Caos tra gli scaffali della Leroy Merlin. Dove ci può portare?

I Cobas esultano in quel di Biandrate. Dopo una  ventina di  giorni di scontro duro sui piazzali (https://bit.ly/3tKwkhU) con conseguenze gravissime sui rifornimenti ad Esselunga, l’azienda che ne gestisce i magazzini ha preferito ritirare la sospensione cautelare dei 28 lavoratori. Brivio e Viganò dal primo agosto è subentrata a 5 distinte cooperative nella gestione dell’hub logistico di Esselunga per i reparti frutta-verdura e drogheria facendosi carico di tutto il pregresso. Comprese le tensioni causate da situazioni mal gestite in precedenza che hanno contribuito a deteriorare il contesto e alimentato il conflitto.

 Ha ragione  il sindacalista dello Slai Cobas Massimino Dell’Orfano quando dichiara che quello che è avvenuto “passerà alla storia”. Nulla sarà più come prima. Il blocco ermetico delle merci in uscita per 20 ore tra il 20 e 21 ottobre per indurre l’azienda a revocare le 28 “espulsioni” di lavoratori sui piazzali segnano la prima grande vittoria dei Cobas nel comparto.  Come ho già scritto, quando il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, ha archiviato il procedimento a carico di 32 lavoratori e attivisti del SI Cobas  per i fatti accaduti durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Viganò di Truccazzano e Vimodrone (MI) ha determinato  una svolta destinata a produrre inevitabili conseguenze. La degenerazione delle lotte sindacali promosse dai sindacati di base sui piazzali della logistica e la crisi di leadership del sindacalismo confederale, stanno creando un corto circuito pericoloso.  

Aggiungo che quando si legge in una sentenza della magistratura che: “un picchetto fuori dai cancelli in occasione di uno sciopero, condotto dai lavoratori attraverso l’ostruzione delle vie d’accesso al posto di lavoro operata con la loro presenza fisica e finalizzato ad impedire l’ingresso delle merci, non è punibile poiché tale forma di lotta è parte integrante del diritto di sciopero e della libera iniziativa sindacale, tutelate dagli articoli 39 e 40 della Costituzione” si può comprendere benissimo la traiettoria dove potrà portare. Ci siamo già passati negli anni 60 e 70 del secolo scorso.
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Grande Distribuzione. PAM punta sulla squadra..

More for less. Più A Meno. Bisogna ripartire da qui se si vuole capire cosa vuole essere  PAM oggi. Ricordo in Galbani quando si decise di rilanciare negli anni 90  il payoff “Galbani vuol dire fiducia” nato nel 1960, più volte messo in disparte, ma sempre ripreso quando la ragion d’essere dell’impresa, la sua anima, la sua identità diventano fondamentali per tracciare la nuova rotta nelle difficoltà del contesto.

PAM ha oggi, questa necessità. Ripartire dai fondamentali e dai suoi valori fondativi. Un’azienda è innanzitutto il “clima” che vi si respira. Alla presentazione del libro “La spesa degli italiani” ero casualmente seduto vicino al Direttore Acquisti Grocery e Non Food  Francesco Mazzucato, dal 1993 in  PAM e ad altri dirigenti di lungo corso in azienda. Lo stesso Andrea Zoratti, Direttore Generale dal 2022 vanta un CV aziendale che parte dal 2014.  Un manager esperto della “macchina aziendale” di Pam. Ho trovato una bella squadra. Un ottimo punto di partenza per capire dove va un’azienda. E soprattutto se alle parole, tipiche di queste presentazioni, possono poi seguire i fatti. 

In Veneto la GDO ha prodotto tante variazioni sul tema. Con una battuta mi verrebbe da dire che dev’essere l’aria. Non è un caso che in quella regione, oltre a PAM che ha conquistato una dimensione nazionale c’è Tosano che da quelle parti sta facendo vedere i sorci verdi a Conad, Eurospin che tiene testa ai  due discount tedeschi LIDL e ALDI e che hanno scelto di partire da quella regione per “conquistare” il Paese. Il Veneto è  uno dei punti  potenzialmente più  interessante per comprendere per il futuro della GDO. Conad e Coop restano fuori quota.  Nel nanismo complessivo del nostro sistema distributivo, è  forse da lì, oltre che dal sud, che può emergere, se i passaggi generazionali funzioneranno, qualcosa di nuovo.

