Gli agricoltori in lotta sono come gli orsi in Trentino. Nessuno sa bene cosa fare….

C’è un backstage tutto italiano mentre la protesta degli agricoltori dilaga in tutto il continente. Ad animarlo ci ha pensato la lotta delle associazioni agricole minori per scalzare la Coldiretti e la competizione tra i partiti che compongono il Governo in vista delle elezioni europee. A differenza di altri Paesi, dove per la loro intrinseca debolezza vengono regolarmente scavalcate, in Italia, tutte le principali organizzazioni di rappresentanza, tra i loro compiti hanno anche quello di canalizzare il dissenso dentro traiettorie accettabili. Se da noi, fenomeni di malessere sociale, non sfociano in movimenti particolarmente virulenti (gilet gialli, forconi, ecc.) questo è anche dato dal ruolo delle grandi  organizzazioni che lo presidiano. I sindacati canalizzando e stemperando il dissenso sociale del lavoro dipendente, altrimenti incontrollabile, mentre Confindustria, Confcommercio e Coldiretti, finalizzano, con la loro azione, il dissenso dei loro associati mantenendolo all’interno di una normale dialettica democratica e istituzionale.

Le dinamiche indotte della disintermediazione e l’avvento del Governo di centro destra stanno ridisegnando questi ruoli assegnando pesi e nuove classifiche. Confindustria  ha indubbiamente perso ruolo e potere di negoziazione e, a partire dalla scelta del nuovo Presidente, dovrà velocemente riposizionarsi. La vicenda Ilva e Stellantis sono, sotto questo punto di vista, paradigmatiche. Non a caso John Elkann è corso a Roma per incontri ai massimo livelli tesi ad evitare contraccolpi ingestibili nelle aziende che ha ceduto ai francesi. Sugli incentivi e sugli stabilimenti italiani  si giocherà una partita complessa.  Confcommercio, pur sensibile ideologicamente alla coalizione, ha fin da subito, scelto un profilo diverso. Intervenire se conviene mantenendo toni bassi e felpati, negoziando ciò che serve senza alzare la voce (vedi la vicenda dei balneari) e, ogni tanto, rilasciare una blanda dichiarazione di sollecitazione alla politica senza indirizzi precisi…

Coldiretti, no. Ha scelto di costruire un’interlocuzione forte e  privilegiata con il Governo. Un dare/avere preciso. Ha ragione Claudio Cerasa: “È una relazione che non ha pari. Coldiretti unisce uno spirito pragmatico ed elementi di forte modernità svolgendo un ruolo che va al di là della rappresentanza classica. Fa nomine, comunicazione, advocacy, mobilitazione, lobbying, politica, business”. È però quello che dovrebbe fare una moderna associazione di categoria. Oltretutto sta ben lavorando nella filiera agroalimentare nazionale con gli altri interolocutori.  Presto, a mio parere,   dimostrerà di avere un ruolo fondamentale anche nel riportare sulla “retta via” la stessa protesta degli agricoltori destinata a frammentarsi e a disperdersi in particolarismi proprio perché è un movimento (in Italia) che non è in grado di darsi uno sbocco concreto praticabile  e di produrre un risultato pari alle aspettative della mobilitazione. E, aggiungo, il fatto poi che i leader della protesta più dura abbiano messo nel mirino oltre alla UE, la Coldiretti e lo stesso Ministro dell’Agricoltura di un Governo, di fatto a loro vicino, è lì a dimostrare che l’approdo rischia di essere ben diverso da quello desiderato. Vale per i ribelli ma anche per chi li fomenta dietro le quinte.
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Sindacato e lavoratori nella Grande Distribuzione tra Bernardo Caprotti e le teorie strampalate di Renato Curcio

