Grande Distribuzione, commercio e terziario. Il negoziato c’è. Mancano i negoziatori (e i soldi..)

L’altro giorno stavo chiacchierando con un bravo responsabile di punto vendita di un’insegna milanese. L’argomento erano le difficoltà a motivare la squadra di questi tempi, i giovani che faticano ad accettare questo tipo di lavoro come mai in passato e la presenza di dimissioni più marcate rispetto a qualche tempo fa. Lamentava che il cosiddetto “cliente interno” non fosse affatto una priorità da gestire per nessuno. Al di là dei proclami delle singole insegne. Una sua battuta mi ha fatto però riflettere.  In tempi di inflazione, di rinnovi di contratto nazionale rinviati, di congruità o meno dei salari non c’è molta sobrietà nelle dichiarazioni  delle insegne stesse. Capisco l’esigenza di molti manager o piccoli imprenditori  di veder confermato il loro ottimo lavoro  sottolineando  i  risultati 2022 e le premesse 2023 come titolo di merito personale o delle loro squadre. In tempi di inflazione occorrerebbe non dimenticare mai  il contesto economico sociale nel quale quei risultati vengono raggiunti. “Clienti interni” e dinamiche  economiche e politiche del Paese compresi.

C’è  in atto un braccio di ferro con la filiera a monte sulle responsabilità degli aumenti dei prezzi, c’è un’interlocuzione con il Governo per ottenere qualche utile sostegno in tema di riduzione del cuneo fiscale, i consumatori sono perplessi e indecisi con chi prendersela  per gli  aumenti e  il comparto è sotto attacco per la sua evidente insensibilità sociale. In questo  contesto sottovalutare il proprio ruolo e le conseguenti responsabilità nei confronti  dei propri collaboratori non segnala lungimiranza.  Difficile tenere su due piani distinti i propri risultati e la tutela dei propri clienti da una parte con le conseguenze economiche che coinvolgono l’insieme dei propri collaboratori. 

Seppure nelle stime preliminari, nel mese di giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4% su base annua, da +7,6% del mese precedente, la situazione è ben evidenziata dal recente lavoro del Centro Studi di Confindustria. Il costo dei generi  alimentari è salito dell’11,4% medio (26% nel quintile più basso) mentre quello dei ristoranti del 6,5% (dato Centro Studi Confindustria https://bit.ly/3NrI4fp). Si segnala una forte riduzione della spesa delle famiglie: -3,7% nel 2022 e -8,7% nel quarto trimestre del 2022 rispetto al primo del 2021. Una “zavorra” per i consumi totali, considerando che la spesa alimentare vale il 14% di quella complessiva, seconda solamente a quelle per l’abitazione (comprensiva di bollette).  Si può ipotizzare anche un effetto reddito, con le famiglie meno abbienti che hanno accumulato meno risparmi e ora subiscono una maggiore erosione del reddito reale, con un impatto soprattutto sui consumi alimentari.

La corda potrebbe spezzarsi presto e la percezione generale gioca tutta a sfavore del comparto.   Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, lo ha appena dichiarato. “la manifattura ha visto il MOL diminuire del 5% dal 2019 ma i salari sono cresciuti del 5%. Il disequilibrio viene dal Commercio e dal comparto delle costruzioni.” Ovviamente quando si parla di Commercio in generale, la Grande Distribuzione è la prima a finire sul banco degli accusati visto che il piccolo commercio, la ristorazione e il turismo durante la pandemia hanno preso una serie di  “sberle” che, comunque andranno le cose, cambieranno i connotati di quei settori.

Leggi tutto “Grande Distribuzione, commercio e terziario. Il negoziato c’è. Mancano i negoziatori (e i soldi..)”

Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…

Sui piazzali della logistica è sempre più difficile trovare i sindacati confederali come interlocutori. Le varie formazioni legate al sindacalismo di base hanno via via preso il sopravvento. Così come nei magazzini di molte realtà che lavorano anche per la grande distribuzione. Picchetti e denunce sono all’ordine del giorno. Per queste formazioni sindacali,  con un seguito di associati ancora complessivamente modesto, eterogeneo e in cerca di visibilità, il ricorso alla  magistratura rappresenta una parte decisiva della loro strategia. L’obiettivo è tenere aperto un clima di tensione continua per ottenere un risalto mediatico. In alcuni casi si assiste ad un gioco di sponda tra loro, i media che non amano il sindacalismo confederale e alcuni magistrati anch’essi in cerca di visibilità. 

La verifica della consistenza e della veridicità delle accuse formulate dalla Procura di Milano sarà oggetto dei tre gradi di giudizio. E questo vale per Esselunga come per qualsiasi altra azienda. Sull’azienda di Pioltello conservo qualche dubbio aggiuntivo sulla consistenza delle accuse stesse. Per lunghi anni oggetto di verifiche e controlli di tutti i tipi per le esternazioni “spigolose” dell’anziano leader hanno portato  quella realtà  ad essere estremamente attenta e sensibile al contesto legale e contrattuale. Molto più di altre. Per questo preferisco attendere gli sviluppi prima di esprimere qualsiasi giudizio. Spesso alle iniziative della Procura milanese accompagnate da un forte eco mediatico non è seguito nulla di risolutivo.

In termini generali, il “sottostante” non nasce oggi e non è sconosciuto. Dura da almeno vent’anni. Ogni tanto se ne parla ma, purtroppo, nessuno affronta alla radice il problema. Il tema delle finte cooperative (cosiddette spurie) che nascono e muoiono con l’obiettivo di sfruttare i lavoratori immigrati ed evitare tasse e contributi  inserendosi nei sub sub appalti, spesso bypassando qualsiasi  controllo, esiste. Bisogna però stare attenti a non generalizzare perché si rischia di colpevolizzare un sistema che non c’entra nulla. In Italia ci sono circa 60 mila cooperative, che da sole danno lavoro a circa il 7% dei dipendenti privati. Non si tratta quindi di una nicchia, ma di una parte importante della nostra economia. E le continue denunce di Lega Coop e Alleanza cooperative sulle anomalie riscontrate dimostrano che lo stesso sistema cooperativo, per la grandissima parte sano e autentico, cerca di isolare il fenomeno: “Chiediamo il pugno duro contro le false cooperative” hanno spesso dichiarato i loro dirigenti. 

I settori maggiormente interessati da questi fenomeni sono quelli della lavorazione delle carni, dell’agroalimentare, delle costruzioni edili ed infrastrutture, dell’autotrasporto, della logistica e del facchinaggio, dei noleggi, dell’attività di assistenza sociale dove le modalità di esecuzione dell’appalto non si discostano molto dalla mera fornitura di manodopera. Ricordo le difficoltà che ho incontrato  in Rewe italia per riportare tutto il sistema logistico di supporto ad un livello di trasparenza accettabile. Le lunghe notti passate dentro e intorno ai magazzini di Lacchiarella per intercettare lavoratori senza permesso di soggiorno spinti a  scavalcare le recinzioni dai caporali per pochi euro e sostituire i lavoratori regolari delle cooperative abbassandone così i costi e questo nonostante gli accordi blindati sottoscritti e gli impegni formali. Le vie di fuga sono infinite. Fortunatamente, grazie ad interlocutori seri (nel nostro caso la CLO – cooperativa lavoratori ortomercato aderente alla Lega della Cooperative) ne siamo venuti a capo. Leggi tutto “Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…”

La diffusione del Franchising. Da limite a opportunità per la Grande Distribuzione..

Personalmente credo che interrogarsi sull’espansione del franchising nel settore della GDO pur con le differenti formule adottate in tutta Europa significa cercare di  comprendere una parte delle traiettorie possibili. C’è troppa superficialità di giudizi per un comparto che cuba nel nostro Paese e nei differenti settori circa 1000 franchisor che a loro volta producono un totale di 54mila punti vendita in franchising tenendo conto che alcuni di questi possono essere pluri-franchising. Stiamo parlando di circa 25 mld di euro con  più di 200mila  addetti tra titolari di punti vendita e collaboratori.

