Sui prezzi la ricreazione è finita. Sta suonando la campanella.

Patrizio Podini è una persona seria. È stato il primo a mettersi di traverso quando tra i fornitori qualcuno sembrava volesse anticipare aumenti a suo parere non sempre giustificati ma non ci ha messo molto a capire che la situazione stava prendendo una brutta piega. Il patron di MD espone nell’intervista al Mattino tutto il suo pessimismo rispetto a quello che ci aspetta nei prossimi mesi. Aumenti consistenti interesseranno praticamente tutta la filiera agroalimentare.

Il suo grido di allarme chiama direttamente in causa il Governo con l’obiettivo di evitare che quello che appare ad alcuni osservatori come un elemento che attraverserà il 2022 si trasformi in un dato destinato a proseguire nel tempo innescando inevitabilmente una spirale di aumenti prezzi/salari che rischia di far deragliare le speranze di ripresa del Paese. La linea Maginot improvvisata dalle insegne, più preoccupate dalla concorrenza che dal problema in sé, sta cedendo rovinosamente. Resistere alle richieste indipendentemente dalle loro ragioni si sta dimostrando un errore perché non se ne percepisce la concreta efficacia vista la sensazione dei consumatori che la situazione sia ormai sfuggita di mano.

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Vade retro e-commerce. La guerra personale di Paul Magnette in Belgio

Per cercare di capire quale futuro prossimo attende il comparto della distribuzione  non serve lanciarsi in avventate profezie a lungo termine. Basta osservare cosa succede intorno a noi. Cogliere negli avvenimenti che attraversano i Paesi vicini quei segnali che indicano possibili traiettorie sociali ed economiche.

Si segnalano nuove ipotesi di concentrazioni indispensabili per competere e un decisa affermazione dei discount con inizio di possibili disagi sociali causati dall’inflazione. Fino ad arrivare ai tentativi di inquadrare nuovi lavori in vecchi schemi. In Belgio una levata di scudi contro l’ecommerce segnala la nascita di una forma di neoluddismo 4.0 destinato ad avere riflessi anche altrove. Non è un caso che Amazon, ad esempio, si stia infilando in tutte le lobby possibili sia in Europa che in alcuni Paesi chiave del suo sviluppo futuro. Una misura preventiva comprensibile vista l’aria che tira.

Il futurista Marinetti nel 1930 se la prese con gli spaghetti. Il padre del futurismo propose “l’abolizione della pasta asciutta assurda religione gastronomica italiana”. La lotta contro i mulini a vento, dal don Chisciotte di Cervantes in avanti ha sempre avuto un certo fascino. La stessa fine, credo attenda, la proposta di   Paul Magnette, presidente del Partito socialista Belga.

Anche lui si  è dato un obiettivo ambizioso: “il Belgio dopo aver eliminato il nucleare deve diventare il primo Paese senza e-commerce e solo con negozi veri”. Non va dimenticato che proprio le rigidità sulle liberalizzazioni volute dai socialisti in Vallonia hanno indubbiamente favorito il commercio elettronico. Ma tant’è. Quindi adesso tocca all’e-commerce.

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Affaire Auchan/Carrefour. I fondi chiedono di pesare nella governance.

L’operazione continua  sottotraccia ma le difficoltà aumentano. In gioco c’è la governance della nuova realtà. Carrefour è però sempre nel mirino mentre gli analisti più attenti avanzano dubbi. Alcuni degli stessi  fondi interpellati da Lazard avrebbero  già gettato la spugna.

Ho seguito la “fuga” di Auchan dal nostro Paese e la cessione a Conad, non mancherò di documentarmi e di proporre le mie riflessioni anche su questa vicenda che ha conseguenze evidenti anche sulle attività di Carrefour nel nostro Paese.

C’è innanzitutto da sottolineare un’analoga spregiudicatezza nei comportamenti  di Auchan. In Italia come in Francia. Da noi nell’aver  trovato un modo originale di sparire senza lasciare traccia. Oltralpe per la pretesa di individuare finanziatori disposti a partecipare ad  un’operazione di quelle dimensioni senza però farli entrare nella stanza dei bottoni. C’è una manifestazione  di forza e di sicurezza  che nasconde una debolezza di fondo.