Com’era prevedibile il libro di Giuseppe Caprotti sta facendo  emergere altre letture, credo ben al di là delle intenzioni dell’autore. Alcune frasi, estrapolate dal contesto narrativo, pesano come macigni rischiando, a distanza di tempo, di apparire provocatorie e offensive non tanto per le traiettorie e gli obiettivi del racconto quanto per le strumentalizzazioni a cui si prestano.  Gabriele Arosio, pastore della chiesa evangelica battista di Bollate, raccoglie qualche aneddoto dal libro per affrontare un tema ricorrente nella storia di Esselunga: la cultura del lavoro e l’atteggiamento nei confronti dei sindacati  (https://bit.ly/48ZU4xS) e conclude il suo commento: “Certo amaro e foriero di grandi sofferenze il destino del figlio cacciato, umiliato, perseguitato e fatto oggetto di stalking durante le lunghe vicende giudiziarie seguite all’allontanamento. Ma certi silenzi tra perdenti pesano e alla fine distruggono”.

Difficile affrontare un tema così complesso all’interno del racconto di una saga familiare raccontata da uno dei protagonisti come Giuseppe Caprotti. Tra poco  uscirà la terza edizione di “Falce e Carrello” (la storia di Esselunga raccontata da Bernardo Caprotti con l’epico scontro con Coop)  uscito nel 2007, con l’aggiunta di un sottotitolo eloquente “In memoria di un uomo che non può più difendersi” insieme all’atteso intervento di  Marina Caprotti, la figlia che ha ereditato l’azienda. Era evidente che, sul piano umano,  le pesanti accuse al padre del primo, impossibilitato per ovvie ragioni a replicare, non lasciassero indifferente la seconda. Per quanto mi riguarda, provo  a restare sul tema proposto da Arosio. È sicuramente  vero che Bernardo Caprotti avesse una pessima opinione dei sindacati e che ha cercato in tutti i modi di contrastarne l’iniziativa. Come, va ricordato,  buona parte degli imprenditori, grandi e piccoli, della Distribuzione commerciale di allora.

Va sottolineato, però, che il suo concetto di azienda e di lavoro, pur essendo diametralmente opposto a quello espresso da buona parte dei sindacalisti che si è trovato di fronte, coincideva abbondantemente con il pensiero della stragrande maggioranza dei lavoratori di Esselunga. E questo, più che alla “paura” e dal profilo del personaggio estrapolati dalle affermazioni contenute nel libro, era dovuto alla forza e alla crescita continua dell’insegna, alle assunzioni, al rispetto dei contratti, alla gestione e sviluppo delle carriere interne,  alle retribuzioni (sicuramente  tra le maggiori del comparto), al coinvolgimento e all’orgoglio di appartenenza che hanno caratterizzato una lunga fase della vita di Esselunga. Banalizzare tutto questo estrapolando una frase è un primo grave errore.

Arosio quindi parte da un pregiudizio dando  scontato ciò che scontato non è. I lavoratori in Esselunga ai tempi di Bernardo Caprotti ma anche in quelli che hanno visto co-protagonista il figlio Giuseppe (certamente diverso per stile e caratteristiche) non sono stati affatto sconfitti o perdenti.  Lo è stata, al contrario, quella parte del sindacato che ha pensato possibile, in un contesto di debolezza organizzativa, di rapporti di forza sfavorevoli e di grande crescita dell’insegna, utilizzare fatti, pur  deprecabili, cercando di elevarli a sistema, nel disinteresse generale (che è altra cosa della paura) dei lavoratori occupati in quell’azienda senza così riuscire ad incidere nella realtà.   Leggi tutto “Sindacato e lavoratori nella Grande Distribuzione tra Bernardo Caprotti e le teorie strampalate di Renato Curcio”

Amazon Rufus. Un altro balzo in avanti nella costruzione del suo ecosistema….

Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato, in modo incontrovertibile, alcuni importanti benefici della presenza dei cani in ufficio. Migliora la socialità e la collaborazione tra colleghi, mentre si riduce lo stress legato alle tensioni sul posto di lavoro. Mi piace pensare che il nome Rufus, l’ultima proposta di Amazon, un assistente allo shopping che utilizza l’intelligenza artificiale generativa per aiutare gli utenti a cercare i prodotti, lanciato in questi giorni sia legato alla storia del colosso di Seattle.