Riflettere sul negozio del futuro, fisico o virtuale che sia, non risolve di per sé il tema della proprietà. Né della sua gestione. Che ci sia dietro un fondo di investimento, un singolo imprenditore visionario, una multinazionale, una cooperativa di imprenditori o un franchisor che gestisce uno o più punti vendita il discorso sostanzialmente non cambia. I modelli che si sono via via affermati dalla seconda metà del 900 in avanti in Europa sono tutt’altro che univoci.

In genere,  i commentatori  più tradizionali del comparto, quando parlano del franchising più che sul possibile potenziale futuro si fermano al problema dei vantaggi sui costi e sulla loro gestione. Una sorta di ripiego. La gestione di un punto vendita è però fondamentale per la tenuta del conto economico complessivo di un’insegna.  Recentemente in Belgio Delhaize  ha annunciato di voler  cedere tutti i suoi ultimi supermercati ancora di proprietà (128 pdv)  a imprenditori indipendenti. La maggior parte dei negozi  sono già in franchising. Operano con i marchi AD Delhaize, Proxy Delhaize e Shop & Go. Un totale di 636 negozi che utilizzano il nome Delhaize ma sono gestiti in franchising. L’azienda ha deciso di  continuare a investire a livello centrale in aree come la logistica, l’approvvigionamento e il marketing per fornire servizi ottimali alla sua rete di negozi.  Auchan a sua volta, ha deciso di fare un test in Francia cedendo agli affiliati 7 punti vendita in regioni diverse. Auchan, oggi ha solo 39 punti vendita gestiti da imprenditori indipendenti. Carrefour prosegue nel suo piano. Il franchising è il suo modello di sviluppo prevalente per i prossimi anni. Anche in Francia.

Sindacalisti e commentatori  spesso semplificano troppo concordando che solo il modello tradizionale, tipico della grande impresa del comparto del novecento, garantisca una unicità di gestione e un’immagine aziendale coesa. Gestione del personale compreso. È ovvio che sindacalisti e commentatori non frequentano da tempo i punti vendita delle insegne note e meno note per comprendere che non ci sono differenze significative  di gestione tra queste e i franchisee delle insegne più conosciute. Sopratutto laddove si utilizzano strutture terze (purtroppo anche cooperative spurie) per le attività legate alla logistica di supporto, ai servizi, alle emergenze e alla guardiania. Pratica diffusa quanto foriera, se non presidiata correttamente,  di possibili gravi conseguenze che si riflettono pesantemente sull’immagine aziendale. Leggi tutto “La diffusione del Franchising. Da limite a opportunità per la Grande Distribuzione..”

Grande Distribuzione. Coop Italia cambia passo

Impossibile non cogliere un nesso tra due avvenimenti apparentemente lontani. Da una parte la chiusura del rapporto ventennale tra Francesco Pugliese e il Conad e dall’altra il riassetto strategico di Coop Italia. La prima e la seconda insegna della GDO hanno sempre vissuto con grande e leale competitività la loro natura cooperativa seppur di segno diverso. La prima di imprenditori e la seconda di soci.

Conad sembra voler rallentare, tirare il fiato e consolidare il perimetro acquisito. La corsa seguita all’acquisizione di Auchan e la leadership nel mercato nazionale hanno impegnato a fondo le cinque  cooperative. Francesco Pugliese ne ha probabilmente “stressato”  le rispettive leadership per consentire al Consorzio di posizionarsi ai vertici  del comparto. Lascia nel momento più alto della sua gestione. Adesso tocca a Mauro Lusetti (ex Coop) riportare a sintesi il confronto interno. Conad deve  confermare il suo primato che non è fatto solo di numeri, rilanciarsi nella leadership politica della categoria, essere protagonista e non follower nel rinnovo del Contratto Nazionale scaduto, decidere il proprio ruolo in Confcommercio e accelerare sui progetti innovativi completando la complessa digestione dell’affaire Auchan.