PAM nasce a Padova nel 1958. I suoi fondatori non raggiungevano in tre i cento anni. Oggi sarebbe impensabile nel comparto. Il front man era Tito Bastianello. Uno dei leader storici della GDO italiana. Gli altri due soci erano Giancarlo Dina e Giampaolo Giol. Meno in vista ma altrettanto fondamentali per il decollo dell’impresa e la sua navigazione dal boom economico alla fine del secolo. Oggi Presidente e AD è Arturo Bastianello. Figlio di Tito. Quel modello di  sviluppo è ormai finito da tempo. Non solo per PAM. Oggi la sfida è consolidare per ripartire. Tenere testa ai discount rilanciando su qualità, convenienza e sostenibilità “sfruttando” anche  il modello di franchising che è stato scelto che valorizza le partnership individuate, ripensare alle grandi superfici  di proprietà con l’occhio attento al conto economico e reinventare il mestiere della GDO aggiungendo nuove risposte alle esigenze dei consumatori attraverso l’innovazione e la valorizzazione dei collaboratori.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. PAM punta sulla squadra..”

Polemiche tra Confindustria e Confcommercio sul lavoro povero. Servirebbe proprio un’operazione “verità”

Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, ha lanciato nei giorni scorsi   la proposta di un grande patto al segretario della Cgil Landini per fare una operazione verità in Italia, per dire insieme ai sindacati chi sono quelli che pagano poco, che non pagano il giusto e quelli che sono fuori dalle regole. La stessa CISL del terziario aveva proposto tempo fa “un cambio di passo culturale, una svolta in cui le Parti Sociali possano giocare un ruolo importante esercitando una funzione educativa. Formare le lavoratrici e i lavoratori sui loro diritti legali e contrattuali, aumentare la conoscenza degli strumenti di tutela messi a loro disposizione, supportarli nell’attività di denuncia devono essere prerogative del sindacato».

Carlo Bonomi ha affermato: “Serve un grande patto di equità sociale da fare noi con il sindacato e dire senza peli sulla lingua chi sono quelli che pagano poco. Chi sono? Cooperative, finte cooperative, commercio e servizi”. Una verità amara da digerire ma evidente per chi non si vuole nascondere dietro un dito.  Donatella Prampolini Vice Presidente di Confcommercio non ci sta. “il nostro CCNL è già sopra i 9 euro”. La nuova linea Maginot che distinguerebbe “il grano dal loglio” in materia salariale.

I 9 euro indicati  per il salario minimo non nascono a caso. Dipendono da un calcolo economico che tiene conto dei parametri europei. Il riferimento è al 50% della media dei salari comunitari. A questo va aggiunto il dato ISTAT e il fatto che molti contratti sono scaduti ed erosi dall’inflazione. Ovviamente è solo una certificazione di rifermento. Non ci dice che va tutto bene. Però assolve tutti. Come i gatti che di notte sono tutti grigi.

Lasciamo per un momento l’appassionato confronto. Innanzitutto nessun contratto, tra gli undici maggiormente applicati nel nostro Paese. prevede un trattamento economico complessivo inferiore ai 9 euro.  Dai 9,25 euro di una guardia giurata inquadrata al quarto livello del Ccnl vigilanza privata fino ad arrivare alla cifra di 11,34 euro di un operatore di laboratorio di livello E2 del Ccnl chimica-farmaceutica. Significativo come evidenzia  Adapt, che in tutti i contratti analizzati già soltanto considerando le ipotesi che prevedono minimi tabellari, due scatti di anzianità maturati e i ratei delle mensilità aggiuntive si superano i 9 euro lordi proposti e addirittura in cinque dei contratti presi in considerazione il trattamento economico risulta superiore ai 9 euro lordi già solo considerando i minimi tabellari (chimica-farmaceutica, metalmeccanica industria, industria alimentare, commercio e tessile). Gli unici due Ccnl che sono sotto, ma per pochi centesimi, sono Pulizia-multiservizi (8,59 euro) e Vigilanza privata (8,51 euro) (dal Sole 24 ore). Il tema quindi non sono i nove euro che nemmeno lo stesso Bonomi discute. Il Presidente di Confindustria ha però ragione su un punto. Non è lì il problema. I dati parlano chiaro. Per questo vanno accesi i riflettori. Non basta rispedire al mittente le accuse come fa Donatella  Prampolini (https://bit.ly/47MeM3J).

