Conad. Alla conquista dello Spazio….

Mi è sempre piaciuto visitare le fabbriche nei vari reparti così come girare per i punti vendita delle diverse insegne. Soprattutto quando sono attraversati da cambiamenti e innovazioni. Parlare con le persone, vedere come “vivono” questi cambiamenti è importante per capire se, il loro contributo, sarà positivo o difensivo.

In un punto vendita oltre a questo ci sono i clienti che, manifestando il loro punto di vista, confermano o meno quello che gli “esperti” hanno progettato. Il successo di un punto vendita passa tutto da qui. Lo spirito collaborativo e proattivo dei dipendenti, il loro entusiasmo,  creano il clima necessario nel quale, il contenuto, la convenienza e la comunicazione costituiscono l’elemento di attrattività del negozio piccolo o grande che sia.

Visitare lo Spazio Conad di Vimodrone era quindi, per me, molto importante per capire, al di là della presentazione formale delle novità, se, il dopo Auchan poteva considerarsi cominciato. Soprattutto se e quanto il lockdown avesse o meno messo piombo alle ali nella velocità del cambiamento necessario. La mia impressione è che il passaggio definitivo nella nuova fase con questa operazione di Vimodrone sia sostanzialmente avvenuta.

Aver scelto l’hinterland milanese per il debutto del nuovo Spazio Conad è stata una sfida nella sfida. Milano, a mio parere, non è ancora nelle corde profonde di Conad. C’è una specificità che va compresa prima di agire. Esselunga domina incontrastata mantenendo a debita distanza i concorrenti, Carrefour con l’arrivo di Christophe Rabatel proverà ad accelerare il suo rilancio, i discount stanno crescendo.  Da non sottovalutare che l‘incertezza sulle prospettive ha già portato al congelamento del centro commerciale Westfield (un villaggio dello shopping da 155 mila metri quadri) a Segrate almeno per i prossimi 12-18 mesi. Leggi tutto “Conad. Alla conquista dello Spazio….”

L’ENI alla scoperta dei negozi di vicinato.

Allora c’era Paolo Scaroni alla testa dell’ENI. Oggi siamo in un’altra era geologica. Però è singolare rileggere con quale veemenza il mondo dei distributori di carburante si scagliava  contro la Grande Distribuzione.

Addirittura nel 2011 il più grande gruppo petrolifero italiano, presentò un ricorso urgente al Presidente della Repubblica, chiedendo l’annullamento della delibera che consentiva l’apertura di un nuovo impianto (Conad) a Cesena. La  motivazione addotta fu il “gravissimo pregiudizio nell’operatività concorrenziale degli impianti di distribuzione di carburante in Cesena…”. Un gruppo nazionale con 4542 distributori nel 2011presentò quindi un ricorso contro un altro che di pompe allora ne contava solo 11 (da Gdoweek del 1 agosto 2011).

In quegli anni aprire alla grande distribuzione la vendita dei carburanti provocò serrate e forti manifestazioni di protesta dei benzinai. Poi tutto, pur a fatica, rientrò. Adesso  c’è Claudio De Scalzi e quei tempi sembrano lontanissimi.

L’ENI cambia strategia e decide di entrare, di fatto, nella Distribuzione Alimentare (https://bit.ly/3lGzXNn) seppure in punta di piedi. Il lockdown ha riportato in primo piano i negozi di vicinato e quindi l’idea di riconvertire le stazioni di servizio Eni (a cominciare dalle città) in stazioni multiservizi ha preso forma. È il progetto “Eni Café Emporium”. Leggi tutto “L’ENI alla scoperta dei negozi di vicinato.”

Fragole e sangue…

Fragole e sangue. È il titolo italiano di un vecchio e famoso film americano degli anni 70. L’originale (meno cruento ma significativo) era “The Strawberry Statement”, cioè “La dichiarazione delle fragole”, dove le fragole erano gli studenti in rivolta nelle università. Prendeva spunto da una affermazione di un rettore americano che, infastidito dalle domande dei giornalisti sulle rivendicazioni degli studenti rispose: “Non mi preoccupo degli studenti più di quanto mi preoccupo delle fragole”.

Mutatis mutandis sembra essere stato lo stesso sentimento che ha animato l’attività del titolare della StraBerry, una startup da 7, 5 milioni di euro, nei confronti dei propri collaboratori. Siamo alle porte di Milano e sul banco degli imputati questa volta non c’è finito il “solito” discount brutto e cattivo ma, loro malgrado, rischiano di finirci altre insegne note per la loro attenzione alla filiera a monte e per il rispetto dei lavoratori occupati. E senza alcuna responsabilità. 

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Amazon preoccupa solo chi non vuole cambiare

Amazon prosegue la sua crescita. La realtà è sempre più concreta delle traiettorie studiate a tavolino. I fatti ci dicono che online e offline, a volte ibridandosi più o meno convintamente,  inseguono i propri modelli di consumo.

