Per rispondere subito all’amico Garnero, non prevedo nessuna primavera per le relazioni industriali. Siamo entrati da tempo in un cupo inverno nel quale la vicenda del terziario di mercato potrebbe fare addirittura scuola. Ę un sistema complessivamente malato che, se resta imballato per cinque anni per milioni di lavoratori, vuol dire che non funziona più come dovrebbe. Detto questo, è ovvio che la firma di un contratto nazionale dopo una così lunga attesa è comunque da valutare come un fatto positivo.
Che le due Confederazioni del terziario (Confcommercio e Confesercenti) abbiano finalmente firmato può significare che settimana prossima ci proverà Federdistribuzione e poi dietro arriveranno i due contratti minori ma non meno importanti degli alberghi e dei dipendenti da aziende dei settori dei pubblici esercizi, ristorazione collettiva, commerciale e turismo. Si potrebbe così chiudere una vicenda che per la dimensione degli interessi coinvolti non ha precedenti nella storia contrattuale del nostro Paese. Le responsabilità di ciò che è avvenuto sono evidenti. La crisi di autorevolezza e di leadership degli attori principali hanno impedito di costruire exit strategy convincenti quando ce n’è stata l’occasione. Il contesto socio economico ha fatto il resto. Il tentativo di Confcommercio di rilanciare a tempo scaduto provando a dividere i sindacati come in passato non ha funzionato così come, per i sindacati, i numerosi tavoli contrattuali aperti, caratterizzati da richieste diverse e difficilmente componibili per gli interessi in gioco, non li hanno certo favoriti. Così ha prevalso la strategia datoriale di spendere il meno possibile per più tempo possibile, come l’ho chiamata in un precedente articolo, la strategia del “braccino corto” https://bit.ly/3TiQtpK). Cinicamente, un risparmio, grosso modo, di cinque anni sul costo del lavoro per le imprese.
Quello che è certo è l’evidente affanno della gestione politica della più importante confederazione del terziario sul tema del lavoro. Aggiungo poi che nelle Confederazioni di categoria (datoriali e sindacali) il possibile “rischio” all’orizzonte del salario minimo è visto, non solo come concorrente diretto al CCNL, ma anche come potenziale grimaldello sull’importante welfare contrattuale che, oltre ad essere positivo per i lavoratori, è fonte di finanziamento per le associazioni firmatarie.
Onesta Prampolini, quando ha dichiarato “l’individuazione di un salario minimo orario per legge, slegato da un consolidato sistema di relazioni sindacali, andrebbe a discapito della più diffusa applicazione dei contratti collettivi leader, danneggiando la sana concorrenza tra imprese”. Al di là dei contenuti sul compromesso raggiunto che risente ovviamente del contesto che si è trascinato in tutti questi anni, dagli effetti dell’inflazione e della depressione dei consumi, va tenuto presente che il costo complessivo del lavoro e quindi del CCNL (non necessariamente del solo salario) è ritenuto comunque alto per le imprese dell’intero settore del terziario di mercato.
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