Esselunga. La mossa a sorpresa dell’azienda milanese…

Non so se Marina Caprotti o qualcuno tra i suoi collaboratori più fidati ha studiato dai Gesuiti. “Entrare dalla porta dell’altro per uscire dalla propria” ha caratterizzato da sempre la loro strategia di penetrazione. Esselunga, alle prese con una concorrenza “tignosa” nei suoi territori di elezione e sul suo terreno tradizionale si appresta ad una mossa decisiva per il suo futuro: provare ad uscire dai suoi confini territoriali e di business.

Il 14 novembre partirà lo scaffale digitale di enoteca.esselunga.it L’obiettivo è di arrivare in  tutte le regioni italiane, non solo quelle del Centro-Nord, dove tradizionalmente è presente Esselunga, ma anche quelle del Sud e le isole. Lascio agli esperti le analisi sul mercato dei vini, dell’online e sulle possibilità o meno di successo di questa operazione.  Esselunga oggi non parte da zero. 350 milioni del suo fatturato vengono dai vini. Ben 100 milioni di etichette vendute da Esselunga nel 2022.

Sulla sua strada oltre al big Tannico, che fa capo a Campari e Moët Hennessy del gruppo Lvmh, ci sono insegne come Callmewine, Bernabei, vino.com, Cortilia, signor vino, etiliKa, Wine shop e molti altri piccoli distributori. C’è però un dato negativo sottolineato dall’esperto Emanuele Scarci su Distribuzione Moderna: “La nuova proposta omnicanale di Esselunga arriva in un momento negativo per l’e-commerce del vino che, dopo la grande illusione del periodo pandemico, sconta, da un biennio, una caduta a due cifre del business. Per esempio, big player puri come Tannico (controllata da Lvmh e Campari), Italian wine brands e Callmewine (gruppo Pesenti) non riescono a mantenere i fatturati e, in un paio di casi, con perdite operative consistenti. Anzi finora il business si è dimostrato strutturalmente in perdita” (https://bit.ly/49wu7XI).

Per Esselunga, però, questo  “è un passo strategico per il gruppo presieduto da Marina Caprotti perché da martedì Esselunga si presenterà sul mercato del vino di pregio come pure play company” come ha sottolineato Daniela Polizzi. Sarà un modo per il gruppo di arrivare in Italia e di ampliare l’ecosistema di Esselunga» ha dichiarato Roberto Selva in Esselunga dal 2010 è oggi Chief Marketing & Customer Officer del Gruppo al Corriere  (https://bit.ly/3skK4ji). Personalmente sono convinto che il 2024 sarà un anno decisivo per l’azienda di Pioltello. Se dovessi sintetizzarlo in uno slogan direi: “lascia o raddoppia”. L’azienda è ad un bivio. Circondata da una concorrenza agguerrita, impossibilitata a migliorarsi sul suo terreno essendo già la prima della classe come redditività ed immagine presso i suoi clienti, ha poche mosse a disposizione se non vuole declinare. Gli  Esse, i suoi piccoli negozi, sono una risposta tattica. Non certo una strategia che migliora i conti dell’azienda. Il dilemma che deve affrontare la proprietà è chiaro. O cede l’azienda per evitare il declino o tenta un rilancio oltre i suoi confini.  Leggi tutto “Esselunga. La mossa a sorpresa dell’azienda milanese…”

La Grande Distribuzione deve migliorare nel punto vendita…

La recente vicenda Unes, indipendentemente da come evolverà, con la messa in discussione del ruolo e dello status del responsabile di negozio e l’inaugurazione del negozio Tuday  Conad senza casse di Verona rimettono al centro l’importanza o meno di chi vive e lavora nel punto vendita nella GDO. Premetto l’enorme differenza tra i due  casi. Il primo è un autogol di chi gestisce pro tempore l’azienda milanese. Il secondo, l’abolizione della casse, consente di aprire, di fatto,  una nuova era sull’evoluzione del lavoro richiesto in un punto vendita e la qualità del servizio al cliente. Per ora in fase poco più che sperimentale in diverse parti del mondo.