Nel 1996 a due anni dall’avvio di quello che sarebbe diventato il numero uno dell’e-commerce, un piccolo corgi gallese vagava per i loro uffici. Oggi i cani che accompagnano i collaboratori di Amazon al lavoro sono circa diecimila. Rufus era un cane eccezionale.  Morto nel 2009, la sua presenza è ancora sentita nella sede di Seattle, dove un edificio porta il suo nome e le foto lo ricordano ancora. Era il cane di Susan ed Eric Benson. Eric, uno dei primi ingegneri informatici dell’azienda, stava costruendo il negozio online partendo da zero e Susan aveva il compito di creare consigli sui libri con un tono editoriale che trasmettesse interesse e passione attraverso lo schermo di un PC.  Erano due tra gli allora  20 dipendenti Amazon che lavoravano in un ex magazzino di forniture per pulizie. Rufus è quindi un nome importante e, credo, non scelto a caso.

È un’evoluzione di Alexa l’assistente vocale che si basa su Cloud, dotato di intelligenza artificiale, in grado rispondere a domande più o meno complesse a seconda della tecnologia integrata nei device. Un esempio di smart speaker è Siri per gli iPhone. Rufus è progettato per aiutare gli utenti a cercare e acquistare prodotti. Utilizza il catalogo di Amazon, le recensioni dei clienti, le domande e le risposte, nonché le informazioni provenienti da tutto il Web per rispondere alle domande. Generiche, all’inizio della ricerca, tipo “cosa considerare quando si acquistano scarpe da corsa?” A confronti come “quali sono le differenze tra scarpe da trail e da strada?” A quelle  più specifiche tipo  “ma sono durevoli?”, Rufus aggiunge valore e aiuta  i clienti a trovare e scoprire i migliori prodotti per soddisfare le loro esigenze.

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Conad 2024. Per ora è solo la somma che fa il totale…

D’altra parte lo hanno detto e ripetuto. Primi o secondi a loro non importa. E poi Selex è un conglomerato di 18 aziende. Altra cosa rispetto alle cinque cooperative Conad. Dicono sia un po’ come paragonare pere con mele. Il fiato sul collo dà fastidio ma per il  2023, sono risultati avanti  ancora loro. E nel 2024 c’è tutto il campionato da giocare. C’è però una questione di metodo. Fino ad oggi arrivava primo chi arrivava primo. Non importava con quale compagnia. Quindi dovrà valere anche per i prossimi anni. Altrimenti diventa uno “scudetto di cartone”.  Adesso poi arriva pure Massimo Schiraldi su Gdo news e spacchetta i formati aggiungendo altra carne al fuoco. E così Conad oltre a Selex e Coop dovrebbe guardarsi anche dai cugini di Eurospin e da Lidl. Un bel pasticcio se, hai lavorato tanto per diventare il primo della classe.

Detto questo, mi viene  un dubbio. Ma senza un solo “signor Conad” ha ancora senso agitarsi e lottare per restare in testa al campionato solo dal punto di vista dei numeri? Per ora hanno abolito il valore legale  del titolo anche perché, sulla carta, i signori Conad, ad oggi  sarebbero almeno cinque. E poi non credo che Mauro Lusetti ambisca a sostituire ruolo e persona. A lui tocca gestire un altro capitolo  della storia del consorzio.

Ma quali sono le sfide che attendono Conad a partire dal 2024? L’insegna è la stessa per tutte le cooperative che la compongono ma, come racconta George Orwell nella Fattoria degli animali “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”. O almeno si sentono più uguali degli altri. La sfida dell’unità è quindi la prima che attende il Presidente,  il Direttore Generale Operativo e i cinque leader delle cooperative. Ma anche i 2300 soci e gli oltre 70.000 collaboratori. Ad oggi nessun trattato di Fontainbleu è seguito all’uscita di Francesco Pugliese. Il rischio è che ciascuno si abitui a giocare la sua partita nel suo campionato limitandosi a “sopportare” chi gioca altrove. Lusetti ha certamente la pazienza, la volontà e la capacità di chiudere il cerchio. Però bisogna vedere se glielo lasceranno fare.