La AFM è divisa. C’è chi crede nell’operazione e chi ne teme la complessità. Soprattutto le conseguenze. Questa volta c’è da metterci la faccia. Non certo da nascondersi dietro altri come hanno fatto da noi. La diffidenza di alcuni dei  fondi coinvolti è sulla reale capacità manageriale necessaria per la dimensione dell’operazione, la sua gestione e le sue ricadute. In poche parole ne vogliono la governance.

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Commercio e associazioni di categoria nella pandemia…

La crisi dei partiti e la necessità di una loro affermazione su basi nuove pone sullo sfondo l’identica crisi che attraversa il ruolo della rappresentanza sociale ed economica del Paese. Alcune molto più di altre stanno marciando decise verso l’irrilevanza. Nel commercio e nei servizi la situazione è sotto gli occhi di tutti.  La gestione della pandemia ha però solo sottolineato una tendenza già in essere.

È così in Europa e nei luoghi che contano dove sono le lobby vere che giocano un ruolo decisivo sia direttamente che trasversalmente lasciando alla rappresentanza tradizionale solo  la consumazione di vecchi  riti e liturgie che poco incidono sulla vita  reale  dei rispettivi associati. In crisi, oltre per l’evanescenza dei risultati conseguiti, sempre più dettati dalla  politica e sempre meno dall’iniziativa associativa, è anche il rapporto tra  centro  e periferie. Queste ultime sempre più in affanno con i rispettivi associati alle prese con problemi quotidiani di sopravvivenza quindi lontani da un modo di porsi inefficace.

Nel commercio e nei servizi più che altrove l’incapacità di cambiare vecchie traiettorie organizzative, ormai datate e di mettere così in discussione i propri tradizionali confini associativi erosi da un contesto socioeconomico profondamente cambiato ben prima della pandemia, ci  si è limitati a sciorinare ovvietà e ad invocare “tavoli e confronti” più per rassicurare le rispettive basi che per interpretare una nuova visione del ruolo.

Quasi nessuna ha capito per tempo che un’epoca si è chiusa. E che l’inadeguatezza nel “capire il nuovo e guidare il cambiamento” è esiziale. Ovviamente non tutte reagiscono allo stesso modo. Dove gli imprenditori partecipano e contano nelle decisioni interne la reazione in parte c’è stata. La protesta ha portato a qualche risultato e a correggere la rotta. Sempre poco, ovviamente,  perché l’impatto della pandemia sta contribuendo a ridisegnare attività, priorità, organizzazioni aziendali e prospettive del business. Dove però sono le burocrazie autoreferenziali, come in Confcommercio,  a guidarne l’azione non si è andati al di là della richiesta dei ristori, della guerra contro lo smart working o la difesa dello status quo vedi i balneari e le farmacie. Battaglie di retroguardia tese a ricompattare vecchi equilibri animati dalla speranza che, passata la nottata, si sarebbe potuto ritornare alla situazione precedente. Leggi tutto “Commercio e associazioni di categoria nella pandemia…”

La grande distribuzione e il lavoro. La fatica di andare oltre il suo costo…

L’inflazione è una brutta bestia. Non colpisce solo il consumatore e la filiera nel suo complesso. Colpisce anche il lavoro dipendente di tutte le attività a monte e a valle. Scordarselo relegandolo ad un problema secondario è un errore. Rilancia inevitabilmente la questione salariale e del lavoro  anche nella Grande Distribuzione. Lo dico pur essendo convinto che questo elemento manca completamente nelle riflessioni dei CEO delle diverse insegne.

Il rinnovo dei CCNL è bloccato da oltre due anni. Né Confcommercio né Federdistribuzione sembrano in grado di fare proposte. Confesercenti e Coop girano anch’esse alla larga. Sul tema c’è una grave caduta di autorevolezza delle associazioni datoriali. È anche una questione di serietà. Non si firmano scadenze e impegni senza rispettarne i termini. Altrimenti sarà inevitabile arrivare al salario minimo di legge.

E così, anziché sfidare il sindacato di categoria sui temi decisivi che accompagneranno i prossimi anni di vigenza del CCNL, si trincerano tutti dietro ad un facile  “NO” al rinnovo pur mascherandolo con argomentazioni legittime quanto fuorvianti. Nessuna organizzazione fa il primo passo per paura di essere scavalcata (al ribasso) dall’altra. È il frutto avvelenato  dell’aver voluto fare del CCNL argomento di concorrenza associativa senza essere in grado di gestirne le conseguenze.