Nei tempi lunghi il “negozio” fisico continuerà ad esistere, questo è evidente, ma  solo se saprà evolvere. Per molti resterà  il fulcro principale della propria attività pur in una logica omnichannel, per altri, vedi Amazon o Alibaba per citare i due campioni più significativi, sarà complementare. Parte di un ecosistema completamente diverso. Lo si capisce dalla preoccupazione costante che anima i giganti della Grande Distribuzione mondiale.

Brittain Ladd scomoda la famosa teoria della trappola di Tucidide per dimostrare i rischi dell’ossessione dell’azienda egemone (Walmart) nei confronti di quella emergente (Amazon). Le stesse date di nascita della prima (1962) e della seconda (1994) sono lì a dimostrare che la “lepre” giovane corre comunque più veloce di chi la insegue e che la cultura, l’organizzazione, il management e le radici profondamente radicate nel novecento costringono Walmart a rispondere colpo su colpo  al nuovo che avanza sacrificando così, sull’altare di quell’ossessione, energie, visione e risorse.

Walmart teme per il futuro del proprio business, lo presidia e tenta di insidiare quello dell’odiato “nemico”. Ne ha colto, forse più di altri,  la pericolosità per l’intero retail tradizionale se resta confinato nei propri recinti.  Amazon, al contrario, negli USA, danza intorno al gigante di Betonville schivandone puntualmente i colpi. Leggi tutto “Amazon preoccupa solo chi non vuole cambiare”

Il futuro della Grande Distribuzione non è “solo” nel punto vendita..

Non credo che si possa immaginare il futuro della Grande Distribuzione limitandosi a ciò che una singola insegna può o dovrebbe fare. Il dibattito però sembra  puntare sempre lì. Più tecnologia, maggiore consapevolezza nel consumatore, consegna a domicilio, sostenibilità, etica nel business, contenimento del  costo del lavoro, qualità dell’assortimento, promozioni, ecc. E, come auspicio condiviso, maggior integrazione nelle filiere e rispetto per ciò che sta a monte.

Chi più, chi meno, su questa prospettiva si sono ormai incamminate quasi tutte le catene più importanti.  È certamente un percorso necessario ma non sufficiente. Tutte le insegne, come si dice in questi casi, sono concentrate sull’albero correndo così il rischio di perdere di vista la “foresta”.

E, nella foresta, ci metto il valore e il futuro della filiera agroalimentare italiana con il peso che la GDO potrebbe giocare o meno, il mercato globale, le concentrazioni come leva indispensabile per crescere, le alleanze su Paesi o su progetti internazionali, il ruolo pubblico/privato nella possibile promozione del Made in Italy, gli investimenti e le strategie necessari per competere con i giganti della rete, la formazione di un management adeguato a queste sfide.

Quante insegne nazionali sono in grado di rispondere (da sole) su questi terreni? Alcune di loro sono indubbiamente molto performanti nei territori dove sono insediate impegnate a giocare una partita pur importante, sulla qualità del servizio, sulle promozioni, sulla convenienza e sui costi. Su questo terreno vince però l’aggressività, non la visione.  Leggi tutto “Il futuro della Grande Distribuzione non è “solo” nel punto vendita..”

La grande distribuzione alla disfida dell’anguria…

Devo dire che mi ha colpito la reazione un po’ esagerata tra i retailer sull’anguria ferragostana provocata dalla promozione di Eurospin (1.200 punti vendita, 15.000 dipendenti, con un fatturato 2019 intorno ai 7 Miliardi di euro). Un grande discount italiano già sulla breccia con  operazioni che fanno parlare molto.

Non tanto da chi da tempo ha deciso che il nemico è l’intera grande distribuzione che, difenderebbe i propri interessi, “affamando” gli agricoltori, quanto da parte di esponenti della GDO stessa forse preoccupati di essere accumunati alla supposta spregiudicatezza dell’azione proposta. Secondo alcuni osservatori  un’azienda che si comporta così rischia di trovarsi più o meno accusata di complicità nello sfruttamento dei lavoratori agricoli e di coinvolgere tutto il comparto nello stesso giudizio.

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Grande distribuzione e multinazionali. A ciascuna la sua strategia…

Cambio di passo o cessione? L’articolo di Emanuele Scarci (https://bit.ly/2Dw45cw) lancia un allarme sul futuro di Carrefour in Italia che invita a riflettere. Personalmente non credo ai parallelismi con Auchan. Non bastano perdite simili  per giustificarli. Sono due aziende molto diverse tra di loro.