Dipenderà molto dai cinque presidenti e dalla loro visione del ruolo di Conad come entità unitaria compreso  quale dovrà essere, per loro, il ruolo da assegnare alla sede bolognese del dopo Pugliese. La inevitabile fase di “restaurazione” e di rinegoziazione di ruoli e compiti dovrà però, prima o poi, presentare ciò che è oggi Conad e dichiarare formalmente ciò che vuole essere nel panorama della GDO nazionale. Ciascuno “padrone a casa propria” con una condivisione di insegna e alcune funzioni aziendali sul modello sostanzialmente  di altre centrali oppure ridefinizione e rilancio di una visione nazionale da convinta prima della classe? Leggi tutto “Conad 2024. Per ora è solo la somma che fa il totale…”

Patrizio Podini e gli auguri della sua MD …

Dopo Bologna la discussione su discount è marca privata è salita di tono. Realisti e anticipatori di tendenze si confrontano animatamente. Un dato però emerge indiscutibile. In un comparto  dove si fatica a guardare al di là del proprio perimetro un imprenditore, bolzanino di nascita, sfata tutti i pregiudizi e sceglie il sud come punto di partenza della sua azienda. E partendo da lì, risale la penisola. Nessuno prima di lui ci era riuscito. Anzi. La maggior parte sono “scappati” dal sud lasciando le loro insegne a capaci imprenditori locali o non ci hanno mai  nemmeno provato ad affrontare quel mercato. L’esperienza maturata nella GDO aiuta Podini a costruire un modello originale di discount.

Al momento giusto, ne sa prendere lui stesso  le distanze definendo la sua azienda “uno dei più importanti player della grande distribuzione italiana, ormai lontana dai canoni del discount ma sempre più marchio della buona spesa”. Ecco. La “buona spesa”, una sua ossessione. Protagonista degli spot televisivi da lui stesso interpretati nel filone aperto nel 1993 da Giovanni Rana che alla richiesta del regista di trovare un attore che gli somigliasse  replicò: “Ma quale attore, ci vado io a fare lo spot!”. La stessa reazione di  Fabrizio Podini. Un’ossessione, quella della buona spesa, tradotta poi in un brand per una linea di prodotti a marchio del distributore. 150 prodotti per la spesa quotidiana, sugli scaffali degli oltre 800 punti di vendita MD a partire da Pasqua 2024 con l’obiettivo di offrire la migliore qualità al giusto prezzo”.

A dimostrazione di come più che il formato e le discussioni che si trascina dietro conta la capacità di comprendere al “meglio possibile il momento storico e il cambiamento della domanda in evoluzione con il contesto economico” come ha dichiarato  Giuseppe Cantone, direttore commerciale di MD.

Fabrizio Podini oggi  compie 85 anni ed è ancora in campo a competere, non solo con Eurospin ma con due Amministratori Delegati veramente in gamba, uno davanti e uno (per ora) ancora dietro, come Massimiliano Silvestri di LIDL e Michael Gscheidlinger di ALDI che insieme superano di poco la sua età e che interpretano con le loro aziende le traiettorie future del formato nel mondo. Lui resta uno dei migliori interpreti del presente. Non ha sbagliato  praticamente nessuna mossa. Mentre Eurospin punta sull’intelligenza di chi deve fare la spesa, Lidl alle nuove generazioni, Aldi ai nuovi modelli di consumo e Penny al risparmio, MD  mette in campo un modello nazional popolare ingaggiando fin dal 2017, Antonella Clerici subentrata a Massimo Ranieri. Un altro tassello del suo successo. Leggi tutto “Patrizio Podini e gli auguri della sua MD …”

Amazon riparte anche da Whole Foods…

Sei anni fa, Amazon ha acquistato Whole Foods per 13,7 miliardi di dollari. Non va sottovalutato che, prima di quella acquisizione, dal 2007 al 2017, (Amazon Fresh ha debuttato nel settore alimentare nel 2007), ha implementato diverse strategie per aumentare la propria percentuale nel business alimentare, ma nulla ha praticamente funzionato. Da qui, probabilmente,  la scelta di acquisire Whole Foods e qualche anno dopo di ingaggiare da Tesco, Tony Hoggett. Sempre però con in testa la costruzione dell’intero suo ecosistema su cui punta Amazon.