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Conad. Piovono fiori sui ladri in fuga. Con annessi i vasi di terracotta….

Può sembrare strano partire da un furto con scasso in un punto vendita periferico per poi allargare lo sguardo. È un modo come un altro per comprendere cosa c’è alla base dell’universo Conad. Sfaccettature incredibili di luoghi e di persone difficili da intercettare dai comunicati stampa. Fortunatamente c’è molto altro oltre alla difficoltà tra le leadership delle cinque cooperative.  In questi giorni è finita sulla stampa locale il furto di una cassaforte ad un Conad City di Colico. E questo consente di accendere i riflettori sulla composizione e quindi sulla qualità della base associativa del consorzio.

Siamo a Colico, un piccolo comune di ottomila abitanti in provincia di Lecco, noto oltreché per la posizione e per il turismo lacustre, per il Forte di Fuentes edificato dal Conte omonimo per controllare le vie di comunicazione, come raccontato da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Da oggi balza alle cronache anche per i condomini di un palazzo  che hanno difeso a colpi di fiori, provvisti dei rispettivi vasi di terracotta, il Conad City preso d’assalto dai ladri.

Non è però un punto vendita qualsiasi. Almeno per me.  Lo conosco come alcuni altri della cooperativa.  Li ho frequentati  salendo verso Morbegno dalla vecchia strada che costeggia il lago, prima di fermarmi all’Abbazia di Piona, un esempio di architettura romanica lombarda sulle sponde lecchesi del Lago di Como. Appartiene alla “Cooperativa La Popolare” (https://bit.ly/47xf1zV) nata  nel 1919 a Lecco a cui aderiscono 2030 soci, che oggi gestisce otto supermercati tutti a marchio Conad, a Lecco (Viale Turati e San Giovanni), Colico, Mandello, Inveruno, Vanzago, Turbigo e Figino Serenza  dando lavoro  a oltre 100 persone. Una storia lunga cent’anni al servizio delle persone, sempre animati da uno spirito cooperativistico, lavorando quindi per il bene della comunità. Il trambusto provocato dalla “spaccata” ha svegliato l’intero palazzo e quelli vicini. I residenti  si sono affacciati a balconi e finestre per gridare contro i ladri intenti a sradicare la cassaforte dalla parete in attesa dell’arrivo dei carabinieri. Qualcuno più temerario si è spinto oltre e ha iniziato a lanciare contro i rapinatori,  i suoi  vasi, completi di fiori, dall’alto.  È così iniziata la “battaglia” per impedire il furto. I vasi e il loro profumato contenuto hanno però centrato solo il furgoncino, non i ladri, che però si sono dati alla fuga prima di sfondare anche un secondo negozio.

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Si riaccende lo scontro sui piazzali della logistica. Leroy Merlin di nuovo sotto tiro.

Sono mesi che denuncio il rischio gravissimo di degenerazione del conflitto che sui piazzali della logistica sta coinvolgendo anche aziende della grande distribuzione o presenti nelle gallerie dei centri commerciali. Le recenti sentenze della magistratura milanese sulla liceità del blocco delle merci sta dando fiato alle forme di lotta più estreme sostenute proprio dal sindacalismo di base in spregio alle regole che il sindacalismo confederale ha sempre rispettato e che hanno via via coinvolto Unes,  Esselunga e il suo partner logistico.  In questi giorni  si è riacutizzata la vertenza Leroy Merlin e, notizia altrettanto recente, il centro commerciale Bennet di San Martino Siccomario, è stato invaso da militanti del SI Cobas armati di  fischietti, bandiere e striscioni, per un paio  d’ore, cercando di bloccare   la galleria dove si trova il negozio Sephora  il cui trasferimento del magazzino logistico di Vellezzo Bellini a Castel San Giovanni era già previsto da tempo.

Sotto i riflettori, in queste ore, ci ritorna pure Leroy Merlin. Com’era prevedibile negli incontri  che si sono succeduti presso la prefettura di Piacenza, l’azienda ha sempre confermato la decisione di lasciare il magazzino logistico di Castel San Giovanni. La novità importante è che Leroy Merlin si era ed è impegnata a supportare Iron Log nella ricollocazione di una parte dei lavoratori presso un altro provider logistico all’interno del deposito sito a Mantova, nonché a collaborare affinché Iron Log possa porre in essere un complessivo piano di incentivazione finalizzato ad agevolare la ricollocazione dei lavoratori anche attraverso il servizio di outplacement. 

