PAM-Panorama. La crisi delle grandi superfici continua..

Purtroppo non ci  sono ricette miracolose per affrontare la crisi delle grandi superfici. Conad con l’acquisizione degli Iper di Auchan ha cercato di ridurle reinventando o assegnando  spazi a terzi. Carrefour e Coop cedendoli ad imprenditori locali più flessibili e reattivi. PAM si trova in una situazione analoga e non saranno certo le illusioni di chi conviene sull’analisi della crisi ma non sulla cura necessaria.

L’avevo scritto immediatamente dopo l’annuncio dell’esternalizzazione di parte delle pulizie alla PAM nel mese di ottobre (https://bit.ly/3bpXmPg). Se si impedisce ad un’azienda di trovare strumenti complementari, efficaci e alternativi per attutire l’impatto dei conti negativi agitando il CCNL, il rischio è che il conto diventi sempre più salato.

Andrea Zoratti il nuovo Direttore Generale ha comunicato ai sindacati la gravità della situazione. 25 milioni di perdite nel canale ipermercati nel 2021. E questo nonostante i discreti risultati del canale super e le perdite contenute dei superstore. Ha poi confermato che nel primo trimestre 2022 le vendite sono ulteriormente calate. Non hanno certo aiutato gli aumenti dei costi a cominciare dalla bolletta energetica. La proiezione aziendale a dati attuali a fine 2022 non incoraggia facili ottimismi.

Pam è un’azienda importante controllata dalla Gecos, finanziaria delle famiglie Bastianello e Dina. Nel 2020 il gruppo ha registrato ricavi per 2,55 miliardi e un utile operativo di 36,7 milioni. Conta circa 9.500 collaboratori ed è presente in Italia con 970 punti vendita distribuiti in 12 regioni, suddivisi in Ipermercati Panorama, Supermercati e Superstore Pam, Convenience Store Pam local e Pam city, negozi di prossimità urbana. Appartengono al gruppo anche i discount In’s, con oltre 450 negozi. Leggi tutto “PAM-Panorama. La crisi delle grandi superfici continua..”

Carrefour/Conad. Il “dopo” è sempre in salita..

Qualche tempo fa sono stato invitato ad un incontro di manager del settore del credito a spiegare gli effetti di una ristrutturazione/riorganizzazione importante che avevo avuto modo di seguire in prima persona. La loro attenzione e le loro domande non erano tanto concentrate sugli aspetti più classici di queste  operazioni in sé che comprendono la preparazione, il coinvolgimento del management, la comunicazione interna e esterna e, infine,  il negoziato sindacale.

Queste fasi, chi è del mestiere le conosce bene, appartengono alla liturgia tradizionale e alla sua messa a terra che, pur con qualche variazione sul tema, è sempre uguale a sé stessa. Possono variare i numeri, gli interlocutori, i toni, gli impatti e la durata del conflitto e, infine, la qualità dell’accordo. Non la sostanza.

L’attenzione dei partecipanti  era tutta concentrata sul dopo. Sul clima interno post trauma della riorganizzazione. Sulla consapevolezza o meno delle nuove responsabilità, sulla metabolizzazione del cambiamento di taglia da parte di chi è chiamato a gestire il dopo. Per quanto possano essere complessi i passaggi durante un’operazione di acquisizione è il dopo che presenta il conto e  dimostra la qualità degli uomini che si sono ingaggiati  e quindi il successo complessivo dell’operazione stessa.

La frase che avevo utilizzato in quella presentazione l’ho poi rilanciata in uno dei miei commenti sul blog nelle fasi più acute dell’operazione Auchan da parte di Conad.  Tratta dal film La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo del 1966 nel quale il leader indipendentista algerino Ben M’Hidi dice al giovane Alì: “Cominciare una rivoluzione è difficile. Anche più difficile continuarla. E difficilissimo è vincerla. Ma è solo dopo, quando avremo vinto, che cominceranno le vere difficoltà”. Leggi tutto “Carrefour/Conad. Il “dopo” è sempre in salita..”

Grande Distribuzione e carenza di personale. Meglio evitare le semplificazioni eccessive..

Bei tempi quando i curricula si accumulavano sulla scrivania dei responsabili di punto vendita! Clienti e addetti con il passaparola coprivano i buchi di organico rapidamente e i part time a tempo determinato, magari con contratti week end, valutavano il loro interesse ad impegnarsi in un tipo di lavoro particolare come quello richiesto dalla Grande Distribuzione.

