Inflazione. Tutti si smarcano e il cerino resta in mano al consumatore

La situazione sul fronte dei prezzi è surreale. L’inflazione nei prodotti alimentari resta alta. Secondo Nielsen l’indice d’inflazione teorica nel largo consumo risulta pari al 15,4%. Su alcune tipologie di prodotti è ancora più alta. Così come lo è sulle fasce di consumatori con i redditi più bassi. I fatturati delle insegne e dell’industria però schizzano verso l’alto. Ma non è un buon segno. Il Governo sul tema, tace.

Almeno per ora, fortunatamente, non è partita la dinamica già presente in altri Paesi di richieste salariali generalizzate compensative dell’inflazione. Il rischio che il tessuto sociale che fino ad ora ha tenuto, si laceri, è alto. La reazione per ora  resta individuale. Ciascuno taglia i consumi che ritiene meno importanti per sé o per la propria famiglia. In altre parole ci si rassegna. Una situazione che, se prolungata nel tempo, può produrre effetti depressivi sull’andamento dei consumi e sulla crescita dell’economia.

Il Centro studi di Confindustria confida sulla ripartenza dell’economia italiana evidenziando il Pil nel primo trimestre sopra le attese (+0,5%) e con la variazione acquisita per il 2023 a +0,8%. Scommette sulla riduzione dell’inflazione pur ammettendo che sarà lenta e continuerà a frenare i consumi. L’industria di marca punta sul rientro del dato medio in corso d’anno. Quindi mantiene i prezzi alti e mette “fieno in cascina”. La GDO, va detto,  ha intuito il rischio sul lungo periodo e ha  provato a mettere le mani avanti chiedendo un tavolo di confronto. I contratti standard tra industria e GDO tradizionali in tempi di inflazione sono un errore. Lo capiscono tutti ma nessuno fa nulla. Prezzi e rientro da costi seguono dinamiche differenti. Il cosiddetto “tavolo” sarebbe servito a governare il fenomeno almeno per l’anno in corso.

Con i discount che avevano, almeno all’inizio della risalita, le mani libere e l’industria che premeva, la GDO ha eretto la classica linea Maginot che è stata aggirata facilmente. Divisi tra di loro, con alcune insegne certe che sottobanco qualche antico rimedio (vedi sconti e promozioni) avrebbe funzionato come sempre, si sono presentati ai negoziati convinti di poter reggere il confronto. E mentre tutti parlavano del “caro carrello” addossando alla GDO gli aumenti c’è chi ha preferito giocare per sé trasformandosi per qualche settimana in paladino dei consumatori contro il carovita o altri che hanno indossato tute e scudi stellari mentre i prezzi schizzavano verso l’alto e il solito Einstein invitava a farsi furbi e andare nei suoi negozi. Il solito piccolo cabotaggio del marciare divisi per azzoppare il vicino di corsia e provare a vincere la gara. Leggi tutto “Inflazione. Tutti si smarcano e il cerino resta in mano al consumatore”

Il futuro dei negozi di vicinato è in ciò che Kombinano Canada e Giappone?

Tra  pandemia e guerra ai confini dell’Europa sembra passato un secolo dal gennaio del 2021 quando Couche Tard, la multinazionale canadese di mini market collegati ai  distributori di carburante, aveva messo sul tavolo 16 miliardi di euro per acquisire l’intera Carrefour. Più o meno la stessa cifra che Amazon aveva sborsato per Whole Foods. L’operazione fu poi stoppata dal Governo francese. Oggi l’acquisizione di  2.193 stazioni di servizio TotalEnergies in Europa per l’equivalente di circa 4,5 miliardi di dollari canadesi (3,1 miliardi di euro, otto volte gli utili prima di interessi, tasse e ammortamenti).

L’accordo le consentirà di entrare in nuove realtà in Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. L’azienda del Quebèc ha mosso i primi passi nel vecchio continente  con l’acquisizione del rivenditore norvegese Statoil nel 2012. Specificando che circa il 25% delle vendite in Scandinavia proviene dal cibo.