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Contratto Terziario, DMO e cooperative. Lotta dura, senza premura…

“Lotta dura, senza premura” è stato lo slogan che più di altri ha accompagnato la vicenda contrattuale del commercio. Almeno fino ad ora. I sindacati di categoria, con la fissazione della data dello sciopero, rompono gli indugi e alzano il tiro nella speranza di rimettere in moto il negoziato. La data è fissata: venerdì 22 dicembre. Un venerdì a tre giorni dal Natale. Data non casuale. Per le insegne, meglio quel venerdì che il sabato successivo. Periodo di acquisti e di forte frequentazione  dei punti vendita e quindi anche di maggiore interesse mediatico per l’iniziativa.  La vera ragione della scelta.  Una cosa però va sottolineata. Dal dibattito che è emerso nell’assemblea,  Il lungo percorso di confronto contrattuale sembra essere passato invano. Le differenze, anziché ridursi come sempre avviene, si sono addirittura accentuate, cristallizzando le posizioni.

L’ultima firma risale al 2015. Otto anni nei quali i rispettivi gruppi dirigenti sono cambiati senza essere sostituiti da leadership autorevoli in grado di proporre sintesi e chiudere la partita. La scadenza del 2019 per Confcommercio è stata disattesa e depotenziata da un paio di firme in dumping (Federdistribuzione e Confesercenti)  sul salario, concordato con i tre sindacati. Un vulnus che ha creato un contesto di sospetti reciproci e di competizione   tra le associazioni datoriali le cui conseguenze sono tra le numerose cause del lungo stallo. Un esempio di come una sottovalutazione  grave compiuta essenzialmente dalle leadership delle organizzazioni sindacali di allora, si è trascinata nel tempo presentando il conto al rinnovo successivo. Cosa assolutamente prevedibile. 

La composizione dei partecipanti  all’assemblea unitaria dei tre sindacati di categoria (https://bit.ly/40PtvbO) per la prima volta non ha riguardato solo  l’area del CCNL del Terziario, della DMO e della cooperazione. Ha coinvolto anche il turismo e la ristorazione in tutte le sue declinazioni. È un tentativo, assolutamente legittimo,  del sindacato di categoria di presentarsi  al Paese come rappresentante di un bacino di almeno cinque milioni di lavoratori ancora sprovvisti di rinnovo contrattuale. E questa  è una novità assoluta. Tre sindacati di fronte a una decina di controparti. Ciascuna alla ricerca di una sua distintività.

Che cosa è uscito dall’assemblea?

Ovviamente la dichiarazione di sciopero, essendo  una prova di forza unitaria che prevede una mobilitazione di piazza, annulla le diverse sensibilità sui possibili punti di caduta possibili, pur presenti, tra i tre sindacati. Fabrizio Russo segretario generale della Filcams CGIL punta ad una mobilitazione di lunga durata. Da poco eletto, “convinto sostenitore” di Landini e del nuovo profilo di lotta della CGIL non è alla ricerca di facili mediazioni.  “Il loro tempo è finito. Adesso comincia il nostro. La nostra controparte non ha il senso del limite” ha dichiarato e ha promesso una  campagna di mobilitazione che arrivi addirittura a colpire l’immagine delle aziende del comparto. “Ci aspettano mesi difficili” ha concluso. Paolo Andreani, segretario generale della Uiltucs, anch’egli di recente  nomina, se l’è presa con chi chiede ulteriore flessibilità. Ha definito “una polpetta avvelenata”  lo scambio proposto da Confcommercio teso a ridurre l’impatto dell’aumento attraverso uno scambio con altre parti del CCNL. Ha respinto con sdegno  l’offerta di anticipo sui futuri aumenti contrattuali proposto  dalle cooperative  per la sua esiguità ma non è stato altrettanto insensibile alle  proposte economiche ventilate da  Federdistribuzione. 

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Grande Distribuzione. Ridurre furti, frodi, scarti e inefficienze varie

“Settimo, ruba un po’ meno”. Non è solo una commedia di Dario Fo. È un obiettivo di difficile soluzione per la GDO, conosciuto all’interno di quel mondo, con il termine “differenze inventariali”. Nel 2022 hanno raggiunto in media l’1,38% del fatturato annuo. Parliamo di circa 4,6 miliardi di euro. A questo valore va aggiunta la spesa che le aziende sostengono in misure di sicurezza o contrasto alle perdite con un costo economico totale stimato pari a 6,7 miliardi di euro.