Se carenza c’è stata in passato si concentrava sugli specialisti: macellai, panettieri, salumieri tanto per citarne alcuni. Lavori che non si improvvisano. Quasi tutte le insegne però, per ovviare alla chiusura di quasi tutte le scuole professionali pubbliche dedicate, hanno sviluppato nel tempo propri centri di formazione e modelli organizzativi adeguati. Così, fino a poco tempo fa, trovare personale non è stato un grande problema. Età, sesso e titolo di studio non hanno mai rappresentato un vincolo. Anzi. Voglia di lavorare, disponibilità ad adattarsi a nastri orari variabili nella giornata e nella settimana hanno sempre costituito la caratteristica principale richiesta. Oltre ad alcune attitudini personali.

Lavorare con gli altri, per gli altri e attraverso gli altri richiede un buon carattere, una capacità di ascolto e una versatilità che sono specifici di questo mestiere. Non è un lavoro per tutti ma non mancano le soddisfazioni per chi vuole crescere ed è disponibile a percorsi di  formazione continua. Le aziende chiedono molto in termini di impegno ma  investono volentieri su chi si mette in gioco.

La pandemia e l’accelerazione che ne è seguita per la  ripartenza hanno rappresentato uno spartiacque? Nel comparto non è successo nulla di particolarmente significativo. Sembra si sia accentuata, in generale, una minore disponibilità al lavoro festivo, a forme spinte di part time, a orari spezzati come peraltro prevedono i modelli organizzativi costruiti sugli afflussi di clienti che non sono costanti né nella giornata né nella settimana.

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La solitudine dei numeri uno..

Nella mia carriera aziendale ne ho affiancati almeno una decina provenienti da esperienze e settori diversi tra di loro. E come direttore risorse umane ne ho allevati o almeno contribuito ad allevare al successo almeno altrettanti futuri CEO. Alcuni  di loro oggi sono in giro  per il mondo.

Lavorando fianco a fianco ne ho apprezzato spesso la visione, la capacità di sintesi, l’ego pubblico ma anche la fragilità e la sensibilità privata. Se operano in multinazionali, la difficoltà di conciliare carriera e famiglia. Non meno  le esigenze dei figli che crescono. Alcuni di loro li ho accompagnati, con dispiacere,  alla porta quando era scaduto il loro tempo. Con quasi tutti ho mantenuto un buon rapporto.

Negli ultimi anni di attività sui social, a causa anche delle restrizioni della pandemia,  ho avuto modo di conoscerne altri con i quali, pur non lavorandoci insieme,  sono riuscito a costruire un rapporto di stima e di rispetto. Ciascuno di loro, seppur diversissimi gli uni dagli altri, mi ha ricordato un passaggio di un libro “la solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano  che vinse, nel 2008, il premio Strega quando racconta: “Da ragazzi in porta finisce sempre il più piccolo, che, a orecchie basse, non osa ribellarsi alla condanna, oppure il più imbranato con i piedi, di quelli che solo davanti alla porta vuota ti sparano un tiraccio sbilenco che sfiora la traversa dalla parte sbagliata…

Ma poi c’è l’eccezione: quando in porta ci va uno che lo sceglie, uno che spalle alla rete sente di aver trovato il proprio posto nel mondo, e si sfrega le mani scrutando silenziosamente il campo. L’eccezione, appunto, anzi l’anomalia. “Che sia un po’ matto?”, si chiedono i compagni. Forse, e spesso come ogni matto, il portiere è un solitario. Anzi, qualcosa di più: è un uomo solo”. Ecco più che al centravanti o al regista che la retorica aziendalista rispolvera ad ogni occasione, i CEO che ho conosciuto mi sono sembrati, continuando il paragone calcistico, dei portieri. Leggi tutto “La solitudine dei numeri uno..”

Agire sul cuneo fiscale o detassare gli aumenti contrattuali? L’inflazione e la ricerca della terza via…

Nella diatriba che contrappone il Ministro del Lavoro Andrea Orlando al Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio, a margine della conferenza stampa di presentazione del Forum internazionale di Confcommercio a Villa Miani a Roma da buon democristiano non si è schierato. Anzi ha raddoppiato la posta proponendo di “agire sul cuneo fiscale e detassare anche gli aumenti contrattuali” pur sapendo che le due richieste, già estremamente costose in sé, non sono compatibili.

