto che un altro.

LIDL come ALDI sono due realtà che sono allenate a guardare il mondo cercando di interpretare i diversi scenari di riferimento. Le nostre aziende, grandi o piccole, osservano il territorio nazionale. Un vantaggio in termini di presidio, uno svantaggio in termini di potenziale di crescita. Non è una differenza da poco. LIDL è arrivata in Italia nel 1992. ALDI in quegli anni ha preferito non investire da noi. Quest’anno festeggia cinque anni di permanenza. Ci ha riprovato solo quando ha intuito che il discount stava ormai iniziando a costruirsi una reputazione diversa presso i consumatori. I discount sono partiti tutti più o meno, “sgarrupati” allo stesso modo. Per questo gli analisti del comparto non ne hanno compreso subito  il potenziale evolutivo in rapporto alle risorse disponibili e alla contemporanea modificazione dei consumi né il possibile approdo finale. Per alcuni sono ed restano discount. Un banale “sottoprodotto”. 

In fondo nella seconda metà del novecento la filosofia di fondo del comparto era racchiusa in una traiettoria ben sintetizzata da Carlin Petrini: “il cibo era prodotto per essere venduto. Non per essere mangiato”.  L’aspetto quantitativo era prevalente. Da qui i grandi formati distributivi, le marche, gli sconti e le promozioni. Così come le modalità di espansione sul territorio e i modelli organizzativi conseguenti. Sostanzialmente tutti uguali. L’avversario allora era la piccola distribuzione commerciale e se troppo vicino,  il concorrente diretto. I vantaggi competitivi della GDO erano sostanzialmente basati su differenziali di efficienza e dunque di costo.  Si trattava nella maggior parte dei casi di un confronto impari: di qui la lenta ma progressiva espansione della quota della grande distribuzione sul totale delle vendite.

Questa fase è però alle spalle. La fine del secolo ha sostanzialmente cambiato il paradigma di riferimento. Presidio del territorio, servizio al cliente, qualità e convenienza hanno richiesto nuove interpretazioni. C’è chi lo ha capito (discount, negozi di vicinato, specializzati e MDD di diverse declinazioni), chi resiste puntando su abitudini dei clienti e posizioni del punto vendita è chi cede ad altri il compito di far quadrare i conti. Aldi ha preferito capire bene come muoversi sul nostro mercato.

Di LIDL ho scritto (https://bit.ly/3MmqhG3191). Per ora sembra aver  scelto di crescere seguendo una precisa tabella di marcia con l’obiettivo di arrivare a mille punti vendita per il 2030. È singolare come tutti temano di più le mosse di ALDI. Lo stesso Patrizio Podini, patron di MD, la cui azienda sembra essere in cima agli inconfessati desideri di ALDI per accelerarne la sua crescita in Italia ha ammesso che quest’ultima “romperà gli equilibri di mercato”. E Podini è uno che ha sempre visto lungo.

Quindi abbiamo due elementi che, se combinati, possono diventare decisivi. Il primo è  la disponibilità economica. Crescita e innovazione a 360° la pretendono. Non è un caso che tutti si aspettano un’acquisizione importante in Italia da parte del retailer tedesco. La seconda è che ALDI non ha avuto fretta.  Si è presa tutto il tempo necessario per comprendere le specificità del nostro Paese. E, credo abbia capito, che i territori classici di primo insediamento nel nord dei discount  sono relativamente ingolfati ma più  facili da interpretare. Da qui l’idea che piuttosto che inseguire i concorrenti è meglio avere un profilo  nitido del consumatore tipo  e posizionarsi su quello. Il recente sondaggio di opinione realizzato dal noto Istituto Piepoli ben descritta da Silvia Ognibene su GDO week disegna un quadro molto chiaro di ciò che pensa il consumatore e di quanto sia cambiato.  (https://bit.ly/3N1FbmD). ALDI ha stravolto il suo modello tradizionale “da esportazione” proprio per posizionarsi in modo diverso sul mercato italiano. Ha poi capito che l’Italia è lunga e stretta. Se non ci si limita a copiare gli altri retailer lo spazio c’è ancora.

L’obiettivo ideale per accelerare la sua crescita sarebbe l’acquisizione di una realtà come   MD. Fabrizio Podini smentisce ogni tentazione di cedere il suo gioiello. Certo può continuare a fare da solo. Assicurare il passaggio generazionale rischiando però di far trovare  poi i suoi successori in un vicolo chiuso. Un po’ come altre realtà del comparto. Troppo piccole per competere ma troppo grandi per non dotarsi di un management adeguato. L’imprenditore in grado di fare da solo è un prodotto tipico del novecento.  Credo che Podini sia il primo a rendersene conto.

ALDI oggi, da parte sua,  ha 150 punti vendita. Migliore Insegna 2023  sugli aspetti della customer experience, con la valutazione, oltre che di un panel affidabile anche da parte di un campione significativo di  consumatori.  È impegnata (e questo è un tratto comune per le multinazionali del settore) per la diffusione di una cultura della salute. “La correlazione tra benessere e salute è legata a doppio filo al carrello della spesa: scelte consapevoli ci permettono di restare in salute e prevenire le patologie sin dalla giovane età, un messaggio di cui vogliamo farci portavoce al fianco della Fondazione Umberto Veronesi” ha dichiarato Michael Gscheidlinger, Country Managing Director Italia.

Il  Gruppo si è inoltre distinto per la volontà di valorizzare il patrimonio gastronomico italiano, puntando su un assortimento completo composto per l’80% da prodotti provenienti da fornitori italiani e regionali. Anche su questo come per LIDL, un potenziale importante per il nostro export. Massima efficienza, polivalenza del personale, ottima logistica portano ad una maggiore convenienza. I cosiddetti “prezzi ALDI” ne sono la testimonianza (trenta marche, 130 referenze di ortofrutta e un’offerta alimentare per l’80% made in Italy).

Per la sede operativa è stata scelta Verona, mentre poco distante, a Oppeano, si trova il centro logistico di distribuzione, dove lavorano 630 persone. Circa tremila collaboratori in tutto e in crescita.  Punto di forza della cultura aziendale nel gruppo la presenza di 47 nazionalità differenti e i lavoratori provenienti da paesi esteri rappresentano il 17% del totale. Il totale di occupazione femminile è del 65%, ed è garantita l’equità salariale tra uomo e donna.

Infine, sul fronte della sostenibilità Aldi ha costantemente lavorato per migliorare le proprie best practices a livello ambientale e sociale per non produrre alcun impatto sul clima grazie a politiche di riduzione dei consumi energetici, sino all’abbattimento e alla compensazione delle proprie emissioni residue di gas a effetto serra. La presenza di oltre 80 impianti fotovoltaici ha permesso, nel 2022, di produrre 4,5 milioni di kWh di energia green e di diminuire le emissioni di CO2. Ambiziosi sono gli obiettivi aziendali: entro il 2025 Aldi si impegnerà nel ridurre del 26% le emissioni di gas serra (rispetto al 2016) dovute alle attività operative quotidiane, ed entro il 2024 incoraggerà i suoi fornitori strategici a fissare obiettivi di riduzione delle loro emissioni. Un’ottima carta di identità, quindi di una realtà che ha inventato il discount nel lontano  1913 ad Essen e che, anche nel nostro Paese centodieci anni dopo, si appresta a reinventarlo.

(in collaborazione con Retail&Food)

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