Perdite notevoli derivanti non solo da furti e frodi ma anche da errori amministrativi, scarti, rotture e inefficienze varie. È dal 2017 che Crime&tech spin-off di Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems Italia e la collaborazione dell’associazione Laboratorio per la Sicurezza propongono questi dati presentati all’interno di  studio e raccolti attraverso un questionario online distribuito a un campione di security manager appartenenti a 40 gruppi aziendali del settore Retail e GDO, per un totale di oltre 10.300 punti vendita e l’analisi di informazioni su più di 103.000 singoli eventi criminali registrati in punti vendita di tutta Italia tra il 2021 e i primi nove mesi del 2023.

“L’obiettivo dello studio è di provare a quantificare le perdite e fornire alle aziende degli spunti di riflessione sulle soluzioni da poter adottare” commenta Marco Dugato, Amministratore di Crime&tech e Ricercatore di Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore”.  Tra i settori coinvolti, il Comparto del Fai da Te (2,00%), i Supermercati, gli Ipermercati e i Discount (1,98%) sono quelli che registrano i valori più alti. Dallo studio risulta che  circa la metà delle differenze inventariali sono di natura sconosciuta quindi difficile rintracciarne le cause. Il restante 52% è attribuibile a furti (da clienti e dipendenti), scarti e rotture, errori amministrativi e contabili e frodi commesse da fornitori. In netto aumento, secondo la metà circa di chi ha risposto,  i furti di necessità. Già in aumento dal 2019 al 2020 con un valore medio della merce rubata o recuperata nei singoli episodi pari a 40 euro.

Occorre anche considerare che, secondo la Cassazione il furto al supermercato da 50 euro non è punibile data la tenuità del fatto. A questo aggiungo la  vexata quaestio rispetto al reato contestabile: “furto” o “tentato furto”. Sempre la Cassazione ci spiega che, nell’ambito di un supermercato, se la merce viene sottratta dagli scaffali e l’autore riesce a superare le casse senza pagare risponderà soltanto a titolo di “tentato furto” soprattutto qualora la sua azione sia stata costantemente monitorata dalla vigilanza e questa lo abbia fermato all’uscita. Ciò in quanto ancorché la merce sia stata sottratta, non vi è stato effettivo impossessamento della stessa. Inutile commentare. Ricordo la vicenda avvenuta in un ipermercato nel quale un dipendente venne filmato mentre sottraeva un piccolo televisore dal reparto. Fermato nel piazzale nel bagagliaio della sua auto è stato rinvenuto,  come ovvio, il televisore quindi l’azienda lo ha licenziato. In tribunale il giudice ha dato torto all’azienda respingendo così il licenziamento. Il filmato si interrompeva all’uscita del punto vendita e quindi non esisteva la prova certa che il televisore fosse  stato messo sull’auto dal dipendente stesso. Che dire? Leggi tutto “Grande Distribuzione. Ridurre furti, frodi, scarti e inefficienze varie”

Contratto commercio e DMO. Come trovarsi con il salario minimo pur dichiarando di non volerlo….

È chiaro che aziende e lavoratori, del commercio, del terziario e della DMO vorrebbero arrivare ad una conclusione positiva del rinnovo del loro contratto di lavoro. La situazione delle retribuzioni nel comparto è assolutamente prioritaria. L’ultima firma vera è del 2015 per un CCNL che avrebbe dovuto scadere nel 2019 e che invece è tuttora aperto. Tre milioni di persone che si sommano a tutte le altre categorie che nel Paese sono sprovviste di rinnovo.  I segnali sono evidenti.

L’ultima, in ordine di tempo, è la proposta che sta prendendo piede di concedere, da parte delle aziende, un anticipo unilaterale sui futuri aumenti contrattuali (AFAC). Servirebbe a neutralizzare lo sciopero e, posta a vicino al Natale, dove tutti dovrebbero diventare più buoni, assumerebbe pure un significato particolare. Decisione possibile che però costituirebbe  la delegittimazione finale  di un tavolo negoziale che non è mai decollato per manifesta insufficienza di chi ne ha la responsabilità politica e non riesce ad esercitarla.