I francesi direbbero che in questo contesto “non si può avere il burro e i soldi del burro” ma Sangalli sa benissimo che, a differenza di Confindustria che i suoi CCNL li ha rinnovati a suo tempo e sta predisponendosi per non trovarsi in difficoltà di fronte alle prossime scadenze, Confcommercio non ha ancora rinnovato i contratti scaduti da oltre due anni ben prima che l’inflazione portasse in primo piano l’emergenza salari. E non li ha rinnovati per contraddizioni interne al sistema della rappresentanza non per altri motivi.

Detassare gli aumenti sarebbe, per l’importante contratto del Terziario, una via d’uscita semplice per un problema complesso perché riuscirebbe a rimandare così ad un futuro ipotizzato ottimisticamente meno “fragile” l’aggiornamento dei contenuti del contratto nazionale. Per i sindacati di categoria, ovviamente, questa dichiarazione viene accolta positivamente perché consentirebbe loro di sbloccare la situazione. E magari potrebbe trascinarsi dietro il resto dei rinnovi.

Il problema è che la natura confederale del contratto del terziario di Confcommercio disegna un perimetro di applicabilità che comprende settori che la pandemia non ha toccato, altri che stentano a riprendere e, altri ancora, vedi ad esempio la grande distribuzione, che pur non segnata dalla pandemia si appresta a convivere con una crisi dei consumi dovuta proprio alla ripresa inflazionistica. Un panorama che, purtroppo,  non consente facili scorciatoie. Leggi tutto “Agire sul cuneo fiscale o detassare gli aumenti contrattuali? L’inflazione e la ricerca della terza via…”

Grande Distribuzione. Non si rinnova il CCNL senza una visione comune del futuro del comparto

Nei numerosi  articoli dedicati  al mancato rinnovo dei CCNL che riguardano la GDO e più in generale il terziario di mercato ho spesso esaminato le variabili esogene che ne hanno impedito il rinnovo. Costi e tensioni difficili da gestire in questa fase per molte insegne, ripresa dell’inflazione, preoccupazioni per il futuro, scarso peso del sindacato, rischio di rincorsa in dumping tra contratti, ecc. Quelle endogene, altrettanto importanti, le ho tenute volutamente sullo sfondo.

Quelle di contesto bastano e avanzano. Però influiscono anche le altre proprio perché sono un derivato di difficoltà interne o di conseguenze di strategie organizzative radicate nelle diverse organizzazioni. I pesi sono ovviamente diversi.

L’ambizione di Confcommercio è mantenere, anche attraverso la sottoscrizione di un  CCNL di natura confederale, la rappresentanza esclusiva dell’intero  terziario di mercato (ben oltre il confine del commercio) insidiato da tempo da Confindustria di cui la GDO rappresenta solo una piccola parte mentre per Federdistribuzione l’obiettivo resta la certificazione della propria titolarità specifica come rappresentante esclusivo (o almeno maggioritario)  del comparto.

Due obiettivi che, se non trovano una composizione, individuando percorsi compatibili tra loro,  rendono ancora più complessi, e inevitabilmente poveri di contenuto,   i rinnovi stessi. Sarà interessante, se e quando sarà operativa  una  certificazione concreta della rispettiva rappresentatività reale, misurare chi delle due, tra Confcommercio e Federdistribuzione, può vantarne la titolarità a sottoscrivere il CCNL specifico dando per scontato che il problema non si pone, almeno per ora,  per il mondo COOP, dotato di un suo contratto nazionale.  E nemmeno per Confesercenti visto il suo scarso peso nel settore. L’entrata di Conad in Confcommercio, pur significativa in termini di apporto associativo, non credo sia sufficiente a mettere in discussione la leadership di Federdistribuzione anche se, sui numeri (tra quelli dichiarati e i reali) è meglio essere cauti perché qualcosa non quadra. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Non si rinnova il CCNL senza una visione comune del futuro del comparto”

Grande Distribuzione. Il cliente e le sue buone ragioni…

Il noto giornalista Gianni Cerqueti seppur involontariamente, ha riaperto una ferita che sembrava chiusa da tempo. Il cliente blandito con sconti, offerte e promozioni, studiato sulle sue frequenze di acquisto e di scelta, invitato a preferire un’insegna piuttosto che un’altra e a scegliere un luogo fisico anziché la fredda rete globale entra in un punto vendita di un discount sotto casa per acquistare un prodotto e non lo trova. Non certo un prodotto particolare, in promozione  o di difficile reperimento. Una semplice confezione di uova.

