Esselunga in testa con il fiatone….

Difficile leggere tra le righe di un’azienda che pur ancora irraggiungibile sul piano commerciale  in diverse realtà comincia a temere il fiato sul collo di qualche inseguitore oltre al peggioramento del contesto economico e sociale del Paese. Sulla situazione  pesano la profondità della crisi e le risposte ancora da mettere in campo. Su possibili  nuovi competitor credo che sia semmai l’arrivo di un player come la tedesca  Aldi  a far suonare diversi  campanelli di allarme per i mezzi di cui dispone, per la sua filosofia e per la sua volontà di insidiarsi nel nostro Paese soprattutto i realtà dove, quella che è ancora considerata la prima della classe, realizza le sue performance migliori.

Esselunga sta giocando a tutto campo per coprire le esigenze dei suoi clienti e chiudere possibili falle che insidiano il suo predominio (https://bit.ly/3qRPKMY). Due elementi però segnalano bene il possibile affanno: i conti e le risorse umane. I primi sono dati da un insieme di elementi.

La crisi dei superstore che lambisce anche le insegne più performanti (nel caso di Esselunga pari ad un -0,2% dopo un +6,7% del 2021), lo scarso contributo dei punti vendita di vicinato e la volontà di governare  gli inevitabili aumenti dei prezzi riducendo i margini hanno inevitabilmente interferito con i piani di gestione del debito contratto per rientrare in possesso dell’intero perimetro aziendale.

Sei mesi difficili quelli che abbiamo alle spalle, cercando di evitare o di contenere gli aggiornamenti dei listini per mantenere i quasi 6 milioni di clienti. Nell’articolo/intervista al Corriere (https://bit.ly/3SJ9aQp) i numeri sono spiegati molto bene. “I prezzi allo scaffale hanno registrato un incremento medio dell’1,7% contro un’inflazione media del 7,4% ricevuta dai fornitori, — con alcune aziende che in un anno hanno fatto passare cinque aumenti dei listini — assorbita per il 5,7% dal gruppo”. L’elemento di riflessione, non solo per Esselunga è che i consumatori stanno modificando le abitudini di spesa. E questo aumenta il livello di rischio e di  frizione con i discount. Leggi tutto “Esselunga in testa con il fiatone….”

Il gambero “rotto” di Oscar Farinetti

Bernardo Caprotti, a suo tempo, era stato lapidario su Oscar Farinetti: “E certo, lui è l’uomo che sa tutto, viene qui a Milano e ci insegna cos’è il food. Sa tutto di food. Vendeva frigoriferi e televisori, ma ora è un grande esperto, è l’oracolo. È un chiacchierone formidabile”. I due non potevano certo prendersi.

L’obiettivo del piemontese non credo sia mai stato rendere profittevoli né Eataly né Fico. Era di provare a trasformare  un sogno in un progetto imprenditoriale e poi  arrivare esattamente dove è arrivato, cessione compresa. La pandemia ha solo accelerato la decisione. L’intuizione era  corretta ma bastava fare un giro a Roma o a Milano, osservare l’utilizzo degli spazi e i prezzi praticati e poi andare alla Esselunga, al Viaggiator Goloso o alla stessa Coop per capire che il destino di Eataly era già scritto.

Farinetti è stato bravo a creare un catalizzatore di una cultura alimentare fuori dalla portata imprenditoriale dei personaggi storici che l’avevano concepita e che l’hanno inventata e difesa per anni e di far convergere intorno al suo progetto tutte le energie e le risorse necessarie. Godendo poi di una sua personale credibilità mediatica e di una rete di relazioni importante in molti  territori e con una parte del mondo politico locale  ha avuto, una volta messa a terra l’intuizione, una strada tutto sommato spianata propedeutica all’impresa.