Chi non lo capisce provi a ritornare a cosa c’era prima del supermercato, del telepass o del bancomat. Ai mobili che l’Ikea fa montare direttamente  al cliente. Lavori che scompaiono o che modificano la professionalità richiesta. Arriveranno nuove pratiche e nuove tecnologie. Non è solo un problema di casse automatizzate. L’intelligenza artificiale si incaricherà di rilevare rotture a scaffale, automatizzare le prese d’ordine, individuare le date di scadenza dei prodotti, facilitare l’inventario, controllare la freschezza di frutta e verdura, rilevare gli errori di prezzo, cambiare la logistica, ecc. L’arrivo di questi nuovi metodi di lavoro è irreversibile e spingerà a cambiare in profondità i mestieri della GDO così come li abbiamo conosciuti e costruiti nel novecento anche all’interno del punto vendita. E questo a prescindere dall’on line o dalle formule miste di cui si parla soprattutto nei convegni. 

Nei negozi di Amazon Go l’occupazione non diminuisce. Cambia il back office e cambiano i mestieri nel punto vendita. Spariscono le cassiere ma  aumenta il servizio. Quindi deve crescere la professionalità degli addetti per convincere il cliente stesso  a   restare il più a lungo possibile nel punto vendita, visto che non perderà più tempo alle casse. Questa  sarà la prossima sfida. Se ci fosse un minimo di sincerità bisognerebbe ammettere che, la stragrande maggioranza delle insegne ha lavorato negli anni  (chi più, chi meno) per rendere assolutamente invisibili i propri collaboratori agli occhi dei clienti. L’esatto contrario di quello che occorrerebbe fare. Posizione del negozio e offerta commerciale sono sempre stati ritenuti gli unici elementi imprescindibili per il successo. Il resto veniva comunque dopo. Fino a poco tempo fa la cassiera era addirittura valutata per la sua velocità alle casse. Così da smaltire il più rapidamente possibile la coda dei clienti. “Viva le cassiere” è stato lo slogan più citato durante la pandemia. Ovviamente senza alcuna conseguenza positiva per il ruolo. Infatti il contratto di lavoro è fermo dal 2019.

Il responsabile del negozio, al contrario, è sempre stato valutato dalla sua capacità di gestione dei problemi e dell’organizzazione. È bravo, mi si consenta un paradosso,  quando il cliente nono lo conosce. Vuol dire che tutto sta filando liscio. Carriera e promozioni nel PDV fino a poco tempo (e forse, anche ora, in molte realtà della GDO) sono state caratterizzate dal cosiddetto “presentismo”. Lo slogan veicolato ai più giovani è sempre stato: “non devi contare le ore che fai”.  Per crescere occorre mostrare disponibilità, voglia di imparare, impegno. Se assunto a part time, a tempo determinato o aspiri a crescere professionalmente, devi “dare” all’azienda per poi sperare di ottenere qualcosa in cambio. Leggi tutto “La Grande Distribuzione deve migliorare nel punto vendita…”

Grande Distribuzione. Con il carrello tricolore si chiude una fase. Adesso occorre guardare avanti.

La mancata convergenza su possibili candidati imprenditori alla guida di Federdistribuzione dopo il flop della selezione esterna ha prodotto, a marzo di quest’anno, un ottimo Presidente di transizione: Carlo Alberto Buttarelli. A memoria solo Cobolli Gigli aveva superato il soffitto di vetro dell’impalpabilità grazie al suo passato. La Federazione era guidata, di fatto, dal suo storico direttore Generale Massimo Viviani. I presidenti, durante i loro mandati, non se li è mai filati nessuno al di fuori dei convegni o dalle interviste sulle riviste di settore.

In effetti, la  GDO non ha mai avuto bisogno, in passato, di avere una leadership vera né una rappresentanza forte. Le insegne leader non le hanno mai volute. Tolto qualche lite in famiglia con Confcommercio sulle liberalizzazioni, per anni, alla GDO, è convenuto stare sottovento nella pancia della Balena di piazza Belli. Quando il sindacato era una controparte ruvida, poter contare su un contratto di lavoro tra i meno onerosi in circolazione era un plus indiscutibile. Semmai da rimodulare, ciascuno a casa propria, con la contrattazione aziendale.