La dura reazione del giornalista nei confronti di chi gli ha fatto perdere tempo e pazienza finisce sui social e divide. Da una parte chi si schiera contro il giornalista ritenuto arrogante e presuntuoso. In realtà colpevole  solo di pretendere la presenza di un prodotto di uso comune che non può mancare in un supermercato.

Chi si schiera contro  ne  stigmatizza  la durezza del comportamento, la mancanza di sensibilità nei confronti dei lavoratori e dei responsabili coinvolti. Dall’altra parte chi si mette nei panni del giornalista-cliente e ne comprende la reazione. Ma come dovrebbe esprimere il proprio disappunto  un cliente insoddisfatto se deve semplicemente limitarsi a subire un disservizio o andare altrove? Cosa che peraltro succede nella maggioranza dei casi.

I clienti si perdono così. C’è una regola non scritta che recita: “Di un solo cliente dobbiamo preoccuparci veramente. Di quello che non parla”. Uno degli errori più comuni è quello di pensare che chi non si lamenta sia soddisfatto. Il problema è che per ogni cliente deluso che si prende la briga di farlo presente, ce ne sono almeno altri dieci che invece spariscono in silenzio, senza che si conoscano i motivi dell’insoddisfazione. Il 96% dei consumatori insoddisfatti non si lamenta, ma il 91% di essi semplicemente se ne va e non torna mai più secondo una recente ricerca. Inoltre un  consumatore insoddisfatto racconterà la propria esperienza negativa o utilizzando i social o ad amici e parenti. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Il cliente e le sue buone ragioni…”

Grande Distribuzione. L’inflazione morde clienti e dipendenti

C’è una notevole differenza tra le asciutte dichiarazioni del Premier Draghi che nascondono le preoccupazioni su ciò che presumibilmente ci attende e la folla vociante della politica che lo circonda che sembra preferire parlare d’altro. Sullo sfondo la campagna elettorale che ci attende e i segnali che, anche in Francia, la retorica populista domina la contesa nelle elezioni presidenziali in corso.

Alla base della risalita della Le Pen, inflazione, carovita e fallimento della politica economica del Governo. Non è difficile prevedere una polemica simile anche da noi alle prossime elezioni. Sullo sfondo, la guerra ai nostri confini, le conseguenze attese, la difficile uscita post pandemia.

La Grande Distribuzione fino a qui è arrivata in piedi. Lo spettro di una forte ripresa inflazionistica non lascia però dubbi su ciò che ci attende. L’intera filiera è in fibrillazione da mesi e, la situazione, potrebbe precipitare ulteriormente mettendo a rischio redditi e consumi. Per ora le richieste sostanziali della categoria e della filiera sono cadute nel vuoto.  I sondaggi però parlano chiaro. La principale preoccupazione in Francia come in Italia è il potere d’acquisto.

Siamo così in presenza di un evidente paradosso. Le imprese hanno ragione ad essere preoccupate e caute.  Non vogliono caricarsi di costi e, contemporaneamente, i lavoratori hanno le loro buone ragioni essendo i CCNL scaduti da anni. Rita Querzè rilancia il tema sul Corriere  (https://bit.ly/3DVO5Mm). Sei lavoratori su dieci sono senza rinnovo contrattuale. Nel terziario e nella grande distribuzione sono oltre tre milioni al palo. E, all’orizzonte, non c’è nulla di concreto.

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Grande Distribuzione. Le borse della spesa si riempiono anche con l’innovazione…

Nella Grande Distribuzione l’innovazione vera costa e non è alla portata di tutte le insegne. Però tutti possono, a loro modo, innovare luoghi, offerta e servizi. Clienti e dipendenti ne sono coinvolti, a seconda dei diversi progetti, trasformandosi sempre più  in protagonisti attivi anche perché la dimensione online, pur ancora marginale,  incombe e spinge ad un miglioramento continuo.