L’idea è quindi di puntare sui minimarket di Total in Europa  adattandoli  al gusto e alle culture locali. Con questa transazione, l’operatore di minimarket e distributori di benzina espande la propria presenza in Europa, dove conta già quasi 3.100 negozi. Prima dell’annuncio di questa acquisizione multimiliardaria, l’acquisto più recente di Couche-Tard è stato di  45 Big Red Stores (https://bit.ly/3Lf3hJz) in Arkansas il 27 febbraio. Quella mossa ha quadruplicato il numero di negozi in Arkansas. L’obiettivo è però il mercato europeo dei minimarket a cominciare da quelli delle stazioni di servizio ma non solo.

L’acquisizione include (https://bit.ly/3KQuWzm) 1.195 sedi in Germania, 566 in Belgio, 387 nei Paesi Bassi e 45 in Lussemburgo. Aggiungendo le 2193 sedi, la sua impronta europea (https://bit.ly/40uLLW1) aumenta dell’81%. Attualmente ha 2.703 sedi in otto paesi: Norvegia, Svezia, Danimarca, Lituania, Estonia, Lettonia, Irlanda e Polonia. Il CEO Brian Hannasch di Couche-Tard spiega che questa operazione aiuterà l’azienda del Quebec a crescere “all’interno delle economie più forti d’Europa. Inoltre, Couche-Tard ritiene di poter aumentare in modo significativo il servizio di ristorazione e le vendite in negozio nelle sedi acquisite. “Crediamo che il nostro modello europeo, sia dal punto di vista del cibo che del merchandising, farà breccia in questi mercati”, ha affermato Brian Hannasch. Quindi un obiettivo chiaro. Puntare ad un convenience store diverso dove ristorazione, prodotti alimentari limitati e convenenti e no food possano trovare nuove sintesi. Magari attraverso una dimensione tecnologica più accentuata, un servizio più accogliente  e una logistica diversa. Leggi tutto “Il futuro dei negozi di vicinato è in ciò che Kombinano Canada e Giappone?”

Buon 25 aprile!

Ho scoperto, quasi per caso, che il cugino di mia madre, che sapevo essere morto da partigiano, fu un eroe della resistenza romana.

Questa storia è riemersa grazie alla storica Stefania Ficacci e alle donne del Quadraro, delle Fosse Ardeatine, della Garbatella che l’hanno tramandata con i loro racconti. Il Parco dedicato a Giordano Sangalli ha un legame molto forte con gli anni della Resistenza e della lotta di liberazione. Me ne aveva parlato mio nonno di questo giovane coetaneo di mia madre che con gli zii si era trasferito a Roma da piccolo. Anni durissimi. Era un po’ nei suoi racconti, da vecchio socialista, l’eroe di casa. Allora la Resistenza non era, come oggi, un ricordo lontano.

Si sapeva che Giordano aveva fatto il partigiano come tanti altri ragazzi di quell’età ma nessuno sapeva come era morto, né dove, fino a quando l’ANPI sulla fine degli anni 50 del secolo scorso inviò a mio nonno la tessera ad honorem, senza particolari commenti, che finì tra le vecchie foto di famiglia. Racconti familiari a parte e mancati prima mio nonno e poi mia madre, la vicenda del giovane Giordano venne piano piano dimenticata in famiglia.

Nel frattempo a Roma negli anni del dopoguerra intorno ad un piccolo campo da calcio di periferia si tenevano dei derby molto accesi, come quello tra la squadra del Tor Pignattara e il Chinotto Neri, grandi sfide, del resto anche lo sport partecipava al senso di libertà di allora. Questo campo veniva chiamato dai ragazzi del quartiere il “campetto Sangalli”. Quando è stato poi restaurato il parco, nel 2009, il giardino, situato nei pressi di Largo Raffaele Pettazzoni e attraversato dall’Acquedotto Alessandrino, è stato deciso di intitolarlo proprio al giovane Sangalli. Nel frattempo la storia di Giordano qui a Milano è stata completamente dimenticata. Mi successe però un fatto strano.

