Amazon ovvero la solitudine dei numeri uno….

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Il resoconto della giornata di sciopero era scontato. Da un alto i numeri sulle adesioni “certificati”  dal sindacato, dall’altro quelli aziendali. Ovviamente molto contrastanti. Così come l’enfasi mediatica data all’agitazione. Amazon è un’azienda che si presta alle strumentalizzazioni. Consumatori in crescita esponenziale da una parte quindi tensioni con la concorrenza tradizionale  e immagine negativa veicolata principalmente  da quella parte dei media e dell’opinione pubblica in generale che ha un pregiudizio negativo su questa come su altre multinazionali.

Innanzitutto i fatti. Amazon applica il CCNL del commercio, aderisce alla Confcommercio tramite l’associazione di categoria (Conftrasporto) ed è seguita sul piano sindacale  dalla associazione territoriale Confcommercio di Piacenza. Quindi sul piano formale non ha nulla fuori posto. Il sindacato dei trasporti chiede, altrettanto legittimamente, l’apertura di un negoziato aziendale sui carichi di lavoro, sull’organizzazione del lavoro e sul suo riconoscimento economico. L’azienda si è incontrata più volte con il sindacato esterno quindi ne ha riconosciuto il ruolo negoziale ma ritiene (ad oggi) che le richieste non siano accettabili.

Se non si chiamasse “Amazon” sarebbe una normalissima vicenda sindacale dove le parti non trovano un accordo. Lo sciopero dichiarato avrebbe dunque lo scopo di spostare, a favore delle richieste sindacali, i cosiddetti rapporti di forza. La partecipazione (vera) non è un elemento secondario al di là delle notizie veicolate dalla stampa. Se le adesioni allo sciopero fossero quelle dichiarate dal sindacato la riapertura del negoziato e la sua conclusione sarebbero prossime. Il 75% di quarantamila addetti rappresenterebbe una pesante sconfitta del cosiddetto “totalismo aziendale”.

Può piacere o meno ma Amazon ha una sua cultura, suoi valori e una impostazione peculiare nella gestione del personale. In genere le multinazionali funzionano così. Dentro il proprio perimetro si danno regole del gioco “autosufficienti” che comprendono gli standard di lavoro, le politiche di genere, le opportunità di carriera e di crescita economica, i comportamenti richiesti e le coerenze complessive. Riconoscersi o meno in quel perimetro è fondamentale per accettarne o respingere il sistema dall’interno e dall’esterno.

Il “totalismo” insito in questi modelli tende ad  accettare da fuori solo ciò che la legge prevede o impone. Ovviamente ciò che prevedono leggi e contratti si integrano o si sommano a ciò che l’azienda, da parte sua, mette in atto. Ed è quello che fa Amazon. Non tutti i dipendenti o coloro che mirano a diventarlo sono però disposti ad accettare quelle regole del gioco.

Il sindacato esterno tende inevitabilmente a non considerare questa impostazione nei suoi costi complessivi e nei suoi vantaggi per la popolazione aziendale interessata e indirizza la sua iniziativa sulle contraddizioni inevitabilmente  generate da quel sistema soprattutto in situazioni di stress organizzativo e dal malcontento di chi non ne accetta il modello. Messe così sono due culture incompatibili perché una esclude l’altra.

Sono singolari, ad esempio,  la richiesta del sindacato di “boicottaggio” degli acquisti, l’attacco all’algoritmo e all’azienda in sé come causa ed effetto della situazione, la confusione tra esigenze del personale addetto alle consegne e carichi di lavoro del personale di linea per poi chiedere una normale ripresa del confronto come se i temi, i toni e le accuse  evocati lo consentissero facilmente. 

Nella quasi totalità delle multinazionali presenti nel nostro Paese il compromesso alla fine si è sempre trovato. Le aziende si sono dotate delle loro politiche e dei loro modelli organizzativi e intrattengono relazioni di buon vicinato  con il rispettivo sindacato di categoria. Che non significa affatto assecondarlo nelle richieste. Amazon non credo possa  rinunciare alla sua diversità culturale e organizzativa. Continuerà a investire e crescere nel nostro Paese ispirandosi ad un modello che è per sua natura vincente e globale.