Confcommercio, in cambio dell’adesione dell’intera GDO, assorbiva a livello nazionale i contraccolpi delle liti locali tra le sue associazioni territoriali e le singole insegne che, nel frattempo continuavano a crescere. Tolta Coop, nell’epoca dei governi più o meno di centro sinistra,  praticamente nessuna insegna faceva politica a livello nazionale mentre a livello locale, gli imprenditori più svelti e lungimiranti, in cambio delle posizioni migliori, ingolosivano i politici e gli amministratori locali con gli oneri  di urbanizzazione, con le assunzioni e magari con qualcosa d’altro. Quella fase si è chiusa quando le posizioni migliori ricercate per i formati tradizionali, si sono di fatto ridotte, altri formati sono stati premiati dai clienti   e le diverse insegne hanno intuito le difficoltà del sindacato ormai indebolito dal deciso apporto delle nuove formule di  flessibilità in entrata del lavoro e la conseguente ripresa del governo dell’organizzazione del lavoro da parte delle direzioni del personale o direttamente dall’imprenditore stesso. Le rigidità del lavoro imposte dai Contratti nazionali e aziendali potevano così essere affrontate e, nel tempo, superate.

Federdistribuzione  in tema di lavoro non ha mai avuto una sua identità negoziale riconosciuta perché resta una semplice sommatoria di aziende con un portavoce. Nonostante sia ormai passato molto tempo dall’ultimo rinnovo del CCNL la federazione e la sua  “commissione lavoro” non sono ancora riuscite a impostare una traiettoria originale di riferimento per le imprese e metterla a terra. Il contratto resta una sostanziale ricopiatura di quello di Confcommercio.  La federazione non riesce ad individuare su cosa potrebbe essere possibile costruire uno scambio credibile che guardi al futuro del comparto e condividerlo con il sindacato di categoria. I contratti nazionali, però, si fanno così. E soprattutto si fanno in due. Altrimenti resta solo il negoziato sul salario. Ma il contratto nazionale ha un’altra funzione. L’assunzione oggi di un ruolo di interlocutore politico e sociale vero,  rende però indispensabile costruire una leadership anche sul versante sindacale. Le aziende principali devono esporsi. L’autorevolezza delle federazioni di Confindustria passa anche dalla loro capacità di innovare i contratti e di convincere l’interlocutore sociale a condividerne le traiettorie.

Leggi tutto “Grande Distribuzione. Con il carrello tricolore si chiude una fase. Adesso occorre guardare avanti.”

Patrizio Podini e la “sua” MD alla conquista dello spazio (a Milano)…

Ogni volta che visito un nuovo punto vendita che apre a Milano o nell’hinterland penso sempre  al gioco della moneta da un centesimo che viene fatta cadere  in un bicchiere colmo d’acqua. Ci starà anche questo, mi domando? Come con le monete che scendono nel fondo del bicchiere, lo spazio sembra esserci  sempre. Magari a scapito di altri. La città metropolitana di Milano ha perso dal 2019 circa 32.000 abitanti. Milano città però è ritornata ai livelli pre-covid sopra il milione e quattrocentomila residenti inclusi i milanesi non italiani (comunitari ed extracomunitari con regolare permesso di soggiorno). Almeno 200.000  milanesi però vivono sotto la soglia di povertà. Persone che l’inflazione ha reso ancora più povere e Milano, non serve sottolinearlo, resta una città cara da viverci.

Polarizzata sul piano della disponibilità economica. Differenziata sia tra quartieri che all’interno dei quartieri stessi. I punti vendita vecchi e nuovi funzionano come vasi comunicanti. Quando ne apre uno nuovo si sa che toglierà clienti agli altri. La diffusione sul territorio favorisce una sorta di nomadismo negli acquisti, lo scontrino tende a ridursi e quindi l’attrattività, ovvero l’offerta costruita su misura del cliente, diventa decisiva. Per questo lo stesso franchising, che rappresenta  l’esaltazione  del micro, anche se un po’ sgarrupato, funziona bene in questo contesto territoriale. Più lo scontrino si abbassa più i  negozi si assomigliano un po’ tutti. Ovviamente la gestione dei costi è fondamentale perché il cliente va dove gli conviene.