Con questa mossa il più grande contratto nazionale del Paese imboccherebbe con decisione  la strada che porta, di fatto,  ad una forma “innovativa” di salario minimo seppure unilaterale. Infatti come potrebbe essere definito un contratto nazionale che non viene rinnovato da 4 anni e che viene sostituito da erogazioni salariali extra negoziato? Si arriverebbe così all’ammissione di ciò che molti vanno sostenendo da tempo. I contratti nazionali così come sono stati costruiti nel novecento con il loro carico di norme, diritti, doveri, profili professionali, minimi contrattuali e con tutto ciò che da essi deriva, a cominciare dall’importante welfare previdenziale e sanitario, non vengono messi in discussione dall’adozione dal basso di altre normative auto prodotte localmente più snelle come i cosiddetti “contratti pirata” ma vengono messi in soffitta degli stessi stipulanti per manifesta incapacità di rinnovarne i contenuti.

Il passaggio, di fatto al salario minimo, non è necessario che avvenga per forza attraverso una legge o come risultato di un confronto tra le parti sociali ma può avvenire per semplice esaurimento di un ciclo storico o per incapacità di rilanciare lo strumento, nei suoi contenuti, condannandolo all’obsolescenza. In fondo molte aziende, soprattutto medio piccole, che sono la maggioranza,  vorrebbero proprio questo. Stabilire alcune regole del gioco universali sui diritti e sui doveri, riferimenti laschi al l’inquadramento professionale, un minimo economico di riferimento della categoria che lasci spazio a forme di corresponsabilizzazione sul reale andamento aziendale, che premi il merito individuale e che metta definitivamente in soffitta i costi del welfare contrattuale. Lasciando spazio e maggiore libertà di azione nelle singole realtà e il decollo, anche sul lavoro, di una competitività tra insegne che, in tempi di difficile reperimento delle risorse umane necessarie, potrebbe dimostrarsi decisivo.

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Contratto terziario, Commercio e Distribuzione moderna. Un passo avanti, due indietro

La situazione legata al rinnovo del Ccnl Tds, Dmo e Coop rischia di ingarbugliarsi sempre di più. Ed è evidente che la responsabilità politica è tutta in capo ai negoziatori. Oggi poi, la dichiarazione di sciopero generale di CGIL e UIL, è destinata a peggiorare il quadro di riferimento nel quale la lunga trattativa finalizzata al rinnovo dei Ccnl si inserisce. Dall’altro lato  pesa la divaricazione evidente sulle ipotesi di chiusura tra le diverse controparti datoriali (Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Ancc-Coop, Confcooperative-Consumo e Utenza e Agci-Agrital). Ma procediamo con ordine.

Sul versante sindacale, sarebbe quanto meno singolare che Landini e Bombardieri, mentre dichiarano che le ragioni dello sciopero al centro della mobilitazione generale  promossa da Cgil e Uil sono finalizzate ad “alzare i salari, estendere i diritti e per contrastare una legge di bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori” lascino che i loro due sindacati di categoria si dichiarino disponibili a concessioni in pejus sull’aumento salariale previsto dall’IPCA (previsto il 6,6% per il 2023). Così come sul fronte datoriale dove, Federdistribuzione e Distribuzione Cooperativa, puntavano, per chiudere, ad un semplice sconto sull’IPCA mentre Confcommercio forse per “vendicarsi” di vecchie diatribe associative, ha rilanciato  alla ricerca di uno scambio oggi  impossibile.

Lo sciopero generale proclamato, essendo uno sciopero politico, radicalizzerà ancora di più le posizioni. Non credo proprio che Filcams Cgil e Uiltucs UIL, due tra le categorie con il maggior numero di iscritti alle rispettive confederazioni,  saranno disponibili a particolari concessioni sull’aumento salariale. Ed è  sufficiente leggere i loro comunicati per capirlo. E questo rischia di spingere,  l’intero contesto, in una situazione di tensione sociale che sarebbe assolutamente da evitare  sia per dove è collocato lo sciopero, sia per l’evidente tensione sui temi del lavoro povero che attraversa l’intera categoria.  Lo sciopero è infatti previsto per il 22 dicembre.