Mettendo a posto le fotografie di famiglia ho ritrovato in un cassetto la sua tessera dell’ANPI e vagamente mi sono ritornati in mente i racconti di mio nonno e mia madre di quando ero ragazzo. Una storia ormai lontana. Digito quasi per caso “Giordano Sangalli” in rete e entrò in contatto con un altro mondo. Scopro che Nikolay Pavlyuchkov un figlio di immigrati russi sotto la supervisione del fumettista Alessio Spataro per la Scuola Popolare di Tor Pignattara, ha disegnato un racconto con la storia di un giovanissimo partigiano di Tor Pignattara morto a 17 anni sul monte Tancia. È lì che è nato il fumetto su Sangalli. Leggi tutto “Buon 25 aprile!”

È arrivato il momento di accendere i riflettori sull’ultimo miglio.

Un recente studio dell’’INAPP (https://bit.ly/3UNLo88) ci permette di circoscrivere le dimensioni del fenomeno dei platform worker in Italia sul versante degli addetti. Nel 2020/21 rientravano in questa categoria 570.000 lavoratori, così suddivisi: 36,2 % consegna pasti a domicilio (i rider), 14% consegna prodotti o pacchi, 4,7% autisti (tipo Uber), 9,2 % lavori domestici, 34,9% attività on line, 1% altre attività). Se restiamo nel cosiddetto ultimo miglio (quell’ultimo tassello della consegna delle merci che le porta da un centro di stoccaggio al cliente finale) stiamo parlando di circa trecentomila persone che a vario titolo si muovono per trasportare cose nel nostro Paese.

Un mercato in espansione, che ha generato in Italia oltre 2 miliardi di euro di business solo per il settore ristorazione nel 2022 destinato a crescere. Secondo McKinsey (https://mck.co/43MasAr) il mercato globale della consegna dell’ultimo miglio nel mondo  dovrebbe raggiungere i 66 miliardi di dollari entro il 2026, dai 39.5 miliardi del 2020. A Milano e provincia la ristorazione è il settore più attivo indicato dal 62%, seguito dal grocery al 36% e dal retail per il 20%. Oltre 6.000 rider che lavorano per l’online food delivery solo in città. (Secondo una recente indagine Confcommercio/Glovo). Consegne ecologiche quindi? Le loro certamente si.

Il discorso si fa più complesso se alziamo lo sguardo all’insieme del comparto.  I veicoli a motore che fanno consegne rappresentano quasi un terzo del traffico totale delle città. Mezzi che viaggiano spesso semivuoti e che in media rientrano al magazzino con parte delle merci non consegnate. Un contributo  tra il 20 e il 30% all’inquinamento dell’aria nelle aree urbane da non sottovalutare. Altri studi che comparano l’inquinamento prodotto dagli acquisti tramite l’e-commerce con i negozi negozi fisici non alimentari riducono fortemente la percentuale (https://owy.mn/41JSLj0) così come il traffico generato. In generale, quindi, l’ultimo miglio, indipendentemente dalla tipologia della modalità di acquisto è il tratto che impatta maggiormente sull’ambiente rispetto all’intero processo logistico. È quindi un problema serio.

La prima soluzione è legata all’avvento delle consegne con veicoli elettrici, per ridurre l’inquinamento e per decongestionare le strade. Ma la vera rivoluzione arriverà più avanti con i veicoli automatizzati. Ma mentre aspettiamo i droni occorre lavorare per  ottimizzare questo processo. L’ultimo miglio è l’elemento meno efficiente della maggior parte delle catene di approvvigionamento, e comporta una spesa, come parte finale del trasporto, che incide pesantemente (https://bit.ly/3Abnr0K) sul costo totale di trasporto del prodotto. Oltre a questo costo di natura economica, il traffico nelle aree urbane, la distanza tra zone lontane, gli indirizzi non validi o errati, le destinazioni difficili da localizzare e la mancanza di persone che firmino le consegne fanno sì che il processo sia tutt’altro che ottimale. Leggi tutto “È arrivato il momento di accendere i riflettori sull’ultimo miglio.”