Da allora, ci sono stati molti cambiamenti, tra cui la nomina del nuovo CEO Jason Buechel a partire dal 1 settembre 2022 subentrato al leggendario fondatore John Mackey. Va considerato che, sebbene Whole Foods stia aprendo punti vendita, le entrate  2023, pur migliorate rispetto al 2022, sono più o meno allo stesso livello del  2017. Buechel ha avuto il compito di portare aria nuova in un marchio importante  che ha aperto la strada al naturale e al biologico negli USA  più di 40 anni fa.  Whole Foods offre più di 37.000 prodotti biologici in oltre 535 negozi. L’obiettivo è di aprire fino a 30 nuovi negozi all’anno. Dall’arrivo di Amazon, l’azienda ha curato e differenziato i suoi assortimenti, aggiungendo 3.000 marchi locali negli ultimi cinque anni con un aumento del 30% tra il 2017 e il 2022.  Fino ad ora, però, il cambiamento più significativo  apportato da Amazon è stato sul versante dei fornitori. Meno fornitori locali e più grandi fornitori in grado di  soddisfare la domanda complessiva. Una standardizzazione necessaria per ridurre i costi e assicurare rifornimenti costanti pur  correndo il rischio di eliminare molti articoli particolari, scontando la difficoltà con quella parte di clienti alla ricerca proprio di prodotti unici che non potevano essere trovati altrove.

Oggi, Whole Foods,  è ben più di una semplice attività  complementare per Amazon. Il retailer è un laboratorio di innovazione,  parte fondamentale dell’obiettivo più ampio assegnato da Jassy a Tony Hoggett di creare una strategia di alimentari best-in-class per Amazon. Non bisogna mai sottovalutare che il mercato alimentare USA vale 800 miliardi di dollari e l’industria alimentare genera vendite per 1,5 trilioni di dollari. Alimentazione  e generi alimentari sono quindi strategici per Amazon semplicemente per le dimensioni del mercato. A questo aggiungo, la potenzialità dei dati a disposizione, la capacità di introdurre prodotti a marchio del distributore e l’aumento della notorietà del marchio Amazon sono ulteriori motivi della presenza strategica di Amazon nel retail alimentare.

Non invidio Jason Buechel perché Whole Foods sta affrontando un profondo cambiamento all’interno delle strategie retail di Amazon che tocca la natura stessa dell’insegna. L’obiettivo principale è di riposizionare l’azienda  nell’ecosistema complessivo  di Amazon. Tony Hoggett, SVP Worldwide Grocery Stores di Amazon, sta lavorando anche con il team di Whole Foods, per identificare la migliore strategia per semplificare il processo di acquisto di prodotti di largo consumo da parte dei clienti e riunire i marchi (Whole Foods, Amazon Fresh, Amazon). Hoggett sa che i membri Prime sono clienti di grande valore e mira a migliorare la loro esperienza di acquisto. Dalle offerte esclusive alla consegna più rapida, Hoggett immagina Prime come un programma fedeltà complessivo. Nel retail in rapida evoluzione, l’ex Tesco, ritiene che abbracciare la tecnologia e l’innovazione siano fondamentale per stare un  passo avanti alla  concorrenza.