 Secondo il sindacato, Federdistribuzione e le associazioni delle cooperative  hanno “dichiarato apertamente di non poter accordare aumenti retributivi in linea con l’indice IPCA al netto dei beni energetici importati (cioè secondo le previsioni degli accordi interconfederali sugli assetti contrattuali vincolanti per la maggior parte delle nostre controparti). Federdistribuzione, come già nel 2019,  puntava ad uno sconto sulle richieste salariali per chiudere la partita.

Donatella Prampolini vicepresidente Confcommercio con delega al lavoro e alla bilateralità ha rilanciato come fossimo all’inizio del percorso negoziale: “Per mantenere il livello di innovazione e di flessibilità che ha sempre caratterizzato il nostro contratto, abbiamo richiesto la revisione di alcune parti normative ormai desuete – dalla classificazione alle modalità di gestione dell’orario di lavoro in un’ ottica di produttività – nonché aggiornamenti in tema di stagionalità”.

Tradotto in soldoni visto che siamo tra commercianti. Federdistribuzione vuole uno sconto sulla richiesta (effettivamente costosa) dell’IPCA integrale chiesta dal sindacato mentre Confcommercio anziché lo sconto propone un “cambio merce” con altri istituti contrattuali.

Ovviamente i margini per trovare un accordo salariale di questi tempi, pur risicati, ci sarebbero. Nel  resto d’Europa i rinnovi sono rimasti sotto l’IPCA italiana come ci ha recentemente spiegato Andrea Garnero su La Voce: “ Un indicatore sperimentale previsionale della crescita dei salari negoziati per Austria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Spagna, elaborato dalla Banca centrale europea in collaborazione con le banche centrali nazionali dell’area dell’euro, mostra che i contratti collettivi stipulati nel corso del 2022 hanno generalmente previsto un aumento del 4,7 per cento per il 2023, rispetto al 4,4 per cento del 2022. Al di fuori dell’area dell’euro, in Danimarca, a febbraio è stato raggiunto un accordo nell’industria che prevede un aumento del 3,5 per cento nel 2023 e del 3,4 per cento nel 2024. In Norvegia, dopo quattro giorni di sciopero, è stato raggiunto un accordo per un aumento del 5,2 per cento per i settori che fissano il riferimento generale (industria esportatrice e manifatturiera). In Svezia, i sindacati dell’industria e i datori di lavoro hanno concordato nuovi contratti collettivi per due anni, che prevedono aumenti salariali del 4,1 per cento nel primo anno e del 3,3 per cento nel secondo”. Percentuali, come si può vedere,  abbastanza lontane dal 6,6 per cento previsto da noi.

Il termine “innovazione” in questo contesto, assume significati opposti a seconda di chi lo agita. Per i sindacati oltre alla proposta di aumento salariale in linea con l’IPCA avrebbe dovuto significare un rinnovamento del sistema di inquadramento professionale e un rafforzamento del diritto di ogni dipendente alla formazione continua; l’implementazione di tutele per le donne vittime di violenza e per la genitorialità e l’ampliamento della platea dei soggetti beneficiari dell’assistenza sanitaria integrativa e della previdenza complementare di settore. L’introduzione di norme ad hoc sul fenomeno delle affiliazioni commerciali, del franchising e delle attività esternalizzate, la riduzione della flessibilità e al contenimento dei contratti a termine e l’aumento delle ore dei  contratti part-time e ai minimi contrattuali. Alcune di queste richieste sono assolutamente ragionevoli e già presenti in altri contratti e pure in molte realtà della GDO. Altre aggiungono costi o vincoli organizzativi difficili da prendere in considerazione dalle imprese, di questi tempi. Credo lo sappiano bene anche i sindacalisti più ragionevoli.

Restano in campo due intransigenze. Una di parte sindacale, che ho cercato di spiegare, sull’intangibilità dell’IPCA, in questo particolare contesto economico, una altrettanto irragionevole da parte di Confcommercio. Per questo nel mio ultimo intervento al riguardo (https://bit.ly/473xjIu) ho espresso le mie perplessità sul silenzio del Presidente Sangalli. L’ho trovato debole anche nella sua successiva difesa d’ufficio  sulle ragioni dello stallo del negoziato.