Coop Italia in questi anni è rimasta un po’ in ombra. Non certo ferma. Pur cedendo il primato in classifica già prima dell’operazione Auchan da parte dei “cugini” di Bologna ha scelto di  guardarsi dentro, rimettere in ordine strategia e obiettivi pur confermando però la propria natura. Con le ultime decisioni sembra pronta ad accelerare. La scelta di “consacrare” definitivamente la carriera di Maura Latini ai vertici di Coop Italia è un primo segnale. Innanzitutto  la soddisfazione personale che comprendo benissimo.

Più o meno negli anni in cui Maura Latini entrava in Coop durante le sue vacanze scolastiche io entravo in Galbani. Più o meno allo stesso livello: l’ultimo. La soddisfazione di arrivare dopo molti anni nel comitato di direzione della più grande azienda allora del Gruppo Danone nel ruolo di direttore risorse umane è stato il coronamento di una prima fase del mio percorso professionale. In quella esperienza ho imparato ad osservare la realtà da diversi punti di vista. Soprattutto per capire le persone, il clima che le circonda l’impegno che le caratterizza  e consente all’azienda di raggiungere i suoi obiettivi. Allora, è vero,  l’ascensore sociale funzionava.

Leggi tutto “Grande Distribuzione. Coop Italia cambia passo”

Grande distribuzione. Mancano gli addetti, il rinnovo del CCNL non c’è ancora e manca una visione comune del futuro.

Un tempo bastava osservare la quantità di CV che i giovani clienti (o i loro genitori)  lasciavano sul banco della regia del supermercato. O il passaparola tra gli specialisti. Poi si è passati all’interinale. Ragazzi che lasciavano presto la scuola, donne interessate a guadagnare qualcosa con un part time, esuberi delle diverse  ristrutturazioni di altre insegne o dell’industria foraggiavano il turn over o le aperture delle diverse aziende. Trovare personale non è mai stato un problema nella GDO. Tant’è che è aumentato sia il part time involontario che i tempi determinato. Quell’epoca si è però chiusa.

Aggiungo che in  Italia c’è sempre stata una certa ritrosia nella GDO nazionale verso lavoratori provenienti da altri Paesi pur essendo la norma altrove. Più per ignoranza, superficialità e scarso interesse delle insegne che per razzismo, da noi, la presenza di lavoratori stranieri nel punto vendita  è sempre stata vista anche da molti clienti con una certa diffidenza. ALDI, al contrario, dichiara con orgoglio la presenza nel gruppo  di 47 nazionalità differenti.  Così vale per LIDL o Carrefour. La forte ripresa economica  post lockdown ha poi dirottato ulteriori risorse in altri comparti facendo emergere le peculiarità e i limiti di quei  settori, ristorazione e commercio innanzitutto, ma anche quello della GDO, che pur avendo retribuzioni in linea con altri comparti, presenta modelli organizzativi non più particolarmente attraenti per  giovani e meno giovani rispetto a qualche anno fa.

C’è chi cerca di gestire comunque il problema. Ad esempio Tosano nel triveneto aggiunge al CCNL vitto e alloggio per chi vive ad oltre 55 chilometri. 19 ipermercati, tutti in  gestione diretta, 4000 dipendenti. Una realtà di punta del Gruppo Vegè. Le difficoltà a trovare personale sono abbastanza diffuse sul territorio. Altri rimodulano l’orario o vengono incontro alle mutate esigenze delle persone. Qualcosa si muove. L’aspetto economico è solo uno dei problemi. Forse nemmeno il principale. C’è un problema di scarsa attrattività del modello di  prestazione richiesta,  un altro legato alla costruzione delle professionalità specifiche. Un altro ancora legato alla gestione delle risorse umane nei punti vendita. Tanto celebrate durante il lockdown per la loro abnegazione.  Su di loro, oggi, è però calato il silenzio.