L’ingaggio di Andrea Guerra ex Luxottica nel 2015 avrebbe dovuto garantire gli investitori e chiarire definitivamente la sostenibilità del business messa in discussione già allora. L’uscita del manager nel 2020 ha segnalato in modo evidente che, salvo gli USA, il resto del business non reggeva. Alberto Forchielli  è stato uno dei primi a sparare ad alzo zero già nel 2018 su FICO l’altra intuizione di Farinetti (che avrebbe dovuto amplificare e sostenere Eataly) definita “la vetrina della stupidità e del giullarismo nazionale”. Leggi tutto “Il gambero “rotto” di Oscar Farinetti”

La Camera di Commercio di Milano “rioccupata” da Carlo Sangalli

A 85 anni si è fatto riconfermare, pur con qualche fatica,  nell’altra carica più importante che detiene. A Carlo Sangalli pareva brutto lasciare la Camera di Commercio di Milano proprio in questo momento. D’altra parte questa è, se non sbaglio,  la quinta o la sesta rielezione. Dal sito la cronologia sembra essere provvidenzialmente scomparsa. Per lui, è sempre bene  sottolinearlo, non è mai il momento di lasciare.

Ha quindi individuato un escamotage per convincere gli interlocutori  più malfidenti sulle sue reali intenzioni: una staffetta a metà mandato. Proporsi fino al 2027, a novant’anni, è forse parso un tantino esagerato anche per lui. Le altre associazioni hanno subìto la sua ambizione perché controbilanciata dalla disponibilità di Carlo Sangalli  a farsi da parte un po’ più in là. Industriali e artigiani hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Forse hanno chiesto addirittura qualche garanzia scritta visti i precedenti. il Consiglio della Camera di commercio  si compone di 25 consiglieri: 7 sono i rappresentanti dei servizi alle imprese, 4 del commercio, 4 dell’industria, 2 dell’artigianato, 1 del credito e assicurazioni, 1 dei trasporti e spedizioni, 1 dell’agricoltura, 1 del turismo, 1 della cooperazione. Fanno inoltre parte del Consiglio camerale, 3 componenti in rappresentanza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, delle associazioni dei consumatori e dei liberi professionisti.

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Grande Distribuzione. Esselunga prova a mettere il turbo.

C’è una grande differenza tra una azienda leader e una costretta a inseguire. Nella GDO, la prima anticipa la concorrenza, presidia il proprio perimetro con innovazioni che rispondono alle esigenze o ai desideri di una parte importante dei suoi clienti. Cerca di convincerli che non serve andare altrove. Li fidelizza.  Li fa sentire parte di una comunità. E cerca di proiettare un’immagine positiva di sé a chi potrebbe diventarlo in futuro.

Risponde, aggiornandolo il concetto,  alle famose tre C: Contenuto, Convenienza, Comunicazione. Dove la convenienza non è solo relativa al prezzo ma comprende una nuova customer experience e quindi un servizio differenziato dedicato a fasce precise di consumatori. Assediata dai discount che sorgono come funghi e quindi da un nuovo concetto di convenienza e di prossimità, l’azienda leader accetta rilancia la sfida della concorrenza, non la subisce. È quello che sta facendo Esselunga. L’accordo con Deliveroo è un tassello di un  puzzle complesso che sta disegnando la nuova azienda. Altre l’hanno preceduta. Sulle grandi città è in corso un riposizionamento complessivo del servizio offerto da parte della GDO classica. C’è in corso un’ibridazione interessante tra fisico e digitale e quindi sul servizio offerto che abbozza nuovi scenari per l’intero comparto.

Deliveroo, nata come start-up a Londra nel 2013 è uno dei leader del food delivery in Paesi come Regno Unito, Francia, Belgio, Olanda, Germania e Italia. A differenza di altre è riuscita a superare un’agguerrita concorrenza e rimanere una delle poche realtà del food delivery operante a livello globale. Deliveroo ha investito molto nella user experience della propria app rendendola semplice e immediata nell’utilizzo. E questo conta.

