Ho sempre pensato che il vero obiettivo di Amazon resti quello di scavalcare il mondo tradizionale del retail puntando a ridisegnarlo completamente. Soddisfare il cliente interpretandone gusti e tendenze bypassando però la necessità di portarsi appresso la spesa attraverso una logistica rivoluzionata dalla tecnologia e negozi che, oltre a esporre la merce in modo più o meno tradizionale dovrebbero essere in grado di proporre un’esperienza di consumo più coinvolgente.
Qualcosa che riesca ad andare oltre il tanto teorizzato omnichannel dove i modelli del negozio fisico e digitale coesistono ma restano separati. L’obiettivo è arrivare a fondere in un’unico canale l’offerta perché al centro riesce finalmente a mettere (non a parole) il cliente, le sue esigenze ma anche, attraverso la tecnologia, le sue potenziali aspettative. Una rivoluzione non solo negli USA dove lo scontro è tra antagonisti con strategie e risorse economiche impegnate di pari livello ma destinata inevitabilmente a propagarsi ovunque attraverso concentrazioni e acquisizioni di realtà avanzate nel campo della tecnologia, della logistica al servizio dell’intera filiera e delle eccellenze del retail funzionali a questo disegno.
In questo senso l’acquisizione da parte di Amazon di Whole Foods (16 giugno 2017) sembrava un primo passo compiuto più per comprendere un mestiere (il “fresco” e la sua gestione) estraneo alla cultura della multinazionale di Seattle. Non dimentichiamo che quando Amazon ha sborsato 13,7 miliardi di dollari per Whole Foods il mondo del retail ha tremato. Hanno tutti pensato che l’azienda di Jeff Besoz avesse già le idee chiare su come creare un nuovo formato in grado di operare una sintesi tra innovazione tecnologica, iper-convenienza e proposta illimitata (anche) di generi alimentari. Non era così.