L’ottimo Sergio Rizzo su Repubblica individua nella mancanza del “Capo del Personale” uno degli indicatori dello sfascio dell’ATAC, l’azienda di trasporti romana. Dodicimila dipendenti con il 13,7% di assenteismo lo reclamerebbero a prescindere. Fino a poco tempo fa c’era e, probabilmente tra poco ce ne sarà un’altro. Cambierebbe qualcosa? Io penso di no.
Per Sergio Rizzo il Capo del Personale ha una funzione precisa: rimettere i numerosi sindacati al loro posto e imporre quel minimo di ordine, disciplina e rispetto delle regole che dovrebbe esserci in ogni azienda. Nel caso di ATAC più che un Capo del Personale, se si seguisse questa logica, servirebbe Mandrake. Figura difficile da trovare sul mercato.
Ma un Capo del Personale, così come lo intende Sergio Rizzo, lì o altrove, serve ancora? Io credo di no. Al di là del business scelto, della tecnologia impiegata e della composizione degli occupati, ogni azienda, pubblica o privata che sia, si alimenta di tre caratteristiche di fondo. La sua specifica cultura organizzativa, il clima che si respira e un azionista/management che indicano con chiarezza la direzione di marcia.
Se una o più di queste caratteristiche viene meno l’azienda, qualsiasi azienda, non va da nessuna parte. Si trasforma in un’azienda senz’anima dove si sviluppano cinismo organizzativo, rassegnazione e devitalizzazione. In un contesto del genere attaccarsi alla disciplina e alle regole non servirebbe a nulla.
Quindi più che un Capo del Personale sarebbe probabilmente utile una riflessione profonda dell’azionista/management su come affrontare una realtà così complessa e lasciata al suo destino negli anni, un progetto di coinvolgimento delle risorse umane da presentare alle organizzazioni sindacali e ai responsabili dei vari livelli organizzativi per poi condividerlo con tutti i collaboratori cercando, in questo modo, di isolare il “grano dalla gramigna”.
Infine, prima, durante e dopo occorre tenere monitorato il progetto con survey dedicate che aiutino a comprendere il grado di cambiamento in corso e condividerlo attraverso una comunicazione e un coinvolgimento continuo. Certo è più facile, prendersela con il Sindaco, con i lavoratori o con il destino cinico e baro e gettare così “il bambino con l’acqua sporca”. Addirittura arrendersi prima ancora di cominciare.
Fatta questa scelta, ma solo a quel punto, servirebbe innestare un Direttore Risorse Umane (che è altra cosa rispetto ad un Capo del Personale) che la porti avanti con energia e determinazione. Non necessariamente preso dall’esterno. L’importante è che sia un manager orgoglioso, che ami l’azienda e le sfide, che creda fino in fondo che valga la pena affrontare il mare aperto che lo attende, che sappia automotivarsi e che si integri con tutta la squadra.
Checché se ne pensi ATAC non è diversa da molte altre realtà del passato o del presente. Il Sindaco non ha alcuna responsabilità sul presente e sul passato. Dovrebbe però assumersi l’onere di favorire una proposta per il futuro. E su questo costruire un progetto credibile che faccia sentire i romani orgogliosi delle proprie aziende pubbliche almeno quanto lo sono i milanesi per le proprie. Impresa certo difficile ma non impossibile.
Ci vuole solo il tempo necessario. Impiegarlo per costruire è meglio che utilizzarlo per contribuire, pur in buona fede, al continuo deterioramento della situazione.