Occorrerebbe guardare oltre al proprio naso e ragionare in termini di settore. Costruire con le regioni e i ministeri opportunità di lavoro rivolte anche  ad altri Paesi, strutturare, attraverso i fondi interprofessionali percorsi formativi specifici, garantire inserimenti dopo pur adeguati periodi di prova. In altre parole, passare dal lamento contro i giovani e il contesto cinico e baro ad una politica comune che contribuisca a neutralizzare il problema. Leggi tutto “Grande distribuzione. Mancano gli addetti, il rinnovo del CCNL non c’è ancora e manca una visione comune del futuro.”

Esselunga. Continua la diaspora….

In una intervista pubblicata il 29 marzo di quest’anno, il Presidente esecutivo di Esselunga Marina Caprotti di fronte ai risultati positivi dell’azienda aveva messo sul tavolo 500 euro a testa per i dipendenti del Gruppo. Undici milioni di euro per dare un aiuto concreto in difesa dell’inflazione. Un atto di liberalità non dovuto ma significativo in un momento difficile per i 25.000 collaboratori. Eppure qualcosa sembra continui a non funzionare.

Certo in un comparto che deve risalire al 2015 per ritrovare la firma di un CCNL poi scaduto nel 2019 un atto vale più di mille parole. E che una delle principali aziende lo segnali è sicuramente da apprezzare. Sostenere il reddito è importante ma non sufficiente quando è il clima interno ad appesantirsi.

La direzione risorse umane in un’azienda di quelle dimensioni è fondamentale. Ha tre compiti che nessun altra direzione aziendale può esercitare. Innanzitutto presidiare il clima interno. L’azienda è il clima che la pervade. I numeri, pur positivi, seguono. In secondo luogo deve gestire le persone. Una comunità di quelle dimensioni è un insieme di speranze e aspettative, di disponibilità e impegno, di conflitti personali e di gioco di squadra che vanno affrontati e manutenuti costantemente. L’azienda non è una macchina è un corpo vivo che va tenuto in salute. Infine deve “scovare” i talenti necessari e portarli a bordo, ingaggiare quelli che ha all’interno, lavorare sul “talento diffuso” che è presente in ognuno è che, se valorizzato e incentivato, contribuisce più di ogni altra cosa al risultato finale.

Deve prestare grande attenzione alla differenza tra l’opportunismo strumentale che a volte si confonde con il talento, il proliferare degli yesman e la necessaria critica costruttiva. Non esiste la solitudine del comando. Nessuna azienda può essere gestita senza una sana comunicazione a due vie. Se è unidirezionale fallisce nel suo intento principale che resta  quello di ingaggiare ogni risorsa, dalla principale alla più umile, facendola sentire importante, decisiva, utile alla causa.

Ce lo ricorda il famoso apologo dei tre scalpellini di Peter Schultz: «Un viandante cammina per una strada assolata, finché giunge nei pressi di un cantiere, ove tre scalpellini lavoravano sotto il sole cocente. Si avvicina al primo di essi e gli chiede: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Sto sudando!”. Il suo sguardo era torvo e il suo volto affaticato. Si avvicina al successivo scalpellino, gli rivolge la stessa domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Mi sto guadagnando il pane!”. Il suo sguardo era spento e il suo volto rassegnato. Il viandante prosegue e ripete al terzo scalpellino la domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Ma come, non lo vedi?” Partecipo alla costruzione di una cattedrale!” e i suoi occhi brillavano di soddisfazione e sul suo volto non vi era traccia di fatica.» Chi si occupa di risorse umane conosce bene la differenza di atteggiamento tra i tre scalpellini. Leggi tutto “Esselunga. Continua la diaspora….”