Amazon vuole crescere anche nei “brick and mortar”

Noi li chiamiamo negozi fisici negli USA li chiamano “brick and mortar”(mattoni e malta) termine liberamente tratto dal salmo 127 della Bibbia spesso  contrapposto al negozio digitale. In realtà la vera contrapposizione è tra chi ritiene centrale il cliente (a parole tutti) e considera accessori luoghi e strumenti per raggiungerlo, coinvolgerlo  e soddisfarlo e chi  difende il luogo come centro del mondo perché andare oltre significherebbe doversi mettere in discussione. Amazon ha capito che oggi, il cliente, li apprezza entrambi. E mentre nel commercio digitale gode di un vantaggio costruito nel tempo continua a rimanere indietro rispetto a Walmart e altri retailer in termini di quota di mercato generato dai punti vendita tradizionali: 2,6% contro 18%.

Andy Jassy , CEO di Amazon, nella recente lettera agli azionisti ha ribadito che, per crescere e competere ” abbiamo bisogno di una presenza fisica più marcata, dato che la maggior parte degli acquisti avvengono ancora nei negozi fisici”. C’è una equivalenza necessaria nella competizione. Walmart attacca su tecnologia e digitale, Amazon non può non replicare sul fisico. Whole Food e Amazon Fresh si sono dimostrati una risposta debole. In grado di preoccupare per il  potenziale ma non di contrastare a sufficienza il gigante di  Bentonville. Serve “identificare e costruire il giusto format di massa idoneo per la scala Amazon” ha concluso Jassy. Whole Foods Market sta andando bene. Vendite e redditività sono in crescita. Ma così come è concepito non sembra costituire la base per una risposta sufficiente.

Di fronte due strade percorribili. La prima più tradizionale: acquisire insegne innanzitutto in un mercato, quello USA che cuba circa 800 miliardi di dollari e poi puntare ad altri Paesi chiave. La complessità dell’integrazione della sola  Whole Foods in Amazon è lì a dimostrare che pensare di competere con i best performer del retail concentrando insegne diverse per organizzazione e cultura e mettendosi semplicemente sul loro terreno è un azzardo che rischia di costare molto caro. Andy Jassy accenna la diversità del loro percorso in un passaggio della lettera agli azionisti. “in vent’anni abbiamo costruito una presenza significativa individuando i prodotti presenti sui lineari dei supermercati che non richiedono controllo di temperatura come prodotti di carta, cibo in scatola e in scatola, caramelle e snack, cura degli animali domestici, salute e cura personale e bellezza. Tre milioni di articoli che hanno eclissato le poche decine di migliaia offerti dal retail tradizionale”. Assortimento, consegna a domicilio e scontistica la chiave del successo anche tramite il programma Subscribe & Save molto gettonato negli USA. Una strategia certamente legata al prodotto e alla sua maggiore semplicità di gestione ma costruita anche innovando il processo.

Amazon fresh non sembra essere quindi essere ritenuta una risposta adeguata. Così come pensare che lo possa essere la sola tecnologia. Quella impiegata negli Amazon GO oltre ad essere costosa, facilmente riproducibile e migliorabile  in diverse parti del pianeta è la dimostrazione che la tecnologia non aumenta di per sé il numero di clienti.  Quindi occorre percorrere un’altra strada che affronti l’offerta e il servizio nel punto vendita all’interno di una strategia unichannel. Ed è questa, credo, la ragione principale  per la quale Amazon non ha proceduto con acquisizioni successive a Whole Foods pur avendone prese in considerazione alcune sia negli USA che in Europa.  Leggi tutto “Amazon vuole crescere anche nei “brick and mortar””