Esselunga, la leader cittadina è circondata da una pluralità di proposte che la costringono a risposte tattiche che rischiano di snaturarne il profilo. È come se i concorrenti ne percepissero le difficoltà. Gli Esse sono sicuramente più completi  di altri paesi formato ma rischiano di andare in sofferenza. L’azienda di Pioltello ha uno standing che non può venire meno e che deve mettere in campo anche nei punti vendita più piccoli. E questo costa. Sulla fascia alta, Iperal e Tigros, stanno penetrando in città e “martellano” dall’hinterland  le posizioni più esposte. Carrefour e PAM, pur anch’esse con qualche affanno  (attutito  però  dai franchisee), incidono comunque sulla piazza,  mentre i discount, veri o presunti tali, lavorano ai fianchi il leader cittadino che così soffre. Difficile non andare con la memoria alla rinuncia di Conad sulla città dopo l’acquisizione dei PDV di Auchan. Un’occasione perduta dalla prima della classe forse proprio per paura di doversi misurare con Esselunga. Un segnale evidente delle difficoltà interne al consorzio, nel saper gestire il primato, che sarebbero emerse  di lì a poco..

MD è un’insegna tosta. Sa come e dove colpire. Aveva pianificato sulle tv digitali (Rai Play, Mediaset Play, canali di Ciaopeople e su YouTube) 5 brevi racconti per affrontare con ironia gli stereotipi e i preconcetti che circondano i prodotti del discount. Il nome era tutto un programma: “È tale  e quale!”. Centromarca ha immediatamente invitato e diffidato MD a provvedere alla sospensione della campagna. La campagna è stata sospesa. Un peccato. In questo mondo un po’ curiale dove tutte le insegne (non solo i discount) pensano sul serio che la loro MDD “è tale e quale” al prodotto di marca, quegli spot rompevano gli schemi. Colpivano nel segno come quello  della “spesa intelligente” di Eurospin. Il leader tra i discounter. L’esatto opposto della campagna nazional popolare con la rassicurante Antonella Clerici che, insieme al cavaliere, gigioneggiano, augurando  Buona Spesa all’Italia intera. Leggi tutto “Patrizio Podini e la “sua” MD alla conquista dello spazio (a Milano)…”

Il Carrello tricolore ha tolto la GDO dal banco degli accusati. Adesso occorre andare oltre..

Continuo a pensare che siano due facce della stessa medaglia. Da una parte le dichiarazioni del Ministro Urso. La politica che cerca di sfruttare il fatto di essere nel posto giusto al momento giusto. Dall’altra gli opinionisti che spaccano il capello in quattro per ribadire una cosa ovvia: l’inflazione segue traiettorie molto complesse  impossibili da mettere sotto controllo soprattutto in un contesto geopolitico come quello che stiamo vivendo. Non sarà certo per un accordo di buon senso come quello  del “carrello tricolore” che ha coinvolto la quasi totalità della Grande Distribuzione e solo una parte dell’industria alimentare di marca.

Anziché cercare di capire, se e quanto, il “carrello tricolore” ha favorito, e in che modo, la ripresa di fiducia dei consumatori  nei confronti della GDO pur nei diversi formati si insiste  in esercizi inutili.  Italia Fruit news ha pubblicato (https://bit.ly/49oNCle) un’analisi proposta da Quick Service (il servizio “espresso” del Monitor Ortofrutta di Agroter) sull’analisi settimanale delle vendite di ortofrutta. Dopo tre settimane dall’applicazione del provvedimento, il non coinvolgimento dell’ortofrutta nell’iniziativa l’ha penalizzata. E sono solo tre settimane. Io aspetterei dicembre per tirare conclusioni.