Occorre poi tenere presente che per valutare queste società più che fatturati e costi, per gli investitori che guardano lontano, contano i consumatori attivi. Quando Gorillas si è ritirata dal nostro Paese abbiamo sentito le solite campane a morto su questa tipologia di business. Pochi hanno sottolineato  che una realtà simile come  Deliveroo ha attirato l’investimento da 500 milioni di dollari, pari al 16% delle quote della società inglese oltre che da Amazon da altri investitori statunitensi – T Rowe Price investment management, Fidelity Management e Greenoaks capital. E i consumatori attivi  di Deliveroo sono in forte crescita. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Esselunga prova a mettere il turbo.”

Confindustria/Confcommercio: due leadership a confronto…

Sbagliare è umano. Ammetterlo fa la differenza …

Pur di restare al suo posto ha abdicato politicamente. Carlo Sangalli ha  preferito non ingaggiare competizioni con Confindustria sul terreno delle proposte, della rappresentatività e del ruolo. Si è messo in scia.

85 anni, presidente dell’Unione dei commercianti di Milano dal 1995. Nel 1996 viene eletto Presidente di  Confcommercio Lombardia e dal  2006 assume la Presidenza di Confcommercio Imprese per l’Italia. Viene poi rieletto per acclamazione nel successivi tre mandati, Il 4 marzo 2010, il 12 marzo 2015 e il 15 luglio 2020.  In Confindustria vigono altre regole.  Nessuno punta all’eternità.

Carlo Bonomi, a differenza sua, ha intuito  per tempo che, in un’epoca di evidente disintermediazione e in un contesto globalizzato, Confindustria e l’insieme dei corpi intermedi non potevano più contare sul loro “glorioso” passato. E neppure sul brand in sé. Gli imprenditori, se volevano farsi ascoltare, dovevano imparare a giocare a tutto campo. Con sindacati e governo come da tradizione, ma anche da soli magari  interpretando anche i propri collaboratori per difendere insieme il perimetro di ciò che l’industria rappresenta e quindi  parlare direttamente al Paese nel momento in cui il contesto sociale ed economico ha infilato anche la Politica, oltre alle dinamiche esterne e internazionali, in un pericoloso cul de sac.

La risorsa umana al centro dei principali rinnovi contrattuali, quindi il riconoscimento reciproco, gli accordi con il sindacato sul lockdown, la priorità del  continuare a produrre ben oltre le richieste di ristori e indennizzi, la disponibilità alla certificazione della rappresentanza,  i tentativi di concordare strategie comuni con i rappresentanti dei lavoratori nel confronto con il Governo Conte (purtroppo falliti) che hanno preceduto l’arrivo di Mario Draghi hanno consentito a Confindustria un tasso maggiore di autorevolezza e  un ruolo di traino dell’intero sistema della rappresentanza datoriale che si era perso.  Ultimo, ma altrettanto decisivo, Carlo Bonomi è riuscito a ricreare una idea di comunità intorno all’impresa industriale e ai suoi protagonisti. Sotto questo punto di vista l’assemblea della Confederazione in Vaticano e l’incontro con Papa Francesco hanno rappresentato un capolavoro. Confindustria ha guadagnato di nuovo  un ruolo politico centrale. Leggi tutto “Confindustria/Confcommercio: due leadership a confronto…”

Eurospin. Anche il discount italiano ha una responsabilità sociale

A tenere testa ai discount tedeschi di Lidl, Aldi e Penny Market, Eurospin rappresenta la principale risposta italiana. Nata dall’intuito di quattro imprenditori nel 1993 oggi vanta oltre 7 miliardi di fatturato, 1200 punti vendita  e più di ventimila dipendenti. Ottimi fornitori e non solo ottimi prezzi, completano il successo di questa realtà italiana. Difficile quindi trovare un punto debole.