Il negozio del futuro non è nato solo a Seattle…

Anche a Rimini fu un ingegnere a mettere a terra un suo grande sogno. Al largo delle coste tra Bellaria e Igea Marina nacque l’Isola delle Rose. Una micronazione  ideata da Giorgio Rosa, un uomo visionario intenzionato a creare un’isola felice in mezzo al mare andando contro corrente rispetto all’epoca. Lì dove è nato, il sogno è tramontato, travolto dalla cultura del tempo e dalla burocrazia. A Terni, pur su scala ridotta, è nata un’idea per certi versi anch’essa  rivoluzionaria ideata dall’ingegnere lecchese Davide Milani, che ha voluto dare vita a una formula commerciale che coniugasse innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale, valorizzazione della comunità locale.

L’esperimento ha funzionato pur poi terremotato  dalla pandemia e da una ripartenza con costi pesanti per tutti che ha travolto start up tecnologiche importanti e azzerato decine di iniziative per mancanza di risorse economiche. Il caro bollette poi ha messo in ginocchio molte piccole imprese compreso  il percorso che ha generato Vivogreen ma non certo l’idea e la sua possibile prospettiva futura. Il supermercato, primo store a Terni e in Italia privo di casse e imballaggi, si caratterizzava  per tecnologia, sostenibilità ambientale e collaborazione con le scuole, nell’arco di pochissimi mesi ha visto aumentare del 300% le bollette elettriche. Difficile per chiunque risalire la china.

Leggi tutto “Il negozio del futuro non è nato solo a Seattle…”

Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…

Se dico che la GDO si è un po’ avvitata su sé stessa scopro l’acqua calda. L’innovazione, quella vera,  langue, i discount fanno da metronomi all’intero comparto e le grandi superfici sono alla ricerca di nuove identità nella speranza di ridimensionarne la crisi. Passa di mano qualche punto vendita tra insegne, soprattutto al nord e tra l’insegna e  franchisee che, attraverso una gestione più “rude” e modellata sul territorio e le sue specificità a volte funziona e a volte sposta solo  il problema più in là.

Non essendo riuscite a governare l’inflazione a monte le insegne e i fornitori stanno concordando promozioni a getto continuo che confondono i clienti ma che non rimuovono l’idea che i prezzi sono schizzati alle stelle e gli “scudi” televisivi e gli uomini mascherati che difendono i consumatori rischiano di essere un pannicello caldo inventato markettari che non vanno a fare la spesa. La GDO sta quindi adottando la tecnica del “fingersi morta” sperando che la nottata passi presto. D’altra parte i fatturati seguono l’onda e illudono che domani è un altro giorno. Nessuna nuova buona nuova, quindi? No. Qualcosa si muove a macchia di leopardo. Presto ritornerò a ragionare sul sud perché è dove la GDO, discount a parte,  sta cercando di dare il meglio di sé. E poi nell’ortofrutta e nel fresco in generale dove la GDO soffre e dove il 2023 ci riserverà qualche sorpresa positiva.

Leggi tutto “Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…”

Walmart vs. Amazon. La sfida tra i due giganti continua.

“Siamo in una posizione unica per servire i nostri clienti indipendentemente da  come vogliono fare acquisti, il che alimenterà la nostra crescita”, ha affermato Doug McMillon, presidente e amministratore delegato di Walmart Inc. alla riunione annuale con gli investitori. “Mentre cresciamo, miglioreremo il nostro margine operativo attraverso gli incrementi  della produttività e il nostro business mix migliorando il nostro margine operativo, investendo sulle priorità programmate”.