Ci sono addirittura giornalisti che si sono  presentati nei punti vendita a poche ore dell’avvio del “carrello” per sostenere  che l’iniziativa  era fallita prima ancora di cominciare. O poco sentita dalla stessa GDO solo per aver rilanciato le dichiarazioni di  qualche manager che parlava a titolo personale. Cattiva comunicazione da entrambe le parti. Ovviamente la polemica  è solo contro la strumentalizzazione  interessata  del ministro.  Ma cosa ha detto, in concreto?  Che il calo dell’inflazione in Italia è merito del Governo. Cosa ovviamente non vera.  Quando ho letto le dichiarazioni del ministro, ho dato al tweet il peso che meritava e sono passato oltre.  Ma tant’è.

Anche perché ci sono top  manager che non si ricordano le enormità che vengono “sparate” nelle convention aziendali per motivare la truppa. Lo stesso fa la politica. Per i detrattori, nell’industria  alimentare e in parte della GDO,  il Patto, come il matrimonio tra Renzo e Lucia, non era da fare. Anche dopo la firma, non sentono ragioni. Inutile spiegare loro che con questo accordo la GDO ha evitato di finire sul banco degli imputati. Inutile ricordare che le promozioni e gli impegni messi in campo  fino all’accordo, e che avevano inciso pesantemente sui margini, non erano state nemmeno colte dai consumatori. Inutile spiegare che il patto, come ho già scritto, ha messo tutte le insegne e i formati distributivi sullo stesso piano agli occhi dei clienti. Ancora più inutile spiegare loro che essere interlocutori della politica  con un Governo che,  durerà e legifererà su materie cruciali anche per la GDO fino alla fine della legislatura, se non ancora più a lungo, è fondamentale. E non lo si sarebbe mai diventati alzandosi da quel tavolo..

Leggi tutto “Il Carrello tricolore ha tolto la GDO dal banco degli accusati. Adesso occorre andare oltre..”

Despar. Una realtà GLOCAL della Grande Distribuzione..

Non è da molto che frequento i press day delle insegne della Grande Distribuzione. C’è la concreta possibilità  di trovarsi ad ascoltare l’oste che non può che parlare bene del suo vino.  Soprattutto è difficile comprendere il legame tra quelle presentazioni  e la realtà quotidiana senza frequentare i loro negozi. Il rischio così è che le insegne, a chi ascolta, sembrino un po’ tutte uguali. Poche, nel comparto,  giocano per vincere il campionato. La maggior parte di loro gioca per non retrocedere. Fino a poco tempo fa la crescita era sostanzialmente assicurata dalle nuove aperture e dalle acquisizioni. Dentro il PDV, dalla ricchezza, dalla qualità dell’offerta e dalla convenienza. Oggi la partita sta cambiando. La proliferazione di insegne e formati spesso confinanti spinge il cliente a frequentarne più d’uno. C’è chi dice, almeno sei. Le borse variopinte alle casse spesso segnalano questa “infedeltà”.

I “press day” hanno però un pregio. Consentono di capire il grado di consapevolezza dell’insegna rispetto a questi cambiamenti in corso. Con questo spirito mi sono recato alla presentazione di Despar. Conoscevo poco questa azienda. Il punto vendita di Malé in Val di Sole che frequento per diversi mesi all’anno, il loro direttore risorse umane Angelo Pigatto e Fabrizio Colombo, oggi Despar Sardegna, con cui, in passato,  siamo  stati colleghi in Standa.  Due ottimi professionisti che avevo perso di vista. Non avevo altri riscontri diretti. L’evento era a casa LAGO, un grande appartamento nel centro di Milano in grado di trasformarsi in una location per incontri di business rinominata  per l’occasione in “Casa Despar”. Lì, ho incontrato i due artefici principali della Despar di oggi. Il Presidente, Gianni Cavalieri, un imprenditore siciliano esperto, grande navigatore e profondo conoscitore del comparto e Filippo Fabbri il Direttore Generale che vanta una  carriera  significativa a cavallo tra industria alimentare e GDO.