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Perché Marca 2024 è stato un successo per la Grande Distribuzione

La domanda è legittima e in molti se la stanno ponendo. A cosa è dovuto il notevole successo di Marca 2024 in quel di Bologna? Per capirlo occorre fare qualche passo indietro. Per chi non vive quotidianamente il settore, la Grande Distribuzione è semplicemente l’insegna maggiormente frequentata come cliente e cosa si mette nel carrello della spesa. Nelle sue dinamiche interne è, al contrario, un mondo dove tutti si conoscono, si passa professionalmente da un’insegna all’altra, ci si vede ai convegni dove si parla di tutto ma poi si torna a lavorare come sempre. Alcuni piccoli imprenditori sono passati dalla penna dietro l’orecchio al Suv ma restano quelli che sono sempre stati. Altri si industriano, si associano, si alleano e crescono. Si fatica però a superare una certa soglia di fatturato. Pochi hanno una dimensione multi regionale. Le leadership sono essenzialmente locali. Il grande pubblico oltre a conoscere le insegne quando fa la spesa filtra il comparto attraverso gli spot di Conad, Lidl, MD e pochi  altri. O le inchieste delle associazioni  dei consumatori. Il settore, la comunicazione  e la  business community vivono dinamiche e liturgie proprie. Hanno un loro linguaggio. Si parlano addosso.

In quello che sembra un  “piccolo” cortile  dove non succede mai nulla di rilevante accadono tre fatti che lo scuotono dalle fondamenta. Innanzitutto la pandemia. Nella confusione generale che si determina i punti vendita della GDO diventano un servizio sociale. Un punto di riferimento della comunità. Si fanno trovare tutti pronti, perdono la caratteristica di insegna e acquisiscono uno status differente. Le cassiere vengono addirittura paragonate al personale medico  per l’abnegazione messa in campo e nonostante i rischi per la loro salute. La spesa per milioni di persone diventa l’unico momento di svago. Ci si mette in fila anche dove non ci si era mai avventurati. Si scoprono i discount e le insegne diverse da quelle abituali. 

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Supermercati e discount: così diversi e così uguali….

Se domani mattina atterrasse un marziano in una qualsiasi città italiana e chiedesse alle persone incontrate di indicargli il discount più vicino credo otterrebbe una risposta immediata. Eurospin ne ha circa 1200 distribuiti pressoché ovunque. Lidl supera i 730, Penny ne ha circa 350, MD 820, In’s 560 e Todis 237 punti vendita. E ce ne sono molti altri. Difficile non notarli. Se al contrario, al marziano, venisse consegnato  un elenco delle insegne, che alcuni insistono a definire  discount, e dovesse  lui stesso, cercare in ciascuno dei loro siti aziendali la presenza della parola “discount”, resterebbe deluso.

Ho provato a scorrere velocemente i siti principali partendo dal “Chi siamo” di alcune  insegne tra le più note. Una sorta di carta di identità dell’azienda. L’unica che rivendica con orgoglio la definizione  è la prima della classe, Eurospin: “Siamo Eurospin, il più grande Gruppo discount italiano…”. La tedesca Penny, l’essere un discount, lo accenna in quarta riga. Poi cambia subito discorso e parla di Rewe. La loro casa madre. Lidl non ne parla praticamente per nulla. MD prende addirittura le distanze definendosi “uno dei più importanti player della grande distribuzione italiana, ormai lontana dai canoni del discount ma sempre più marchio della buona spesa”. Todis guarda avanti: “Rappresentiamo per i nostri clienti una soluzione alternativa alla spesa tradizionale. Un mondo in cui la qualità incontra la convenienza.” Per In’s:”Dal 1994 siamo al fianco delle famiglie per offrire loro una spesa completa e di qualità, con una convenienza che dura tutto l’anno”. Infine Aldi gonfia il petto e va subito al dunque: Aldi è “riconosciuta in tutto il mondo tra le più importanti multinazionali nel settore della Grande Distribuzione Organizzata”.