Grande Distribuzione a Milano. Un laboratorio di novità…

Milano sta accelerando. Dall’Expo alle Olimpiadi invernali che attendono la città, ha sempre saputo interpretare nuove traiettorie. Anche nell’alimentare. L’accordo tra Fiera di Parma e Milano per una gestione armonizzata delle due  manifestazioni dedicate al settore agroalimentare ovvero Cibus e Tuttofood ne testimoniano la vitalità. L’azione combinata delle due fiere leader in Italia metterà in campo un nuovo soggetto in grado di competere a livello europeo, specializzando le due manifestazioni: Cibus Parma vetrina fondamentale del Made in Italy alimentare e dei suoi territori, Tuttofood Milano piattaforma globale e innovativa per il food&beverage di tutto il mondo.

Presto decollerà Foody, il Mercato Agroalimentare di Milano, che rappresenterà un polo di attrazione per aziende e professionisti italiani e internazionali della filiera agroalimentare e punto di riferimento della tradizione e dell’eccellenza del “Made in Italy” nel mondo. Mancano solo due “perle”: la scuola di Alta Cucina di Parma nel cuore di quella che viene definita la Food Valley del nostro Paese intenzionata ad  aprire presto una importante sede secondaria  a Milano e FICO.  Quando Oscar Farinetti si stancherà di “giocare” in quel di Bologna potrà trovare nel capoluogo lombardo un approdo sicuro e redditizio. Le aree non mancano.  Una città in continuo cambiamento  quindi non poteva lasciare indietro la distribuzione commerciale grande e piccola nelle sue differenti proposte. I consumatori fortunatamente non sono tutti uguali.

Da un lato avanzano discount e piccoli negozi di vicinato mentre le grandi superfici sono in una fase di ripensamento, dall’altro la qualità e la consegna a domicilio di realtà come Cortilia e Humamy, per citare due aziende che fanno del mangiare sano la loro caratteristica  principale. In mezzo ogni insegna della GDO si attrezza e gioca le sue carte mentre i “mercati del contadino” che servono o si avvicendano a scadenze fisse nelle diverse zone della città e l’apertura di punti vendita di fascia alta rispondono alle diverse esigenze di reddito, di gusto e di rapporto con il proprio cliente di riferimento.

Non c’è solo l’ossessione per promozioni e sconti finalizzati a sostenere quella parte dei consumatori, soprattutto a reddito fisso che l’inflazione, colpisce pesantemente. La GDO sta tenendo a fatica il punto e contemporaneamente sostiene tutte quelle iniziative che cercano di aiutare chi resta indietro. Dal Banco Alimentare alla lotta allo spreco, agli sconti sulla merce vicino alla scadenza. Milano è al centro anche in questo. Leggi tutto “Grande Distribuzione a Milano. Un laboratorio di novità…”

L’ultimo miglio. Un business da reinventare.

C’è un dibattito  in corso  in tutta Europa sui cosiddetti unicorni che popolano l’ultimo miglio. Alcuni chiudono, altri vengono acquisiti da concorrenti. Altri ancora si concentrano su alcuni mercati. Le aziende della GDO, oltre che con i loro negozi di vicinato, cercano sempre di più di coprire in proprio quel tratto di strada per garantire un servizio ai loro clienti. Nel frattempo i ministri del Lavoro Ue hanno raggiunto l’accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme. Lo ha annunciato la presidenza di turno svedese del Consiglio Ue. Tra i punti principali della posizione comune dei Ventisette vi è l’inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti, e non più come autonomi.  Una sorta di (difficile) quadratura del cerchio. Ne vedremo gli sviluppi.

Personalmente trovo questa attività  assolutamente utile.  Poter ordinare da casa prodotti o servizi, al di là di ciò che abbiamo dovuto affrontare con il lockdown è un passo in avanti. Va normata meglio, tutelati gli addetti e inserita in un contesto economico che garantisca una redditività.  Ma resta un servizio come qualsiasi altro. È però un lotta contro il tempo. C’è un modello di business da reinventare. Non basta puntare ad incrementare il numero dei clienti come nella fase precedente sperando in un loro consolidamento successivo. I conti devono tornare. E il servizio in sé, per ora, non è  in equilibrio economico.