Despar è un  consorzio di imprese che  riunisce sotto  l’insegna  6 aziende della distribuzione e quasi un migliaio di affiliati con  un fatturato di 4,14 miliardi di euro e circa 1400 punti vendita collocandosi tra le prime dieci insegne italiane. Assente in alcune regioni centrali (Toscana, Marche e Umbria). Cresce al sud (Puglia, Calabria e Sardegna) e in alcune regioni del nord (Piemonte, Liguria e Emilia Romagna). È una multinazionale tipicamente “Glocal”, in grado di pensare globalmente e agire localmente. Spar International, il gruppo mondiale della distribuzione associata è presente in 48 Paesi con un fatturato complessivo di 43,5 miliardi di euro in crescita (https://www.desparitalia.it/spar-international/).

È presente sul territorio nazionale in 17 regioni italiane con le insegne Despar, Eurospar e Interspar. Nel Consiglio di amministrazione di Despar Italia sono entrati due nuovi amministratori, Marco Fuso (Despar Nord Ovest) e Francesco Montalvo (Despar Nord Est), insieme a Pippo Cannillo (Despar Centro Sud), Fabrizio Colombo (Despar Sardegna) e Toni Fiorino (Despar Messina). Paul Klotz di Aspiag Service, che ha ricoperto la carica di presidente dal 2016, assume il ruolo di vicepresidente. Interessante la strategia GLOCAL: attenzione alla sana alimentazione, sostenibilità e promozione di prodotti locali e filiere agroalimentari italiane. Attualmente, oltre il 90% dei fornitori delle linee Despar sono italiani e producono in Italia. Leggi tutto “Despar. Una realtà GLOCAL della Grande Distribuzione..”

Logistica GDO e non solo. Che sta succedendo?

I piazzali della logistica sono in ebollizione. Pochi lo stanno sottolineando. Il sindacalismo di  base nelle sue varie colorazioni ha lanciato la sua parola d’ordine unificante e “pericolosamente” condivisa: “internalizzare ciò che è stato esternalizzato”. Una sorta di “reshoring” aziendale forzato. Come per i rider. Tutti dipendenti diretti. Ma qui si parla di un comparto molto più complesso del home delivery. Tra una parte della magistratura milanese che giustifica il blocco delle merci e i picchetti come fossimo negli anni 70 e l’affanno dei sindacati confederali dal comparto privi di una strategia condivisa, la tensione continua a salire.

Il tema centrale,  nei  prossimi mesi  è se CGIL-CISL-UIL  unitariamente o a livello di singole organizzazioni si metteranno ad inseguire i Cobas sul loro terreno o si porranno in una logica di gestione delle conseguenze dell’evoluzione del sistema logistico nazionale. Le spaccature tra CGIL e UIL da una parte e CISL dall’altra sul giudizio di ciò che sta facendo il Governo, così come in alcune vicende aziendali, segnalano uno scenario sindacale in movimento. Capirne la direzione è importante.

Intanto nella logistica si sta giocando una partita decisiva. Le aziende, sia industriali che commerciali stanno cercando di ridisegnare i propri  confini   organizzativi per renderli più vicini alle esigenze dei clienti ma stanno anche correndo ai ripari a seguito delle continue difficoltà incontrate nella gestione  dei loro magazzini pur terziarizzati proprio per l’azione antagonista dei sindacati di base. E questo provoca conseguenze inevitabili. Con l’affermazione del concetto di supply chain  si è passati  nel tempo da una funzione di supporto organizzativo ad una funzione strategica per lo sviluppo delle singole aziende. L’outsourcing logistico è inevitabile perché consente una concentrazione sul core business e costituisce una soluzione decisiva per tutte le aziende che ricercano nuovi metodi e una soluzione per alzare il livello di efficienza aziendale e di produttività, indispensabile per competere oggi. La logistica moderna non comprende semplicemente, come in passato,  il trasporto merci o la gestione dei  magazzini. Si vanno a coinvolgere settori ben più ampi di questi: dalla rete di approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione della merce, passando dal processo di ordine ed eventualmente di gestione del reso.