L’intera GDO tradizionale ha dovuto aspettare che ci pensasse Valerio De Molli a Marca by BolognaFiere  a ridisegnare perimetri e confini. Anche la stessa “Politica” si è accorta (finalmente) che dietro questa parola un po’ strana per addetti ai lavori “marca del distributore” c’è un mondo fatto di PIL, lavoro, Made in Italy, artigiani, agricoltori, piccoli industriali e distributori. Una filiera di interessi e di opportunità che va ripensata e valorizzata. Anche per questo serve a poco discutere se sdoganare o meno  i discount e la loro influenza sull’intero comparto. Lo hanno già fatto da soli.  Resta l’Italia del Gattopardo, quella che parla di cambiamenti (degli altri) ma non ha alcun interesse a cambiare.  I discount, quelli veri, continuano la loro metamorfosi e parlano di spesa intelligente, di buona spesa, di qualità e convenienza. E comunicano tanto e in modo altrettanto significativo. C’è chi si attarda sui formati e chi guarda al cliente e alle sue esigenze. E cerca di soddisfarle…

Aldi, ad esempio, ha rilanciato il suo “PREZZO ALDI”, rappresentato da circa 2.000 referenze Made in Italy di cui circa 130 di frutta e verdura e 30 marche private. Ha dato una sua intelligente  interpretazione al carrello tricolore garantendo ai propri clienti da ottobre, in aggiunta ai ribassi già praticati nel corso dell’anno, una selezione di oltre 200 prodotti essenziali come pasta, carne, latte, salumi, formaggi e pesce, accanto a referenze per l’igiene personale, la cura della casa e degli animali a prezzo bloccato, ma con la qualità di sempre. Un impegno che verrà potenziato con oltre 300 prodotti e portato avanti fino a fine marzo 2024 per sostenere le famiglie in difficoltà con una spesa conveniente che mette al primo posto la sicurezza alimentare. Impegno analogo anche per Lidl che  annuncia anch’essa  il proseguimento dell’impegno contro l’inflazione, arrivando a ribassare i prezzi di oltre 500 prodotti.  “Questa ulteriore iniziativa testimonia il nostro impegno a fare la nostra parte per supportare le famiglie nel contrasto al carovita, perché la situazione economica è ben lontana dall’essere risolta e continua a richiedere il nostro contributo.”afferma Massimiliano Silvestri, 45 anni, Presidente di Lidl Italia.

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Esselunga. Che 2024 sarà?

La ragazza con il nijab che ti accoglie sorridente alla cassa 3 di viale Cassala a Milano, la proliferazione di sconti e promozioni sui lineari, il via vai sempre fitto  dei clienti, soprattutto pensionati, in una giornata qualsiasi, il bar affollato mentre fuori minaccia di piovere segnalano una normalità  evidente. Esperti in voti e pagelle e consumatori abituali intervistati a fine anno sembrano concordare. Esselunga è tra le migliori insegne del 2023. I numeri lo confermano. Così come il distacco che mantiene dalle insegne, tradizionali  competitor, che lottano da sempre per il secondo posto. Non è certamente uno dei punti vendita più innovativi e moderni dell’insegna ma, Viale Cassala, seppur rimesso a nuovo, testimonia, per chi lo vuole vedere,  il nuovo contesto  con cui l‘insegna deve fare i conti.  A pochi metri, una Lidl dotata di un grande posteggio ordinato con un layout moderno  e con una presenza di clienti molto più eterogenea  e ben più competitiva  del classico discount è lì a simboleggiare che lo scenario è cambiato. È che ha sarà più come prima.

Personalmente credo che il 2024 sarà un anno cruciale  per l’insegna di Pioltello. Qualche decisione importante sulla direzione di marcia e quindi sulla strategia dovrà essere presa. L’azienda oggi è in affanno e lo si percepisce se si gira per i punti vendita della città e dell’hinterland. Circondata nei suoi territori di elezione, da discount competitivi e insegne toste che, dal Varesotto e dalla Valtellina (Tigros e Iperal) insidiano la provincia di Milano, insieme a qualche  intrepido specialista tipo Banco Fresco e contemporaneamente dalla eccessiva numerosità dei diversi concorrenti tradizionali che con la loro diffusione territoriale, hanno contribuito a spingere i consumatori  ad un nomadismo ormai senza ritorno. Si va dove conviene e, in coda alle casse, le variopinte borse della spesa dei concorrenti segnalano questa tendenza ormai ineluttabile. L’azienda di Pioltello fatica a tenere le distanze come  in passato.