Ci stanno provando i sindacati di categoria. Un paio di anni fa in una interessante intervista a Milano Finanza Luigi Mion ad una precisa domanda sulla ragione vera del successo di Eurospin del giornalista Stefano Lorenzetto ha risposto: “la produttività”. “La crisi l’abbiamo cavalcata. Ci ha insegnato a lavorare in modo diverso e a educare i fornitori ad abbassare i costi, trovando insieme a loro la strada per farlo”. Tra le righe dell’intervista appariva però, già allora, un altro problema. La difficoltà a trovare giovani da assumere disposti a questa tipologia di lavoro. Un elemento che tenderà ad essere sempre più presente nell’intero comparto. Liliana Manenti, sindacalista  Fisascat nella zona di Treviglio conferma – “c’è la fuga dei giovani da queste realtà. I giovani restano poco,  giusto il tempo di trovare   un nuovo posto di lavoro da lunedì a venerdì. Il lavoro nei negozi aperti il sabato e domenica rimane ancora per i giovani uno scoglio. Sempre meno giovani sono disposti ad affrontare i faticosi orari tipici di questo lavoro”.

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Grande Distribuzione e convenienza. Ogni insegna la declina a modo suo..

I consumatori, soprattutto quelli più smaliziati, hanno i loro percorsi fissi e le loro convinzioni quando “inseguono” la loro idea  di convenienza al supermercato. Le insegne, da parte loro, tirano l’acqua al proprio mulino. Definire un punto vendita “il più conveniente” è molto difficile. Soprattutto di questi tempi. Al massimo si possono ipotizzare formati distributivi che mantengono la fama di essere più convenienti da altri. Ma anche in questo caso, su alcune categorie di prodotti, non è necessariamente così.

Giorgio Santambrogio AD di Végé punta il dito sulla correttezza dell’indagine di Altroconsumo ripresa ed enfatizzata da tutti i media principali. Santambrogio ha ragione. L’indagine è superficiale e inutile rispetto agli obiettivi. Non serve perdersi in inutili tecnicismi per dimostrarlo. Anzi, non esiste alcuna possibilità di dimostrarne la correttezza.  

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Grande Distribuzione. METRO firma l’accordo di espansione

Le relazioni sindacali sono sempre influenzate dal contesto nel quale l’azienda opera. E quando il contesto spinge l’impresa ad affrontare un profondo riorientamento del proprio business le tensioni con le organizzazioni sindacali sono inevitabili. Sopratutto in situazioni dove, nel passato, hanno rappresentato un punto di forza nelle fasi di crescita.

È il caso di Metro Italia dove si è recentemente raggiunto una importante intesa con la sottoscrizione del cosiddetto “contratto di espansione” (in sintesi è una tipologia di accordo  che  consente di avviare piani concordati di esodo per i lavoratori  che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto alla pensione bilanciandoli con nuove assunzioni con evidenti risparmi sul costo del lavoro).

Con oltre 4.000 dipendenti,  METRO è leader nel commercio all’ingrosso e nel settore alimentare. Presente in Italia in 16 regioni con 49 punti vendita all’ingrosso, con  diverse modalità di acquisto in funzione delle specifiche esigenze: dalla consegna (Food Service Distribution – FSD) al Cash and Carry e al canale digitale. La rete distributiva si completa con due depositi rispettivamente nelle aree metropolitane di Milano e di Roma, dedicati esclusivamente all’FSD. L’azienda ha circa 200.000 clienti con un focus specifico sulla ristorazione e l’ospitalità (Horeca). Nel mondo, METRO opera in oltre 30 paesi, impiega oltre 95.000 persone in tutto il mondo e conta circa 17 milioni di clienti con  un fatturato di 24,8 miliardi di euro. Metro Italia partecipa alla supercentrale di acquisto Aicube insieme a Gruppo Végé, Carrefour Italia e Gruppo Pam.

