LIDL. Negli USA (forse) hanno trovato l’antidoto…

Nella GDO italiana la “corazzata” LIDL fa un po’ paura a tutti i competitor. Non è solo un problema di discount che stanno imponendo il loro ritmo a tutto il comparto. MD e Eurospin tengono botta e se togliamo la corsa solitaria di Penny Market, di Todis nel centro sud e di qualche altro, i mezzi di cui dispongono sia LIDL che Aldi sembrano rendere non contenibile la loro marcia. In tutta Europa conquistano quote di mercato e si segnalano tra i migliori datori di lavoro della Grande Distribuzione. Per ora la “gara”, da noi, la conduce LIDL. Per i consumatori italiani LIDL e Aldi  non sono neppure discount come  gli altri.

Una interessante ricerca Monitor Ortofrutta di Agroter pubblicata su Italia Fruit News ha analizzato il percepito di 500 responsabili acquisto italiani che fanno la spesa nella GDO. 9 clienti su 10 per Lidl e quasi 8 su 10 per Aldi, ritengono queste due insegne dei supermercati e non dei discount (https://bit.ly/3She0Fp). Un supermercato con un’immagine fresca che piace anche ai giovani dove vince la marca privata, l’attenzione al rapporto qualità/prezzo e le interessanti  proposte no-food. Le due insegne tedesche hanno le risorse economiche e umane per fare corsa a sé pur marcandosi l’un  l’altra. 

Le altre insegne discount,  pur impegnate in una corsa apparentemente simile, rischiano, chi più chi meno,  un ruolo da follower. Quindi loro due assomigliano sempre più a supermercati seppure meno ridondanti di merce e, per reazione pavloviana, diverse insegne di  supermercati cercano di “travestirsi” da discount. Difficile stabilire se queste incursioni pagheranno nel lungo periodo o ne costituiranno un punto di non ritorno per i rispettivi margini.

Impossibile quindi tenere loro testa?

Dagli USA però arrivano notizie che mostrano alcune smagliature interessanti. È vero che consumatori tedeschi e americani hanno comportamenti differenti.  Nel 1997, Walmart decise di entrare nel mercato tedesco e, pur trovandosi di  fronte, e in parte di traverso,  competitor, stampa e lavoratori,  acquistò Wertkauf  per 750 milioni di euro e Interspar, per 1,3 miliardi di DM . Ma non è bastata né la sua fama né la nota aggressività dell’azienda USA.  Nel 2006, dopo aver perso circa 1 miliardo di dollari, Walmart decise di lasciare la Germania. Leggi tutto “LIDL. Negli USA (forse) hanno trovato l’antidoto…”

Auchan in Russia. La decisione di restare potrebbe costare molto cara…

Probabilmente l’Association familiale Mulliez ha pensato che “scommettere” su una durata breve del conflitto fosse la mossa giusta. Se fosse andata così, la loro presenza in entrambi i Paesi in guerra  avrebbe rappresentato un punto di forza rispetto ai competitor.  Il gruppo francese, fondato da Gérard Mulliez nel 1961,  possiede e gestisce gli ipermercati e i supermercati Auchan, ma anche le catene di negozi di prodotti per il fai da te Leroy Merlin, Decathlon e molte altre attività. È arrivato ad essere quinto al mondo con un migliaio di ipermercati in 16 paesi e oltre 300 mila dipendenti. 

Nel suo recente intervento a Marca, Valerio De Molli, Managing Partner di The European House – Ambrosetti ha confermato che le multinazionali che hanno lasciato la Russia a seguito del conflitto sono circa diecimila. A fine 2022, ne resterebbero ancora 1284 secondo uno studio svizzero (https://bit.ly/3KjFQyX). Di queste le aziende tedesche ne contano il 19,5%, davanti alle cinesi (16,4%), americane (12,4%), giapponesi (7%), italiane (6,3%), britanniche (5,8%) e infine le francesi, tra cui quelle appartenenti alla galassia Mulliez, il (5,6%). Perché queste ultime hanno fatto così scalpore sulla stampa francese?