La fase della pandemia ha illuso che la strada sarebbe stata solo  in discesa. Secondo McKinsey (https://mck.co/43MasAr) il mercato globale della consegna dell’ultimo miglio nel mondo  avrebbe dovuto raggiungere i 66 miliardi di dollari entro il 2026, dai 39.5 miliardi del 2020.  La mancanza di domanda per la consegna di generi alimentari in 30 minuti in Europa occidentale, l’aumento dei costi operativi e l’inflazione stanno rendendo difficile  la redditività costringendo startup come Getir a rivedere la loro strategia nei diversi Paesi per cercare di rilanciarsi. Da noi Gorillas e Sezamo hanno chiuso. I rispettivi Head Quarter hanno deciso di ritirarsi dai mercati ritenuti meno profittevoli o dove la ricerca della redditività sarebbe stata per lungo tempo più un miraggio che un obiettivo. 

La principale startup europea di quick commerce, Getir, sta considerando di chiudere tutti i suoi dark store in Francia oltre a quelli situati a Parigi dopo aver acquisito il rivale Gorillas nel dicembre 2022 per più di 1 miliardo di dollari. Il declino del quick commerce sta iniziando a sembrare veloce quasi quanto il suo successo iniziale. Sembra passato un secolo da quando Getir è stata lanciata, a metà del 2021, in Francia. Anche lì  aveva beneficiato di un contesto favorevole. I vari lockdown avevano reso la consegna rapida una risposta interessante. La startup turca era stata lanciata anche a Londra qualche mese prima.

Leggi tutto “L’ultimo miglio. Un business da reinventare.”

Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…

Il rischio che l’inflazione duri ben più del previsto è reale.  Un recente  studio della Bce, tramite alcune simulazioni, giunge anche a calcolare un possibile aumento dei prezzi al consumo globale compreso tra lo 0,9 e il 4,8 per cento. È l’effetto sulla crescita dei prezzi del cosiddetto processo di “reshoring”, vale a dire il rimpatrio delle produzioni per evitare di dovere dipendere da altri Paesi come la Cina o l’India. Fino ad ora l’inflazione è stata scaricata sostanzialmente sul consumatore. Soprattutto a reddito fisso.  Non sulle imprese di produzione.

Se parliamo di consumi alimentari si è scaricata anche sui margini delle imprese della GDO che, almeno in una prima fase, forse sottovalutando il fenomeno o ritenendolo  passeggero, ne hanno in parte assorbito le dinamiche.  Resta purtroppo la realtà. Da un lato c’è chi accusa la GDO di speculare sui prezzi e dall’altro la GDO  che cerca di smarcarsi con diverse strategie. Il Fatto Alimentare (https://bit.ly/3MWdQRx) mette sotto i riflettori un punto vendita di Esselunga.  Non è solo l’azienda di Pioltello che cerca di  proporre, attraverso sconti e promozioni a getto continuo,  una convenienza complessivamente maggiore della propria offerta rispetto alle altre. Il consumatore però percepisce una grande confusione e si muove sempre più con maggiore cautela. 

Detto questo, un dato però emerge nella sua crudezza. È difficile convincere il cliente della propria estraneità agli aumenti, spesso esagerati, dei prezzi quando  i costi, aumentati a causa della lievitazione delle materie prime, vengono dati per rientrati. La Grande Distribuzione, fin che ha potuto, si è difesa. Non ha cercato gli aumenti. Li ha subiti. Sconti e promozioni, concordati o meno con i fornitori, restano una delle poche armi a disposizione visto che di strategie comuni di filiera non se ne parla. Così come di superare l’impostazione dei contratti lunghi con l’industria in regime di alta inflazione che, oltre ad essere un errore che alimenta l’inflazione stessa, rischia di ritornare al mittente, prima o poi, come un boomerang.