Ognuno di questi aspetti, inevitabilmente, va a influire su tutti gli altri. Dalla sua attenta pianificazione, in un regime di forte concorrenza come quello attuale, può dipendere il successo o l’insuccesso imprenditoriale di un’azienda. È chiaro che i costi logistici, gli appalti e i relativi sub appalti, la gestione stessa dei magazzini e del personale da parte dei terzisti sono un fattore chiave in termini di efficienza e di produttività del sistema. E questo porta con sé una serie di contraddizioni sugli addetti, gestiti spesso spregiudicatamente, che devono essere affrontato e risolti rapidamente. Senza questo scatto in avanti del comparto situazioni legittime di cambiamenti di strategia vengono strumentalizzate e bloccate con pesanti conseguenze economiche sulle imprese logistiche serie ma anche sulle imprese committenti.  Leggi tutto “Logistica GDO e non solo. Che sta succedendo?”

Rinnovo CCNL Terziario e Distribuzione. Due debolezze che si elidono a vicenda

Alle riflessioni già fatte sullo stallo nel rinnovo del CCNL del terziario e della DMO (https://bit.ly/3tKwkhU) aggiungo altri elementi di approfondimento perché l’impasse attuale è anche figlia della stessa composizione delle delegazioni al tavolo negoziale. C’è un’evidente crisi di autorevolezza di entrambe le leadership nei confronti delle rispettive  controparti. Nessuno riesce a convincere  l’altro delle  proprie  buone ragioni poste da tempo al confronto.

Sul fronte datoriale lo stallo è evidente (il silenzio ad esempio del Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli dopo quattro anni di tira e molla  è assordante). Confcommercio è ferma al palo come mai avvenuto in passato. Affidare la possibile mediazione finale alla Vice Presidente Donatella Prampolini, che ha la stessa flessibilità di una barra di tungsteno, chiarisce più di mille parole lo stato dell’arte.  La stessa Federdistribuzione non sembra essere in grado di  consolidare  una logica di governo del comparto garantita  solo dal CCNL. Cerca una specificità che li possa distinguere dalla fotocopia sostanziale del loro testo con quello di Confcommercio concordato  a suo tempo, ben sapendo che le aziende associate si muovono autonomamente  interpretandone i contenuti ciascuna a casa propria. È c’è pure chi applica tutt’altro. Troppo marcate le differenze e le esigenze tra singole insegne e formati distributivi.

Sul fronte  sindacale, i cambiamenti avvenuti ai vertici dei sindacati di categoria dall’ultimo CCNL, scaduto nel 2019, non hanno ancora prodotto  figure autorevoli  in grado di avanzare sintesi accettabili. Ruolo fondamentale nei delicati passaggi che precedono la conclusione di un contratto nazionale. L’impressione è che ognuno guardi solo in casa  propria, e mantenga una certa diffidenza, sulle possibili proposte di mediazione. Cosa peraltro sempre avvenuta. Aggiungo che, il ricorso alla piazza per imprimere una svolta al negoziato (https://bit.ly/3S9NcJ0), pur legittimo, rischia di inserirsi nelle dinamiche e nella competitività  tra sindacati confederali che stanno montando su altri piani e di rendere ancora più difficile un possibile compromesso.

Leggi tutto “Rinnovo CCNL Terziario e Distribuzione. Due debolezze che si elidono a vicenda”

Dalla logistica alla GDO. Importare cattive pratiche è un attimo….

Per chi, come il sottoscritto, cerca punti di osservazione meno scontati  con tutto ciò che è collegato alla Grande Distribuzione, la notizia che il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, dott.ssa Daniela Cardamone, ha archiviato il procedimento a carico di 32 lavoratori e attivisti del SI Cobas  per i fatti accaduti durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Vigano di Truccazzano e Vimodrone (MI) segnala una svolta da non sottovalutare.

Come negli anni 70 e 80 del secolo scorso si sta riproponendo un collegamento pericoloso che getta un’ombra sulle traiettorie dello  sviluppo del comparto e del possibile effetto imitativo  che, la degenerazione delle lotte sindacali promosse dai sindacati di base sui piazzali della logistica e la crisi di leadership del sindacalismo confederale, possono determinare.  Al di là dei ricorsi possibili il dispositivo “smonta”  una prassi ormai consolidata che considerava sia il “picchetto duro” che il “blocco delle merci” in entrata e in uscita da un centro logistico un atto di violenza  privata e quindi  un reato.