Secondo il recente servizio di Le Monde, la società francese, che ha scelto di continuare le sue attività sul territorio russo nonostante l’offensiva in Ucraina, avrebbe consegnato gratuitamente merci all’esercito di Vladimir Putin come testimoniato dal video e dai documenti in possesso del quotidiano francese (https://dai.ly/x8ib4qf). Secondo i documenti ottenuti da Christo Grozev, ex direttore esecutivo di Bellingcat, e da Le Monde, la società della GDO, di proprietà della famiglia Mulliez, ottava fortuna francese secondo Challenges, sembrerebbe partecipare allo sforzo bellico russo. Leggi tutto “Auchan in Russia. La decisione di restare potrebbe costare molto cara…”

Grande distribuzione. Mancano gli addetti o scarseggiano i bravi CEO?

Le differenti insegne sono tutte impegnate nella gestione e nello sviluppo delle loro risorse umane. È una funzione che gira a pieno ritmo visti gli annunci di selezione del personale, i premi conseguiti dalle aziende attente alla loro crescita, i corsi prodotti attraverso la formazione aziendale finanziata o meno. La ricerca di specialisti poi è sempre aperta. Nei punti vendita, però,  il flusso di CV lasciati sul bancone all’entrata si riduce ogni giorno.

I più giovani di fronte al lavoro festivo e domenicale e al part time  spesso arricciano il naso. Si comincia a percepire la difficoltà a trovare risorse con quel profilo particolare che caratterizza chi lavora nella grande distribuzione. Flessibilità, impegno, disponibilità ad imparare, capacità di ascolto e voglia di crescere non sono più così presenti nei colloqui di assunzione o sono bilanciati da richieste di maggiore libertà, autonomia, corrispettivo economico che lasciano intendere cambiamenti sempre più pressanti del mercato del lavoro. Né l’azienda con le sue prospettive future di carriera né il sindacato che in passato intercettava e rappresentava in termini collettivi queste esigenze riescono spesso a comprendere e a gestire questi approcci che mirano ad un bilanciamento diverso tra impegno personale richiesto e spazi di vita. E su questo qualcosa dovrà cambiare nei processi di selezione.

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Grande Distribuzione. Cresce il nervosismo tra le insegne.

Basta girare per i negozi della GDO per capire che alcune insegne  stanno perdendo quel minimo di lucidità necessaria per affrontare un contesto inflativo di media/lunga durata dotandosi di strumenti adeguati. Per il momento i fatturati gonfiati dall’inflazione reggono il confronto sull’anno precedente. Sempre meno i volumi. Lo si capisce dalle polemiche con i fornitori, dalla promozioni sempre più azzardate, dall’affanno dei fine mese. Dai confronti anno su anno.

Il cliente viene vellicato blandendolo con lo stagionato “vieni da noi che trovi il bianco che più bianco non si può” del famoso Dash della Procter & Gamble. Ma mentre il Dash è passato dal fustino al liquido fino al monodose di oggi, in molti nella GDO sono rimasti inchiodati all’idea che l’avversario è solo e soltanto  l’insegna concorrente. E lo si batte sul prezzo. Pochi comprendono che, con l’inflazione, il vero “nemico” da affrontare è il contesto complessivo che dipende dalla struttura dei costi dell’impresa a monte e a valle, dalle sue dinamiche e dal peso politico e organizzativo che il settore nel suo complesso ha nei confronti di chi quei costi li determina o li governa.

Senza questo approccio la semplice leva del prezzo più basso comprime solo  i margini. Ed è una spirale difficile da fermare. E senza sottovalutare che i consumatori, estremamente sensibili di questi tempi,  sono sempre più  indotti a pensare che il prodotto, quando non è in promozione ha un prezzo ingiustificato. Soprattutto  i clienti più importanti; quelli che acquistano abitualmente quel prodotto. E questo spinge al nomadismo di insegna.