L’azienda tedesca è impegnata ad accompagnare l’evoluzione e la trasformazione del mercato dell’HORECA  (In sintesi la distribuzione di  prodotti presso hotel, ristoranti, trattorie, pizzerie, bar, catering, ecc.) dove è leader. Un settore in grande trasformazione a cui la recente pandemia ne ha mostrato limiti e possibili accelerazioni evolutive.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. METRO firma l’accordo di espansione”

Imprese e costi energetici. Occorre prepararsi al peggio…

Sinceramente mi è difficile comprendere la spasmodica ricerca in corso di tutte le scorciatoie possibili quanto vane per risolvere la crisi legata all’approvvigionamento di energia. Le inevitabili ripercussioni sui costi erano stati  previsti nella loro gravità fin da quando i consumi in Cina ne fecero crescere la domanda in modo così rapido da scatenare una corsa agli acquisti, in particolare tra Asia ed Europa.

C’è anche chi c’è arrivato dopo. “Distratti” dalla pandemia e dalle sue conseguenze pochi hanno pensato di coinvolgere il Paese sulla gravità della situazione che si andava profilando all’orizzonte. La guerra scatenata da Putin ne ha poi fatto volare ulteriormente in prezzi in Europa. Il conto, per le famiglie e le imprese, non è  tardato ad arrivare. E non è certo finita qui.

Due ondate (pandemia e crisi energetica) condite da una ripresa inflazionistica seria che, in campagna elettorale, fanno da sfondo ad accuse reciproche e promesse di risarcimenti a piè di lista che rischiano di provocare un brusco risveglio post elettorale al nostro Paese. Nessuno sembra voler fare i conti con il cambio di fase del quale siamo ormai diventati  protagonisti più o meno consapevoli. Vecchia o nuova, la cosiddetta normalità non esiste più. Imprese e lavoratori sono con le spalle al muro.

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Amazon. Un po’ Dottor Jekill, un po’ Mister Hide….

La verità è una sola ma ha molte facce come un diamante, diceva Gandhi. Amazon è una multinazionale anch’essa con molte facce. E, per la sua dimensione, per la sua capacità di presentarsi e di muoversi in settori diversi, è sempre sotto i riflettori. Sia quando innova che quando entra in conflitto con il mercato, con i concorrenti e, a volte, con gli stessi Stati dove il suo agire stride  in un contesto economico e sociale che non è disposto a misurarla con un metro diverso da quello  utilizzato per tutte le altre imprese.

Eppure non è un’impresa come le altre. Ha molte facce. Mentre negli USA continua la sua corsa (Amazon è salita del 12% al Nasdaq, il listino tecnologico Usa, dopo aver annunciato la sera del 28 luglio i risultati del secondo trimestre con ricavi in aumento del 7% a 121,2 miliardi di dollari, al di sopra delle attese degli analisti) nel vecchio continente fatica. Non solo per vincoli e sanzioni.

Giuseppe Caprotti ricostruisce la situazione (https://bit.ly/3v74k68) e spinge alla riflessione sul reale stato dell’azienda. Al centro del suo ragionamento il disequilibrio tra l’andamento dell’e-commerce negli USA (+8%) e l’Europa (-6%).  Scrive Caprotti: “Amazon in Europa  ha scelto di non puntare a forti profitti operativi, su cui dovrebbe pagare forti tasse, ma alla conquista di quote di mercato compensandole con i guadagni in altre aree geografiche e soprattutto tramite la forte redditività nel mondo di Amazon Web Services, la parte del gruppo che offre servizi di cloud computing.

Indipendentemente dai punti di osservazione possibili, prendo a prestito un concetto semplice da un comparto dove Amazon ha recentemente investito che spiega bene la filosofia generale dell’azienda: “Pensiamo che l’assistenza sanitaria sia in cima alla lista delle esperienze che devono essere reinventate”, ha affermato Neil Lindsay, vicepresidente senior che guida gli investimenti in campo sanitario di Amazon.
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