Non è un fulmine a ciel sereno. Conferma un’analoga pronuncia formulata pochi mesi fa da una altro  PM, il dott. Enrico Pavone. Il principio affermato è semplice: “un picchetto fuori dai cancelli in occasione di uno sciopero, condotto dai lavoratori attraverso l’ostruzione delle vie d’accesso al posto di lavoro operata con la loro presenza fisica e finalizzato ad impedire l’ingresso delle merci, non è punibile poiché tale forma di lotta è parte integrante del diritto di sciopero e della libera iniziativa sindacale, tutelate dagli articoli 39 e 40 della Costituzione”.

Come già argomentato dal PM nella richiesta di archiviazione, il picchettaggio è, a tutti gli effetti un’attività “ancillare e corroborante” dello sciopero; bloccare le merci è il più delle volte una necessità oggettiva per far si che lo sciopero stesso abbia un senso e per impedire che l’azienda ne vanifichi del tutto gli effetti per mezzo del crumiraggio”.  Dichiarando quei comportamenti non punibili, di fatto però li legittima, quali azioni “necessarie” per imporre alle aziende il rispetto dei contratti nazionali o locali, dei diritti dei lavoratori e della loro dignità. Su tutti il diritto a una retribuzione dignitosa, alla libertà sindacale e al rispetto delle normative sulla sicurezza”.

Leggi tutto “Dalla logistica alla GDO. Importare cattive pratiche è un attimo….”

Secondo NielsenIQ cambiano consumi e luoghi della spesa…

Le previsioni sono fatte per essere smentite. Il 2023 si chiude con un aggravamento della situazione socio-economica e la condizione delle famiglie italiane ne esce peggiorata. Chi la faceva semplice basandosi su tendenze momentanee di calo dell’inflazione  si dovrà ricredere. I consumatori, per contrastare il carovita devono considerare con grande attenzione non solo cosa comprare ma anche dove comprare.

Confermo una mia convinzione. Il “carrello italico” ha rappresentato una sorta di safety car che ha contribuito a mettere tutte le insegne e tutti i formati più o meno sullo stesso piano. Almeno nella percezione  del consumatore. Romolo De Camillis, Retailer Directory a NielsenIQ, giustamente sottolinea su LinkedIn  che  “è ancora presto per stabilire relazioni di causa effetto tra i panieri anti-inflazione (a prevalenza mdd) e l’andamento delle vendite, nonostante i dati della seconda settimana di ottobre vadano nella direzione della prima. Non trascurerei invece l’impatto positivo che la comunicazione può avere nel rassicurare i consumatori sull’impegno dell’insegna e dei negozi nel combattere il caro-vita”. Anche attraverso l’adozione della cartellonistica relativa all’operazione stessa.

In un clima di sfiducia generalizzata nei confronti di chi emette lo scontrino una sorta di certificazione comune sottolinea la presenza di un impegno. È quello che alcuni osservatori hanno sottovalutato. Non c’è in loro la percezione che intorno a noi si stanno sgretolando certezze e equilibri geopolitici. C’è chi ha pensato che eravamo di fronte alla classica quanto inutile passerella politica del Governo e non ad un cambio di paradigma che induce confusione e preoccupazione nelle persone anche nell’atto della spesa. E che la passerella era, in fondo, un peccato veniale, rispetto al contesto.

Ci sono all’orizzonte enormi rischi anche per il nostro Paese. L’industria di marca stessa ha dovuto prendere atto che la situazione che si andava creando con il loro rifiuto a partecipare, alla lunga,  non avrebbe giovato nemmeno a loro. È così il cigolante carrello si è messo in moto. Se non ci fosse stato il patto  oggi la GDO sarebbe al centro di polemiche al calor bianco. È chiaro che il patto non è la soluzione. Ma sia chiaro che dovremo coesistere con questa situazione di incertezza anche nel 2024.  E questo era un  passaggio obbligato. Fortunatamente i “benaltristi” sono stati lasciati in panchina. Leggi tutto “Secondo NielsenIQ cambiano consumi e luoghi della spesa…”