Crescere è il mantra. L’ossessione di chi vuole essere il numero uno. Ogni settimana, circa 240 milioni di clienti visitano più di 10.500 negozi e i suoi numerosi siti web di e-commerce in 20 paesi. Con un fatturato dell’anno fiscale 2023 di 611 miliardi di dollari, Walmart impiega circa 2,1 milioni di collaboratori in tutto il mondo. L’azienda sta reingegnerizzando la sua supply chain.  Il risultato punta a migliorare la fase di preparazione delle scorte, dell’inventario e il flusso, indipendentemente dal fatto che i clienti acquistino nei negozi, ritirino la merce ai loker  o tramite la consegna a domicilio.

Walmart ha presentato l’innovazione della sua  logistica nel suo centro di distribuzione regionale di Brooksville, in Florida. Un sistema che utilizza una combinazione di dati, software e robotica. In questo modo l’azienda ha spiegato come l’aumento dello stoccaggio degli articoli consenta al centro di distribuzione di fornire un servizio di consegna più coerente, prevedibile e di qualità superiore a negozi e clienti e di reagire più rapidamente alla domanda. I negozi si stanno trasformando. Oltre  da luogo tradizionale per acquisti diventano anche centri di evasione ordini e stazioni di consegna. I centri di distribuzione e di evasione ordini contengono un mix di articoli, da fornitori e venditori. Non necessariamente trattati da Walmart. Ciò consente all’azienda di ottimizzare le sue risorse in modo più flessibile ed efficiente.

L’annuncio è stato chiaro: “entro la fine dell’anno fiscale 2026, Walmart ritiene che circa il 65% dei negozi sarà servito dall’automazione, circa il 55% del volume del centro di evasione ordini passerà attraverso strutture automatizzate e le medie dei costi unitari potrebbero migliorare di circa il 20%”. Meno lavoro manuale (con minor costo del lavoro complessivo), più lavoro specializzato e meglio retribuito. Il presidente e CEO di Walmart Inc. McMillion ha dichiarato: “Siamo un grande rivenditore  guidato dalle scelte delle persone e alimentato dalla tecnologia. Le prime costituiscono lo  scopo, i valori, la cultura, le opportunità e la comunità di appartenenza. Serviamo i nostri clienti  creando contemporaneamente opportunità di lavoro. Opportunità che trasformano i semplici posti di lavoro in carriere professionali. Così i nostri collaboratori sono messi in condizione di realizzare il loro potenziale”. Leggi tutto “Walmart vs. Amazon. La sfida tra i due giganti continua.”

Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa

Nel mondo, il valore del falso Made in Italy agroalimentare è salito ad oltre 100 miliardi di euro in costante aumento nell’ultimo decennio. Parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia vengono associati ad alimenti che evocano il nostro Paese ma non vi hanno nulla a che fare. Aggiungo che nel 2019 le importazioni di merci contraffatte e piratate in Italia erano pari a 8,7 miliardi di Euro. Tra il 2008 e il 2021 sono stati quasi 208 mila i sequestri per contraffazione, con un quantitativo di circa 617 milioni di articoli falsificati sequestrati, per un valore economico stimato della merce sequestrata di oltre 5,9 miliardi di euro.

L’Italia è il quarto Paese più colpito al mondo dalla contraffazione dopo Stati Uniti, Francia e Germania. Tutto ciò ha gravi conseguenze sul lavoro: secondo la Camera di Commercio Internazionale, per l’anno in corso, si prevede che a livello mondiale i posti di lavoro messi a rischio dal mercato grigio ammontino a 5,4 milioni. Nel 2022 Amazon ha rimosso dalla rete di distribuzione globale oltre 6 milioni di prodotti contraffatti e ha bloccato, prima che pubblicassero un’offerta, oltre 800 mila tentativi di creare nuovi account di vendita, un numero in calo rispetto ai 2,5 milioni di tentativi nel 2021 e ai 6 milioni del 2020.