In tempi di inflazione il consumatore controlla più di altri momenti il prezzo di ciò che acquista abitualmente. E collega promozioni e responsabilità degli aumenti all’insegna che li propone. Non all’azienda titolare del prodotto. Certo ci sono sempre i clienti spot che inseguono la promozione da “volantino”. Oggi ci sono poi le app tipo doveconviene.it o volantinofacile.it o promoqui.it che forniscono un quadro delle promozioni come mai in passato. Ma questi clienti difficilmente riacquistano lo stesso prodotto a prezzo pieno. In realtà l’abuso delle promozioni genera un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Soprattutto  in tempi di inflazione. Prima o poi ci sarà un competitor che applicherà al prodotto un prezzo più basso rispetto agli altri e si ritorna tutti  al via come in un eterno gioco dell’oca. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Cresce il nervosismo tra le insegne.”

Grande Distribuzione e profezie negative autoavveranti….

Molti amici, manager e consulenti della GDO mi hanno sollecitato a insistere e tornare sulle ragioni che spingono le differenti insegne a non considerare l’unità e la convergenza del comparto come prioritarie in un contesto come quello che stiamo attraversando. Il punto di partenza è chiaro. C’è una disillusione diffusa sulla possibilità di realizzarla quasi fosse una maledizione ereditata dai “padri fondatori” che, condanna a trovare negli “altri” leader presenti nel settore la causa e la ragione della situazione.

La classica profezia negativa che si autoavvera per il solo fatto di essere continuamente ripetuta.  La predizione genera l’evento e l’evento verifica la predizione. E così ciascuno predica l’unità ma addebita ad un male oscuro e sconosciuto la ragione dello stallo. Non ho personalmente incontrato nessun CEO che rifiuta l’idea in sé ma tutti, o quasi,  rifiutano la responsabilità della situazione. 

Non credo di svelare nulla di segreto ma nella stessa scelta che ha portato ad individuare l’attuale Presidente di Federdistribuzione la richiesta di lavorare per l’unità del comparto era uno degli impegni principali richiesti al candidato. Addirittura l’idea di individuarlo fuori dal perimetro della GDO aveva lo scopo di evitare pregiudizi e chiusure preconcette. Purtroppo si è dimostrato una scelta sbagliata per diverse ragioni tra le quali che la persona individuata non sembra averci nemmeno mai provato a rimuovere il contenzioso passato o si è scoraggiato al primi  tentativi..

Lo scrittore Garrison Keillor negli anni ottanta del secolo scorso creò,  per il programma radiofonico “A Prairie Home Companion” nel Minnesota, una città immaginaria chiamata “Lake Wobegon”  dove “tutte le donne sono forti, tutti gli uomini sono belli e tutti i bambini sono sopra la media”. Questo racconto ha poi dato il nome a un pregiudizio cognitivo chiamato “effetto Wobegon”, che consiste nel sovrastimare il proprio peso,  le proprie abilità e, di conseguenza, ignorare i propri limiti. È la tendenza umana a sopravvalutare i propri risultati e le proprie capacità in relazione agli altri. È il problema che affligge l’associazionismo della Grande Distribuzione italiana e non solo.  Leggi tutto “Grande Distribuzione e profezie negative autoavveranti….”

Grande Distribuzione e industria alimentare tra inflazione, consumi e responsabilità

Il balletto ormai inarrestabile intorno a chi deve farsi carico dei costi che gli aumenti delle materie prime e dell’energia stanno determinando ricorda un po’ un vecchio gioco di carte noto in tutto il mondo. A Milano e dintorni si chiama “Peppa Tencia” (Peppa scura). L’obiettivo dei giocatori è non avere in mano la donna di picche quando il gioco si chiude. In questi giorni la “carta” è stata  rifilata maldestramente ai benzinai dalla politica e da alcuni media. Presto toccherà ad altri.

Temo che, prossimamente, rischia di finire alla Grande Distribuzione se non ci sarà un passo in avanti  dell’associazionismo delle insegne e tra queste ultime e la filiera a monte nel rapporto con il Governo in termini di condivisione e responsabilità. L’industria alimentare ha premuto fino ai “confini” del 2022 con le sue richieste all’intera GDO di  circa 1.200 aumenti di listino per complessivi incrementi nominali superiori al 20% come ha sottolineato recentemente Giorgio Santambrogio VP di Federdistribuzione. Solo dai primi giorni del 2023 ad oggi  siamo a  500 richieste di aumenti, per oltre 16 punti. Tutti necessari?