Il bacino di clienti è quello. Anzi. Per certi versi è in leggero  calo. Esselunga era poi abituata ad una concorrenza non alla sua altezza e in gara  solo per il secondo posto. I concorrenti  oggi sono molti di più e l’infedeltà dei consumatori storditi dall’inflazione e da politiche commerciali aggressive, sempre più tattiche che strategiche, presenti ovunque confondono e colpiscono “sotto la cintura”. Esselunga reagisce, replica colpo su colpo. La lotta, però, sta rischiando di sacrificare parte della  distintività dell’insegna. Un’identità che si è sempre retta innanzitutto sulla coerenza e sulla qualità del modello, ma anche sulle competenze e sul lavoro del management, sulla passione del personale,  sul rapporto speciale con i suoi clienti. E, infine, riuscendo a costruire un equilibrio, probabilmente unico, tra costi, margini e fatturato. Il carburante indispensabile  a far girare il motore più forte degli altri.

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Tra Ferrero e Barilla non c’è solo il carrello della discordia…

Per certi versi la “guerra” tra Ferrero e Barilla mi ricorda quella tra Galbani e Invernizzi nel comparto Lattiero Caseario a partire dagli anni 70 del secolo scorso. Galbani, delle due, era la più forte. Nulla di ufficiale ma i colpi bassi erano all’ordine del giorno. Sui prodotti, sulle promozioni e sul management. Alla fine non ha vinto nessuna delle due. Invernizzi  ha perso ed è stata acquisita da  Galbani. Quest’ultima lo era già stata da Lactalis. I contendenti di allora non ci sono più. La guerra tra “Ercolino sempre in piedi” e la “mucca Carolina” è rimasta confinata al novecento.

Vado a memoria ma più  o meno alla fine degli anni 70 Barilla è entrata nel mercato dei prodotti da forno. Faticò ad essere accettata nell’AIDI (l’associazione dei dolciari aderente a Confindustria). Per Ferrero e altri, un pastaio come Barilla, avrebbe dovuto restare nel suo perimetro. Schermaglie che annunciavano gli scontri futuri. Ho avuto la fortuna di conoscere entrambi gli artefici del successo delle due aziende. Michele Ferrero grazie al suo DHR di allora  Carlo Sibona e Pietro Barilla grazie ad Albino Ganapini. Due leader così diversi. Il primo convinto della centralità  delle proprie radici,  premessa indispensabile per la crescita, il secondo per la capacità di guardare al mondo come un unico campo da gioco. Non ho conosciuto i figli però ho amici e ex colleghi in entrambe le aziende.

Credo  però che, anche per le aziende,  l’immortalità non sia garantita. “Who wants to live forever” (Chi vuole vivere per sempre?), cantano i Queen nella colonna sonora scritta per il film Highlander. La profezia ci dice che alla fine “ne rimarrà soltanto uno”. Vale per il film proposto nel 1986 vale per le imprese. Per questo  credo che prima o poi, questo scontro penalizzerà entrambe. Se continua così finirà, temo,  come tra Galbani e Invernizzi.

Tutto è precipitato  quando Ferrero ha pensato di entrare nel mondo della biscotteria fino a quel momento presidiata da Barilla con il suo Mulino Bianco e dalla replica (fuori misura) di quest’ultima sull’uso dell’olio di palma. Il “sweet agreement” fino a quel momento (probabilmente avallato dalla saggezza dei rispettivi padri) era  al contrario, caratterizzato dall’assenza degli uni nei segmenti dell’altro. Da lì in avanti, provare a farsi del male a vicenda è sembrata una costante. Non solo sconfinando entrambi su nuovi  prodotti dove l’altro si sentiva forte ma spostando risorse in ricerca, sviluppo, commercializzazione e marketing. Leggi tutto “Tra Ferrero e Barilla non c’è solo il carrello della discordia…”