Sui temi del lavoro nella GDO le idee sono poche e confuse. Alle imprese spaventate dai costi non viene proposto nulla di innovativo. E quindi prevale la preoccupazione e l’incertezza sul futuro prossimo che chi riveste responsabilità politiche nelle rispettive associazioni si limita a cavalcare. È chiaro che esiste un problema di fondo che attraversa tutto il mondo del lavoro dipendente. Leggi tutto “La grande distribuzione e il lavoro. La fatica di andare oltre il suo costo…”

Affaire Auchan/Carrefour. Adesso ci prova la Banca Lazard….

Mentre la nostra vocazione al nanismo imprenditoriale  ci vincola nel rissoso cortile di casa, francesi e tedeschi si stanno guardando intorno. Il campo da gioco è il mondo. Industria, telecomunicazioni e trasporti segnalano diversi passaggi di mano e rafforzano la presenza dei due Paesi sul continente.

Nella grande distribuzione i grandi player rinserrano le fila mentre aleggia lo spettro di Amazon e di quella che potrà essere la sua prossima mossa. Spagna e Italia sotto i riflettori. L’azienda di Seattle è brava a mostrare l’albero continuando però  ad immaginare la foresta. Nel suo ecosistema potenzialmente può entrarci di tutto. Questa è la sua vera forza. Aldi sta studiano come accelerare la propria crescita, LIDL come mantenere la sua leadership continentale. I discount sanno che le incertezze causate dalla pandemia e dai rischi di ripresa dell’inflazione giocano a loro favore e che il 2022 sarà il loro anno. Quindi ne vogliono approfittare.

In Francia si accendono i riflettori. Cinque giocatori storici. Leclerc, Carrefour, Auchan, Intermarché, Système U e due outsider tedeschi come Aldi e Lidl che nel 2021 hanno aumentato il loro clienti rispettivamente di 900.000 e 400.000, a cui si aggiungono alcuni nuovi arrivati  come Action e Costco. La competizione  è quindi molto agguerrita. Alexandre Bompard, CEO di Carrefour, tra l’altro lo ripete da tempo che il mercato della distribuzione francese deve concentrarsi. Carrefour è riuscita con grande difficoltà a recuperare la redditività  in Francia. Auchan è ancora in difficoltà.

In questo contesto sono però i “vitigni” a tenere banco. Secondo i giornalisti  Ivan Letessier e Marie Bartnik de “Le Figaro” avrebbe ripreso vigore l’operazione Auchan/Carrefour.  Nome in codice  sul documento riservato: “Merlot”. È la  missione della banca d’affari Lazard. Consentire l’acquisizione di “Pinot” (Carrefour), da parte di “Sauvignon”, (Auchan). L’obiettivo è convincere alcuni fondi di investimento a finanziare questa operazione. “Il “Merlot” diventerebbe il principale distributore in Francia con oltre il 29% di quota di mercato in Francia e una presenza internazionale unica in 17 paesi”, spiega il documento riservato inviato da Lazard ai fondi di investimento individuati. I viticoltori francesi (e non solo) però ne sono certi. Pinot e Sauvignon non consentono di ottenere il Merlot. Leggi tutto “Affaire Auchan/Carrefour. Adesso ci prova la Banca Lazard….”

MD. Un discounter altoatesino che da Napoli sta risalendo la penisola..

Eurospin non è il solo discount a cercare di tenere testa ai tedeschi di Lidl. In terza posizione e con alle caviglie Aldi che prosegue la sua corsa solitaria c’è anche MD. Con una quota di mercato, secondo  Nielsen che supera il 15% nel canale, un fatturato intorno ai tre miliardi, 8000 dipendenti in crescita a colpi di mille in più ogni anno, che punta a superare i 1000 punti vendita, si fa largo cercando una sua originalità. Fiore all’occhiello sarà il nuovo polo logistico di Cortenuova all’avanguardia per il canale.  Più di un terzo degli investimenti vanno lì.