Fuori dal nostro sguardo quotidiano  tra i buoni esempi di azioni che rientrano in una  filosofia di contenimento ci sono Tesco, nel Regno Unito, e l’insegna francese E.Leclerc. Per Tesco, un approccio a tre livelli ha dato i suoi frutti. Oltre all’allineamento dei prezzi di alcuni articoli con quelli dei negozi Aldi (l’insegna discount più conveniente nel Regno Unito), l’azienda ha anche introdotto i “Clubcard Prices”, una serie di sconti esclusivi effettuati automaticamente alla cassa per i titolari della carta fedeltà del distributore. Questi sconti sono diventati una parte centrale del marketing di Tesco nell’ultimo anno, contribuendo a migliorare significativamente la percezione del valore e della qualità dell’insegna agli occhi dei suoi clienti. Leggi tutto “Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…”

Grande distribuzione francese: il caso HMarket. Il primo vero supermercato halal in Europa…

La notizia è di quelle che fanno discutere. Non è tanto perché sette punti vendita Auchan in Francia chiuderanno per l’insufficiente redditività. Succede anche da noi che i punti vendita non redditizi delle GDO vengano chiusi. A Les Mureaux un comune francese  di 33  mila abitanti situato nella regione dell’Île-de-France ne chiude uno sul quale è scoppiata, sulla stampa nazionale francese, la polemica perché i prezzi bassi del concorrente HMarket hanno contribuito all’emorragia dei clienti di Auchan.

HMarket, è una catena creata nel 2006 specializzata in ‘cibo etnico’ dove si vende solo carne halal (il termine si può tradurre come “lecito” e indica, nello specifico, il cibo preparato rispettando la legge islamica), non si vendono alcolici e conta circa mille collaboratori. Opzione del tutto scontata in questa città dove è presente una numerosa comunità musulmana. La scelta delle parole dell’articolo de “Le Parisien” (https://bit.ly/3OQYjFg) scatenano reazioni a 360° e fanno riflettere. “Spietata concorrenza di Halal”, “competizione frontale”, “minaccia”, “guerra”, ecc. Altro che naturale declino di un punto vendita che fatica a competere! L’articolo, il lessico utilizzato, il titolo,  tutto serve per alimentare l’immaginario islamofobo  agitato dalla destra estrema francese come minaccia alla comunità.

Auchan ha chiuso diversi negozi in diverse città della Francia. Il “declino” della loro “redditività” in alcune regioni non è dovuto a “THE HARDLESS HALAL COMPETITOR” ma a variazioni di consumi e prezzi ritenuti troppo cari rispetto ad altri. Con questo linguaggio da crociata   tutti i principi di sostenibilità, convenienza, o di natura concorrenziale generalmente difesi dai media mainstream svaniscono quando si tratta di concorrenti e/o consumatori musulmani. Senza queste polemiche però, non avremmo mai sentito parlare di questo piccolo nuovo soggetto arrivato nella grande distribuzione francese. Sarebbe stato un peccato.

Il caso di Les Mureaux è interessante, perché lì scopriamo la specificità e la capacità concorrenziale di questa catena. La nicchia di mercato che occupano questi supermercati musulmani è particolare: le cassiere sono velate, tutti i prodotti sono halal e non servono alcolici. Gli stessi “francesi nativi” sono piuttosto contenti: l’inflazione ha permesso a HMarket, i cui prezzi sono molto vantaggiosi, di posizionarsi con grande facilità come il marchio più economico della zona.  Ed è così che i supermercati halal si stanno gradualmente affermando nel panorama della GDO francese. Dovrebbe aprire un altro HMarket, sempre a Yvelines, a Buchelay, non lontano da Mantes-la-Jolie. E ce ne saranno altri, ovunque, sempre di più. 

Leggi tutto “Grande distribuzione francese: il caso HMarket. Il primo vero supermercato halal in Europa…”