Sinceramente pretendere oggi di definire  “innovative” richieste di superamento o modifica  di istituti contrattuali quali la 14° mensilità‌, i permessi retribuiti e gli scatti di anzianità,‌ se poteva avere un senso negoziale qualche mese fa, oggi,  con due sindacati su tre  sul piede di guerra,  suona come una banale provocazione per poter rinviare ancora una possibile conclusione. Il paradosso è che l’associazionismo imprenditoriale sul fronte GDO non può “innovare” il testo contrattuale perché non riesce a tradurre a livello nazionale ciò che di meglio viene già fatto in molte insegne. Unico elemento che consentirebbe uno “scambio” su altri temi “digeribile” dal sindacato. Mentre Confcommercio ormai fatica a presidiare una rappresentatività su settori alla ricerca di una loro identità a cui fornisce, di fatto, “solo” un salario minimo ante litteram e un welfare contrattuale. Sul resto non ha più alcuna leadership né capacità di innovazione riconosciuta sui temi del lavoro. Il risultato  è quindi l’immobilismo più totale sul piano dei contenuti.

Ribadisco che una chiusura prima di Natale sarebbe auspicabile, proprio per evitare che la vicenda di un contratto scaduto da 4 anni e che riguarda circa 3 milioni gli addetti coinvolti nella vertenza, degeneri con ben altre conseguenze. Quindi la domanda da porsi è: “ a chi conviene questa totale deresponsabilizzazione e paralisi del tavolo negoziale”?

COOP. Il futuro non si aspetta, si fa…

   Oggi le insegne della Grande Distribuzione si possono valutare sui fatturati, sui margini,  sulla capacità di anticipare le esigenze dei clienti o sull’innovazione. Questo resta una priorità per il management e per gli esperti del comparto. Altri criteri contribuiscono a determinarne però l’identikit per chi le frequenta e le sceglie. Innanzitutto la convenienza nelle diverse declinazioni possibili, l’impegno sull’ambiente e a favore del contesto territoriale dove operano, la capacità di attrarre e valorizzare il lavoro. Nel caso di Coop, il cliente esterno da valorizzare nel ruolo di socio e il cliente interno da avere a bordo convinto e consapevole della “maglia” che indossa.

Su questa “doppia natura” Coop continua la sua corsa in solitaria. Su alcuni di queste priorità è arrivata prima degli altri. Sul rispetto del lavoro e il rispetto delle regole di ingaggio definite dai contratti nazionali e aziendali è certamente ancora la prima della classe. Soprattutto per i livelli medio bassi. Altre insegne GDO però stanno arrivando ad insidiarne il primato sulla gestione del personale. Era ora. Assistere alle gare di vertice è più invitante che osservare chi lotta per non retrocedere. Oggi propongo due esperienze, tra quelle che compongono l’universo Coop. Unicoop Firenze e Coop Alleanza 3.0.

Sull’ambiente, l’impegno di Unicoop Firenze, una delle sette grandi cooperative di consumatori del sistema Coop, viene da lontano (https://bit.ly/3udtrqg). Almeno dagli anni ‘80 quando l’interesse  collettivo sul tema era ancora tutto da costruire. Basti ricordare la sensibilizzazione sull’uso delle buste di plastica, sul buco nell’ozono e sull’abuso di pesticidi. Oggi il riferimento è l’Agenda 2030 sottoscritta nel 2015 da parte di 193 Paesi tra cui l’Italia che si basa su cinque concetti chiave, rappresentati dalle famose cinque “P”: 1) Persone 2) Prosperità 3) Pace 4) Partnership 5) Pianeta e  da cui la cooperativa ha tratto le linee e gli obiettivi della propria azione.

Sull’energia dal 2013, anno di installazione del primo impianto fotovoltaico nel Coop.fi di Ponte a Greve ad oggi, la cooperativa ha realizzato 50 impianti fotovoltaici in grado di produrre 13 milioni di kWh annui da fonti rinnovabili, pari al 10% del fabbisogno energetico della cooperativa. Negli ultimi anni la cooperativa ha installato 130 colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici nei parcheggi di 43 strutture commerciali. Tra i principali progetti a favore delle comunità e coinvolgendo scuole e associazioni sul territorio, quello dei boschi didattici grazie al quale, nel triennio 2021 – 2023, sono stati realizzati 48 boschi didattici in 26 Comuni delle sette province in cui opera la cooperativa. Il progetto ha coinvolto oltre 280 classi delle scuole primarie coinvolte per un totale di circa 6mila bambini coinvolti. Tra le attività di promozione della sensibilità ambientale, il progetto Liberi dai rifiuti organizzato, a partire dal 2019, in collaborazione con Legambiente e con le amministrazioni locali. 

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