In fondo è nella natura del comparto. Le insegne, chi più chi meno, si muovono. Le principali, ovviamente,  segnano il campo da gioco. Le altre seguono, copiano, sperimentano, aggiungono valore ciascuna a modo proprio. Tre recenti esempi tra i tanti che mostrano interessanti cerchi concentrici con un unico obiettivo: cambiare per continuare a crescere. C’è chi punta al bersaglio grosso e quindi a cambiare in profondità, chi al back office per migliorare le performance nella gestione dei punti vendita e chi al front  office intervenendo su addetti e servizi per attrarre e intrattenere  i clienti.

Il Gruppo Carrefour partecipa al lancio di Dastore, un fondo di venture capital.  Punta a partecipazioni di minoranza in startup emergenti attive nel settore del retail digitale. L’iniziativa si inserisce nella strategia digitale 2026 di Carrefour annunciata dal CEO Alexandre Bompard, che mira a trasformare la catena di supermercati e ipermercati francese in una Digital Retail Company.

Il fondo, lanciato insieme alla società europea di venture capital Daphni, mette 80 milioni di euro per startup emergenti ad alto potenziale (non solo in Francia) con focus su nuove attività di ecommerce, dati e strumenti digitali nel retail, logistica e supply chain. Elodie Perthuisot, Direttore Esecutivo di E-Commerce, Data and Digital Transformation del gruppo Carrefour ha dichiarato che: “Investire nelle startup è un’opportunità per Carrefour di accelerare la propria trasformazione digitale, aiutando allo stesso tempo le aziende in fase iniziale a crescere più velocemente”. Sostanzialmente un volano di innovazione a 360°. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Le borse della spesa si riempiono anche con l’innovazione…”

Grande Distribuzione. Perché il CCNL rischia di non rinnovarsi tanto presto…

Ci sono due regole non scritte nelle trattative  sindacali ai diversi livelli che i rispettivi negoziatori dovrebbero sempre ricordare. Mai spingersi in situazioni senza vie d’uscita è la prima regola. La seconda è che il negoziato in sé deve essere complessivamente più conveniente della semplice imposizione della propria volontà e strategia  (nel breve o nel lungo periodo). Altrimenti non serve negoziare.

Nella GDO ci sono alcuni evidenti elementi ostativi al negoziato nazionale che si dovrebbe aprire sul fronte Confcommercio. Il primo riguarda l’aver accettato nel rinnovo precedente, da parte sindacale, la richiesta di Federdistribuzione di avere un proprio contratto nazionale in dumping minando così la rappresentatività negoziale della confederazione. Quel contratto, oggi scaduto, ha determinato un elemento di sperequazione tra imprese in competizione sullo stesso mercato difficile (pur non impossibile)  da superare. E non ha impegnato affatto Federdistribuzione ad una maggiore disponibilità sui rinnovi futuri. Una classica situazione senza via d’uscita. 

L’altro elemento, affatto secondario, è rappresentato sia dal percorso che dalle code dell’operazione di acquisizione dei PDV di Auchan Retail da parte di Conad. Una parte del sindacato di categoria ha pensato possibile sottrarsi al negoziato come reazione alla intransigenza del Consorzio impegnato a progettare e portare a termine il passaggio dei punti vendita dell’azienda francese per distribuirli e integrarli nelle sue  5 Cooperative principali e ai diversi partner commerciali  coinvolti dall’intervento dell’antitrust.

Un’intransigenza uguale e contraria messa in campo non supportata però né da rapporti di forza favorevoli né da una strategia lungimirante. Tanto da rendere evidente l’inutilità del negoziato per il Consorzio alle condizioni pretese. E questa autoesclusione ha portato con sé due inevitabili effetti negativi. Ha reso irrilevante l’interlocuzione dell’intero sindacato di categoria nel processo di riorganizzazione e di rilancio di Conad, principale azienda del comparto anche di chi, come la Fisascat CISL, ha cercato in tutti i modi di governarne gli effetti e le ricadute principali.  Contemporaneamente questa vicenda pesa, inutile nasconderlo, sul rinnovo del CCNL.  Innanzitutto quello gestito da Confcommercio a cui Conad ha da poco aderito e, a cascata, tutti gli altri CCNL scaduti che restano inevitabilmente in attesa.

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