Per Francesco Mutti, Presidente di Centromarca, gli aumenti dei listini sono giustificati e quindi c’è poco da discutere con la GDO. L’aumento dei costi, secondo lui, rischia di mettere fuori gioco molte imprese industriali. C’è una disponibilità  ad aprire un tavolo ma solo se sarà il Governo a gestirlo.  E se ci saranno delle contropartite credibili per loro. Al di là dei toni utilizzati per difendere il proprio perimetro il problema delle richieste di aumento dei listini da parte dell’industria alimentare rischia di innescare una spirale dagli esiti imprevedibili. Il 2022 si è chiuso con un’inflazione che ha colpito in modo pesante soprattutto le famiglie meno abbienti.

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Grande Distribuzione e lavoro. Il contratto nazionale che non c’è.

Come ho scritto a suo tempo (https://bit.ly/3HE2vV1) la firma del “protocollo straordinario di settore” di dicembre (https://bit.ly/3j0lD5r) è stato un fatto positivo. Rimettere intorno ad un tavolo comune (per i contenuti concordati) le diverse associazioni (Confcommercio, Federdistribuzione, Confesercenti e Coop) per confrontarsi con il sindacato di categoria sull’esigenza di arrivare nel 2023 alla firma dei rispettivi CCNL è stato un buon passo in avanti per una vicenda che rischiava di trascinarsi nel nulla cosmico per responsabilità dell’intera rappresentanza datoriale.

Certo le incertezze del  contesto e delle prospettive economiche non hanno incentivato il confronto ma qui c’è dell’altro. Innanzitutto la paura delle diverse associazioni del dumping salariale altrui utilizzato per difendere/incrementare la base associativa. Essere titolari di un contratto nazionale conferisce uno standing ambito. Definisce il perimetro rappresentato. Riuscire poi ad ottenere dalla stessa controparte sindacale uno “sconto” sul costo complessivo, definito da altri, convince i propri associati di essere meglio tutelati dalla propria associazione che da altre sigle. Salvo sottovalutare che, al rinnovo successivo (e oggi siamo qui) lo sconto ottenuto da alcuni toglie credibilità a chi lo ha concesso e insinua un clima di sfiducia complessiva sulla capacità  di sottoscrivere e mantenere i patti.

Un errore da matita blu che ne ha innescato un altro altrettanto pernicioso. Alcune imprese, visto la facilità con cui le associazioni principali si scavalcavano l’un l’altra con il beneplacito dei sindacati di categoria e sollecitate dai propri consulenti del lavoro, sono andate ben oltre azzerando i vecchi contratti in essere e modellandosene di nuovi a livello locale sulla propria struttura  organizzativa in modo assolutamente legittimo. Superare questa situazione non sarà facile. Il protocollo di dicembre ne ha rappresentato, però, un primo passo.

Recuperato per quanto possibile un clima di confronto costruttivo nei prossimi appuntamenti sarà necessario entrare nel merito. E qui casca l’asino. Da parte datoriale Confcommercio e Confesercenti, essendo confederazioni,  hanno una competenza tecnica in grado di affrontarne i contenuti per la dimensione politica che li alimenta e ne neutralizza in parte gli effetti concreti più indesiderati presenti in tutti i contratti. Federdistribuzione, no. La “base” delle due confederazioni  sono funzionari associativi esperti e allineati mentre Federdistribuzione ha, come interlocutori diretti, le imprese che notoriamente misurano i risultati rispetto al loro perimetro e alle loro specifiche esigenze. Una differenza non da poco…
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Grande Distribuzione, PMI e l’apologo del calabrone…

Girando per i corridoi affollati della fiera di Bologna dove si è appena chiusa Marca 2023, la più importante manifestazione in Italia tra insegne della distribuzione moderna con  piccole e medie imprese dell’industria alimentare che, insieme, danno vita a quella che viene chiamata “Marca Del Distributore”, ci si rende conto in modo plastico che il nostro Paese è molto più avanti di quello che ci sentiamo raccontare ogni giorno.