Per quanto riguarda i cloni di fragranze non si può parlare di contraffazione semplicemente perché un odore non può essere brevettato. Solo il nome del marchio, il nome del profumo, la descrizione e l’imballaggio possono essere protetti dalla legge. Le aziende produttrici di profumi potrebbero brevettare i prodotti, ma per farlo dovrebbero divulgare le loro formule. Per questo in rete, nei supermercati o nei discount, cosmetici e profumi che assomigliano ai marchi più celebrati si sono trasformati in una moda che attraversa il mondo intero.

La Dupe Culture è un fenomeno culturale nato negli Stati Uniti che poi si è diffuso in ogni parte del mondo, grazie anche alle piattaforme social. Le generazioni più coinvolte sono la Z (nati dal 1995 al 2012) è i millenial (dal 1981 al 1994).  Generazioni che amano ostentare oggetti di lusso pur non potendoseli permettere. Lo scopo è quindi comprare abiti, accessori e cosmetici che sono simili a quelli firmati, ma a un prezzo accessibile. I dupes sono in pratica delle riproduzioni abbastanza fedeli di un prodotto di un brand di abbigliamento o di cosmetica. Leggi tutto “Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa”

Grande Distribuzione e inflazione. Analogie e differenze con il caso del Belgio

La reazione dura della Grande Distribuzione italiana contraria alle richieste di aumento arrivate già verso la fine del 2021 da parte dell’industria è andata ben oltre le normali dinamiche tra fornitori e buyer. Ha coinvolto i diversi leader delle insegne e dell’industria di marca. La preoccupazione vera in GDO non era solo quella di essere additati come la causa principale del “caro carrello”. I più attenti avevano compreso che una volta accettata la spirale degli aumenti le dinamiche che ne sarebbero seguite sarebbero state difficilmente controllabili. Soprattutto impossibili da recuperare in corso d’anno. Purtroppo sta andando così.

Il rientro dei costi delle materie prime non ha effetti immediati sul carrello della spesa e i fornitori si dimostrano poco disponibili a rinegoziare i contratti firmati in corso d’anno in un contesto economico così fluido. Questo provoca effetti collaterali tra le insegne e tra i diversi formati e accentua le situazioni di crisi in atto in molti punti vendita. Resta la necessità di governare una fase che rischia di protrarsi nel tempo erodendo la fiducia dei consumatori e sul tavolo un CCNL da rinnovare.

I fatturati spinti dall’inflazione propongono ad una lettura superficiale un settore in salute, i margini e i volumi del venduto suggerirebbero maggiore cautela nelle analisi. Si rischia la media del pollo di Trilussa. Alcuni segnali andrebbero colti con maggiore attenzione. Penso alla chiusura di punti vendita, alla deregulation sul costo del lavoro con l’adozione di contratti di lavoro locali, ai continui passaggi di mano di punti vendita di medio grandi dimensioni, la loro terziarizzazione e l’attenzione al contenuto del carrello della spesa da parte dei consumatori. La situazione economica presenta incertezze di contesto e forse sarebbe utile cercare di comprendere cosa sta avvenendo altrove dove la GDO è entrata in una situazione di affanno e difficoltà complessiva come in Belgio.

Le principali insegne del Paese vanno dai 500 milioni di euro circa di Intermarché agli 8 miliardi di Colruyt passando dagli oltre i 5 miliardi di Delhaize, i 4,5 di Carrefour, i 3 di Aldi e i 2 miliardi di LIDL, più, ovviamente, molti piccoli e medi operatori locali). Secondo un recente studio condotto dalla rivista commerciale Gondola e dalla società  Graydon Creditsafe (esperti di analisi del mercato belga) un supermercato su sei in Belgio sta affrontando problemi strutturali. Ciò equivale a circa il  16,2% del mercato, o circa 576 negozi in totale. Le cause sarebbero da ricercare nella crisi energetica, i costi di gestione,  l’alta inflazione e la forte concorrenza tra insegne. I margini sono scesi ai minimi storici. Leggi tutto “Grande Distribuzione e inflazione. Analogie e differenze con il caso del Belgio”