C’è un piano di regole del mercato che appartiene alla politica non solo italiana che va compreso nella sua complessità e va risolto in quelle sedi trovando un equilibrio accettabile per tutti. C’è un piano sul lavoro che va inquadrato, discusso facendolo oggetto di confronto anche con i sindacati e valorizzato su diversi aspetti.

L’importante crescita  occupazionale e le risposte che dà l’azienda al lavoro povero che comunque è presente nel nostro Paese, le condizioni di lavoro agite (sicurezza, ritmi, retribuzioni, ecc.) che vanno spiegate e rafforzate all’interno di un sistema di comunicazione/informazione trasparente e la necessità di creare all’interno dell’azienda una struttura organizzativa dedicata in grado di gestire e anticipare questi problemi sia in termini di gestione delle risorse umane che di comunicazione. I numeri già raggiunti e la crescita occupazionale prevista non consentono scorciatoie. 

Amazon è un’azienda importante che non solo si svilupperà per crescita interna continua ma lo farà anche su altri segmenti di mercato in forte concorrenza con player tradizionali. Rappresenta un punto di riferimento per chiunque rifletta sul futuro di molte attività economiche e sulla loro stessa loro evoluzione.

Anche sul lavoro, sulla sua flessibilità e sul suo riconoscimento economico e professionale marcherà una differenza su cui occorrerà ragionare. Il “maledetto” algoritmo a cui tutti guardano con malcelato timore segnerà sempre più i nostri comportamenti non solo nel campo lavorativo.

Affrontare una realtà così complessa con gli slogan e le argomentazioni del passato può portare ad una facile solidarietà  che però tende ad esaurirsi in breve tempo. Amazon, che ci piaccia o meno, è comunque un pezzo del nostro futuro. 

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6 risposte a “Amazon ovvero la solitudine dei numeri uno….”

  1. Analisi acuta e che riproduce la realtà. Purtroppo anche sul fronte della rappresentanza non esistono proposte adeguate. E pur vero che l’azienda non sembra molto disponibile a farsi intermediari. Ma questa è l’unica strada. Noi in Friuli abbiamo fatto un accordo con il sindacato e l’azienda e pare che i rapporti siano buoni.

    1. Ciao Paolo,
      Occorre però insistere. Anche l’azienda deve crescere in un contesto dove impostazioni e regole della casa madre devono essere altrettanto rigorose ma adattate alla realtà del nostro Paese.

  2. Un articolo veramente unico e interessante che, tanto per cambiare, evita il dualismo tra favorevoli e contrari, che nel nostro paese trasforma tutto in una partita di calcio con annesse tifoserie.
    Comprendere e “affrontare” il caso Amazon (che non è neanche l’unico), significa prepararsi ad “un pezzo del nostro futuro” con intelligente lungimiranza. Per farlo è necessario porsi di fronte al gigante in modo totalmente aperto, come farebbe un ricercatore.
    Grazie, come sempre.

  3. non condivido la sua ottica. in una vincenda molto simile negli stati uniti )adirittura nel profondo sud del’Alabama, perfino il senatore repubblicano (e super “neoliberale”) Marco Rubio si è dichiarato apertamente a favore degli scioperanti. Le sue argomentazioni le puo leggere qui: https://eu.usatoday.com/story/opinion/2021/03/12/amazon-union-not-helping-working-class-economy-column/6947823002/
    come puo vedere, anche se la realtà moderna sembra differente da quella di 100 anni fà, i concetti base sono più o meno gli stessi.
    una differenza enorme però è che non si puo far finta di non capire cosa sta succedendo, quando esiste l’esperienza storica.

    1. Abbiamo opinioni diverse. Io credo che Amazon in Italia paghi correttamente i suoi dipendenti. Sicuramente meglio di buona parte della logistica nostrana dove sfruttamento e lavoro nero sono all’ordine del giorno nel disinteresse generale. Il relativo fallimento dello sciopero in Amazon ne è la dimostrazione.

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