“La MDD può contribuire in modo decisivo alla domanda di tutela del potere di acquisto delle famiglie, e, allo stesso tempo rappresentare una soluzione sostenibile per la tenuta delle imprese distributive e dei partner industriali che la realizzano” ha sostenuto con convinzione il Presidente di ADM Marco Pedroni.

Osservando da vicino questo brulicare di insegne semi sconosciute e di persone che non si fermano mai orgogliose del proprio lavoro non si può non ripescare  il famoso apologo del vespide le cui ali non potrebbero sopportare il peso del corpo che a rigor di fisica dovrebbe sbilanciarne il volo; ma il calabrone lo ignora e per questo continua a volare. È questa la dimensione che percepisci in questi corridoi strapieni di umanità varia.

Certo è “solo” una fiera e da domani probabilmente tutto è destinato a tornare come prima ma da qualche parte occorre pur iniziare se si vuole cominciare a pensare più in grande e giocare nella massima divisione. E questo è un ottimo punto di partenza. Innanzitutto da questa iniziativa ci si porta a casa che c’è uno spazio vero per scrivere una storia non subalterna   per una GDO protagonista vera nella filiera agroalimentare. Basterebbe volerlo. Leggi tutto “Grande Distribuzione, PMI e l’apologo del calabrone…”

Grande distribuzione e lotta all’inflazione…

Il Governo francese sta lavorando con la Grande Distribuzione a un “cesto anti-inflazione”. Si punta ad un paniere di beni di prima necessità composto da  una ventina di prodotti, che la GDO si dovrebbe impegnare a vendere quasi a prezzo di costo. Secondo l’entourage del ministro Olivia Grégoire “L’idea è di avere una base di beni di prima necessità i cui prezzi sono i più bassi possibili che comprende prodotti che vanno dall’igiene del bambino all’igiene degli adulti, ai latticini, ai prodotti freschi, alla pasta.un paniere anti-inflazione che dovrebbe far leva su un impegno volontario dei distributori e dei loro partner di filiera piuttosto che definito da disposizioni legislative o regolamentari. È il risultato di un confronto positivo a 360° necessario in fasi come queste.

Da noi è, per il momento,  difficile pensare ad un simile gioco di squadra. L’industria sta provando a scaricare a valle l’aumento di costo  delle materie prime e dell’energia che pur ci sono. Le imprese della  GDO, forse sottovalutando il contesto geopolitico  e a causa della competizione tra le diverse insegne,  hanno cercato di  assorbire  una quota molto significativa dell’aumento dei prezzi per buona parte del 2022 pagandolo in termini di margini e il Governo ha dovuto innanzitutto considerare le sue priorità nella legge di bilancio pur mettendo in campo circa 35 miliardi di euro per i sostegni alle imprese e alle famiglie.

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Il 2023 può essere l’anno di una nuova centralità del lavoro?

Il “rischio” che si perdessero molti posti di lavoro ha accompagnato pandemia e ripartenza. Il peso di un comparto si è sempre calcolato per la sua incidenza sul PIL e dal numero di occupati impiegati. Ci sono sempre in gioco “migliaia di posti di lavoro” come conseguenza di ogni in-decisione politica. La “quantità” coinvolgibile  è stata per lungo tempo il termometro del buon andamento o meno della società. Il lavoro purchessia, innanzitutto.

È un criterio di misurazione che viene da lontano. La stessa querelle sulla “congruità”delle eventuali offerte per superare il reddito di cittadinanza ne rappresenta una conferma. Quando si parla del lavoro degli “altri” la qualità dello stesso, la sua remunerazione, il grado di soddisfazione, per chi ne è coinvolto, rischia di passare in secondo piano. Averlo o non averlo ha sempre rappresentato il discrimine sociale principale.

Ma è ancora così? Oggi sembra esserlo sempre meno.

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