Il 26 settembre Confcommercio con Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs UIL hanno sottoscritto un accordo integrativo del contratto nazionale in essere che ne ribadisce la centralità, fissa una nuova data, al marzo del 2018, della tranche di 16 euro sospesa nel novembre del 2016 e proroga la data di scadenza dello stesso al 31 luglio 2018.
Già questo, di per sé, rappresenterebbe un passaggio importante, unico nel suo genere, di capacità di governo di un contratto nazionale utilizzato per qualche milione di lavoratori.
Una intesa che è passata sotto tono sui media e che rappresenta, a mio parere, un salto di qualità per le relazioni sindacali nel nostro Paese.
Le parti, in considerazione della situazione economica, decidono, prima di sospendere una tranche già concordata, poi di erogarla successivamente e, infine, posticipano pure la scadenza contrattuale dando prova di lungimiranza e di governo delle relazioni sindacali.
Un fatto nuovo, mai accaduto. Così come non è difficile, scorgere, a fianco dell’ovvia autonomia negoziale della categoria, una visione confederale unitaria, che ha condiviso (saggiamente) questa decisione.
A questo si aggiunga la derogabilità, già concordata in sede di rinnovo nel 2015, di tutti gli istituti, anche economici, propedeutici per costruire, in ogni sotto-settore economico ma anche in gruppi o aziende, un vero contratto su misura fatto di regole uguali per tutti ma anche di specificità.
Non è un caso che sempre più aziende, pur di settori differenti, utilizzano questo contratto. Così come non è un caso che una parte significativa di imprese iscritte a Confindustria lo utilizzi anche perché è un contratto che non presenta alcuna rigidità applicativa particolare.
Ed è il dilemma davanti al quale si trovano le aziende della Grande Distribuzione. Applicarlo e lavorare sulle deroghe e sui contenuti di settore e di azienda oppure insistere, negandone il rinnovo a duecentomila lavoratori, in attesa di una fotocopia da sventolare con grandi rischi di intervento sanzionatorio da parte degli organismi competenti?
Questo accordo, tra l’altro, mette una pietra tombale ai rischi potenziali di dumping contrattuale. Rischio che la proliferazione dei contratti firmati stava insinuandosi anche nel terziario.
Questa intesa infatti recita che: “gli aumenti contrattuali definiti dal CCNL terziario, Distribuzione e servizi, in quanto Contratto Nazionale maggiormente applicato nell’ambito dell’intero settore terziario sottoscritto dalle parti stesse, debbano costituire una previsione NON diversificabile in altri accordi collettivi di pari livello nazionale”. E continua: “ la violazione di tale previsione verrà automaticamente recepita nel suddetto CCNL”.
Punto, set e partita.
Con questo accordo, i firmatari del Contratto Nazionale principale, si impegnano, di fatto, ad arginare sia la proliferazione dei contratti che a impedire, direttamente o indirettamente, forme di dumping tra imprese.
È chiaro che questa formula chiude una fase che rischiava di sbriciolare il principale contratto nazionale del Paese ma, contemporaneamente, ne apre un’altra che sta alle parti cogliere. Individua le materie e gli attori principali consentendo anche a tutti i soggetti interessati, compresi quelli che si sono autoesclusi, di inserirsi con loro specificità.
Il tutto però all’interno di regole chiare, condivise e gestibili nell’interesse delle parti rappresentate. La sua efficacia sta anche, a mio parere, nel fatto che il sindacato decide di presidiare i luoghi più significativi senza mettere i bastoni tra le ruote laddove, lavoratori e imprese, concordano migliorie individuali e collettive o condividono insieme, cultura, valori e innovazioni organizzative.
Può non piacere ai sostenitori del vecchio modello che ambiva ad un presidio totalizzante ma questa è, ad oggi, l’unica strada percorribile. In questo modo le organizzazioni sindacali partecipano concretamente a definire le regole del gioco.
Ma questo non basta. Occorre andare avanti. L’intero sistema bilaterale deve comunque fare un salto di qualità sia in termini di trasparenza che di missione e il welfare dovrà essere sempre più competitivo.
Così come sono luoghi da presidiare in modo nuovo quelli che sovraintendono all’erogazione della formazione sempre più fondamentali nei percorsi professionali discontinui che coinvolgeranno sempre più i lavoratori e le imprese.
Le aziende, e su questo occorre essere chiari, non sono più disponibili a ripercorrere modelli contrattuali di vecchio conio. Così come non basta rivendicare modelli diversi per ottenerli….
Ci sono problemi di contenuti, di luoghi, di metodologie ma anche di creazione di una cultura comune e di preparazione degli stessi potenziali negoziatori oggi assente. Sia nelle aziende che nei territori.
Se, anziché affrontare questi temi, si continuerà semplicemente a rivendicare o negare un diritto o un luogo, temo che il risultato sarà estremamente scarso sul terreno della vera innovazione contrattuale. E questa non è mai una buona politica per nessuno.