Sul piano della comunicazione ha scelto di parlare  al Paese di tutti i giorni. Non solo quello che fatica ad arrivare a fine mese. L’obiettivo (interessante per un discount) è quello di arrivare a proporre  vera qualità al giusto prezzo. Non solo il risparmio. Si muove in modo originale e equidistante  dalla modernità e dalla convenienza cittadina dei tedeschi che puntano ad un mercato più giovanile e alle parrucche intelligenti di Eurospin. Più da supermercato di vicinato. Si vede la mano di chi viene dal mestiere.

E poi parte dal sud. O meglio ha scelto il sud come luogo di elezione. Nella mia personalissima classifica di fine anno avevo  segnalato come importante la presenza nella GDO di un’imprenditoria meridionale sempre più competitiva e preparata interpretata da due leader regionali come Multicedi e Arena leader in Campania e Sicilia. Ne aggiungo un altro. Un imprenditore che ha scelto il sud, un quarto  di secolo fa, pur essendo del nord.

Di un nord però che non c’entra nulla con le aree metropolitane, le multinazionali tascabili, l’asse dell’A4 e le università che competono con le migliori del mondo. Un nord di confine, riconosciuto sempre come  chiuso nei propri valori e nelle proprie convinzioni  ma curioso, attento  e sensibile verso ciò che dovrebbe contare sul serio.

Avendo dovuto fare i conti con  una fantastica nonna austriaca dolce come una Sacher-Torte ma altrettanto  inflessibile nei suoi convincimenti e nei suoi pregiudizi mi ha indubbiamente incuriosito  il profilo di  un personaggio come Patrizio Podini da Bolzano. Patron di MD. Il terzo discount del mercato e il secondo italiano dopo Eurospin.

Per quello che è riuscito a costruire in questi decenni lo metto sicuramente tra i principali protagonisti della Grande Distribuzione del 900 che ne hanno segnato la nascita e la crescita pur da punti di partenza e di prospettive differenti: Bernardo Caprotti, Marco Brunelli, Giancarlo Panizza, Tito Bastianello. Tutti del nord e, più o meno,  tutti acerrimi nemici tra di loro. Buona parte delle fortune e dei problemi del comparto nascono e si  consolidano proprio grazie a quei protagonisti. Nel bene e nel male.

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Grande Distribuzione e filiera alle prese con l’inflazione. E se si provasse a riavvolgere il nastro?

Il dibattito che è seguito al mio pezzo (https://bit.ly/3fpQQdr) è stato decisamente costruttivo. A parte il numero impressionante di visualizzazioni sui differenti social che testimoniano  l’interesse sul tema in tutta la filiera agroalimentare e tra i frequentatori del blog, la discussione  che si è generata dimostra la possibilità di un approccio diverso, equilibrato e serio che non andrebbe disperso.

I like e i rilanci di Giorgio Santambrogio Vice Presidente di Federdistribuzione e di Francesco Pugliese Vice Presidente di Confcommercio testimoniano la preoccupazione delle leadership del comparto e la volontà di ricomporre il quadro di riferimento prima che sia troppo tardi. Aggiungo due interventi che, a mio parere, propongono uno spirito costruttivo. Fabrizio Podini di MD e Luigi Scordamaglia di Federalimentare. Rappresentanti autorevoli delle pur diverse quanto legittime ragioni in campo.

Il cav. Podini ha aperto il suo contributo al dibattito sul blog con: “ Gli aumenti all’industria vanno concessi con parsimonia e in un tempo breve. Siamo un po’ allo sbando. Voglio far presente a chi ci legge che oltre all’aumento che verrà concesso all’industria dovremo anche calcolare i costi che le nostre aziende stanno subendo (Energia Trasporti Spese generali) che ammontano almeno il due per cento”.

Il successivo intervento  del presidente Scordamaglia non si è fatta attendere: “Un’analisi della situazione assolutamente condivisibile nell’articolo e nei successivi commenti. Nervi saldi e nessuna fuga in avanti di chi vuol far credere di essere meglio degli altri tagliando i prezzi quando tutto aumenta. Parlando con una voce il più possibile univoca di filiera perché è vero che l’aumento dei costi riguarda tutti: produzione agricola, industria e gdo.” Leggi tutto “Grande Distribuzione e filiera alle prese con l’inflazione. E se si provasse a riavvolgere il nastro?”

Grande Distribuzione e inflazione. In attesa della tempesta perfetta.

Quando gli elefanti litigano è sempre l’erba ad andarci di mezzo.
Proverbio  Africano

Il CEO di Conad ci aveva provato. In autunno ai primi segnali provenienti dall’industria alimentare ha buttato lì la proposta  di affrontare il tema insieme all’industria prima che la palla di neve si potesse trasformare in una valanga. Non so con quanta convinzione vista l’abitudine a muoversi in ordine sparso delle insegne nel comparto.

Costi, margini e prezzi finali al consumatore sono vasi comunicanti. La sostanziale lunga stabilità della fase precedente al Covid e l’incertezza sui tempi che si prospettavano avrebbero consigliato grande cautela nel trattare la materia. Probabilmente, nelle intenzioni di  Federdistribuzione, Coop, Conad e Centromarca, c’era questa preoccupazione quando, poco dopo,  hanno scritto una lettera a Mario Draghi, Presidente del Consiglio, per aprire un tavolo di lavoro istituzionale sui rincari dei prezzi delle materie prime (https://bit.ly/3I2OOfq). Individuata come la strada maestra si è però rivelata un vicolo cieco. Nessun tavolo è stato convocato. Nessuno incontro risolutivo è mai stato previsto. Almeno fino  ad oggi.

Per l’industria, tra l’altro, mi sembra ci sia poco discutere. “Non è più possibile che alcune catene della GDO continuino ad ignorare le legittime richieste di riconoscimento degli aumenti di costo avanzate dalle aziende della filiera agroalimentare italiana” ha dichiarato Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, che ha aggiunto: “dall’energia aumentata fino al 500%, ai film plastici, cartone, vetro, imballaggi in genere, migliaia di PMI della filiera agroalimentare italiana sono in ginocchio e rischiano la chiusura. Quindi per Federalimentare più che aprire un confronto nella filiera c’è da procedere con gli adeguamenti.

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Carrefour Italia e franchising. Adelante, Pedro, con juicio, si puedes…

“Avanti, Pedro, con giudizio, se puoi”, l’espressione diventata proverbiale che Alessandro Manzoni mette in bocca al Gran Cancelliere di Milano Antonio Ferrer che si rivolge al cocchiere è, in estrema sintesi ciò che i sindacati hanno ribadito a Cristophe Rabatel CEO di Carrefour con la sottoscrizione  del recente accordo sul franchising e sulla gestione degli esuberi. Pandemia  e crisi delle grandi superfici in generale hanno certamente spinto all’intesa. Aggiungo  che la preoccupazione di non lasciare aperta una vicenda in presenza di tensioni sulla proprietà del Gruppo Carrefour e la volontà della stessa azienda di concentrarsi sul piano di rilancio evitando problemi sindacali nel 2022 hanno determinato, tutto sommato, un risultato significativo.

Il franchising, indipendentemente dalle scelte di Carrefour, sta diventando sempre più importante nella GDO. Per questo non può  più essere esclusivamente considerato  un luogo destinato al cosiddetto lavoro povero come elemento strutturale del business. È, al contrario, una realtà in crescita che deve prendere sempre più coscienza di sé, del proprio ruolo e delle responsabilità collegate. Non è però così dappertutto.

Alcune imprese hanno scelto questa strada per scaricare le loro contraddizioni spostando parte del rischio di impresa sul lavoro. L’adozione di forme contrattuali spurie ne è una dimostrazione evidente. Aggiungo che  nel comparto ci sono stati diversi segnali negativi, anche sul piano commerciale e gestionale,  che hanno addirittura costretto insegne importanti a rescindere i contratti in essere con loro franchisee. Le tensioni attengono  ai costi di gestione, alla capacità o meno di allineare brand e politiche commerciali, ai rapporti spesso imposti con le centrali di acquisto e alla logistica. C’è quindi sempre il rischio, sollevato da alcuni esperti, che franchisor e franchisee nella GDO, viste le dimensioni del business, prendano percorsi paralleli destinati spesso a non incontrarsi confondendo così il consumatore finale.

La multinazionale francese ha però deciso, su questa scelta, di impostare la sua strategia di uscita dalla crisi e giocare buona parte delle sue carte. Non solo in Italia.
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