Il piano di Alexandre Bompard CEO del Gruppo sta funzionando. Le vendite sono in aumento in tutti i Paesi dove Carrefour è presente. Il fatturato a livello mondo è cresciuto del 7,8%. In Francia, le vendite hanno segnato un +4,3% con una crescita del 5,9% nell’alimentare e una caduta del 6,1 % nel non alimentare. L’Italia resta il fanalino di coda e Gerard Lavinay, ha fatto ciò che poteva fare. Le responsabilità della situazione vengono da lontano e i tempi necessari al giro di boa sono evidentemente più lunghi di ciò che la casa madre era disposta ad aspettare.

Da qui l’accelerazione che ha portato all’annuncio dell’arrivo dalla Polonia di Cristophe Rabatel. Quest’ultimo dipenderà direttamente da Alexandre Bompard quindi le decisioni che verranno prese saranno rapide e le responsabilità saranno necessariamente condivise al massimo livello. Nel bene e nel male. Non ci saranno dunque capri espiatori da poter scaricare.

Per il CEO di Carrefour è una scelta coraggiosa. A mio parere non indica affatto una volontà di disimpegno anche perché se il piano non dovesse dare le risposte necessarie non si potrebbe sottrarre  lui stesso al giudizio degli azionisti avendo condiviso ogni scelta. E il dopo Bompard avrebbe ben altre conseguenze. Leggi tutto “Grande distribuzione e multinazionali. A ciascuna la sua strategia…”

Federdistribuzione. Adesso tocca a loro…

I tre saggi incaricati sono al lavoro per individuare il nuovo presidente di Federdistribuzione. L’ultima consiliatura non è stata particolarmente fortunata. Già per Claudio Gradara succedere a Cobolli Gigli e alla sua immagine pubblica non era facile. Poi è successo un po’ di tutto.

È comunque un passaggio importante perché mai come in questo momento il comparto ha bisogno di visione, unità e, soprattutto,  di incrementare il suo peso specifico a livello politico. C’è da governare il post lockdown, la crisi e la riorganizzazione dei formati distributivi e del non alimentare, la concorrenza con la rete e gestire il prossimo negoziato sul lavoro festivo. C’è anche il rinnovo del contratto di lavoro con l’inevitabile competizione nella rappresentanza di imprese.

Tanta carne al fuoco attende Federdistribuzione che, a giudizio di molte aziende associate, non è riuscita ad imporsi con la necessaria autorevolezza. E non certo per cause legate alla struttura che conta ottimi professionisti. È, come in tutto il mondo della rappresentanza, un problema di volontà politica, di visione e di scelte di uomini chiamati a rappresentare interessi diversi tra imprese.

La regola, non scritta ma praticata, che una leggenda metropolitana assegna alla lucidità luciferina di Bernardo Caprotti di privilegiare la creazione di un vertice  federale mai troppo forte per non “disturbare” la libertà di movimento delle singole imprese impegnate a competere tra di loro  potrebbe però venire meno proprio in forza del mutamento del contesto e grazie alle prossime votazioni. Leggi tutto “Federdistribuzione. Adesso tocca a loro…”

Grande distribuzione. Multinazionali fuori portata per i top manager italiani?

Il CEO di Carrefour italia Gerard Lavinay lascia il timone a Cristophe Rabatel proveniente dalla Polonia dove ha ottenuto le migliori  performance per il Gruppo e subito si scatena in rete un confronto sulla scelta di affidare la subsidiary della multinazionale francese in crisi di risultati ad un altro francese.

Premesso che Carrefour può scegliere chi le pare resta interessante allargare il discorso alle ragioni che impediscono al management italiano (middle e top) di crescere e affermarsi ai più alti livelli della Grande Distribuzione nazionale e continentale.

Serve a poco parlare di scelte scontate quanto sbagliate o scandalizzarsi perché ad un francese che non ha raggiunto i risultati attesi dalla casa madre segue un altro francese. Né fare inutili parallelismi con Auchan che resta una realtà completamente diversa che in più ha deciso, a differenza di Carrefour,  di lasciare il nostro Paese.

Ribadisco che  in tutta Europa (quindi Italia compresa) manager di altissimo livello in grado di occupare quella posizione in questa fase, ritenuti idonei   per il  CEO Alexandre Bompard e pronti a rischiare la propria carriera, non ne vedo. In  secondo luogo  mi continua a stupire chi confonde la cultura di una subsidiary company sul piano mangeriale e organizzativo facente parte di una multinazionale presente in 30 Paesi con 490.000 dipendenti e un fatturato di circa 90 miliardi con quello di una pur importante realtà locale che vive tutt’altre problematiche. Impossibile fare paragoni. Sono mondi diversi, culture diverse e modalità decisionali assolutamente diverse. Nel bene e nel male. Leggi tutto “Grande distribuzione. Multinazionali fuori portata per i top manager italiani?”

La Grande Distribuzione tra innovazione, voglia di crescere e vincoli culturali

Com’era prevedibile l’intuizione di Conad di accelerare la sua crescita attraverso l’acquisizione delle attività di Auchan in Italia ha spiazzato i concorrenti e contribuito a rimettere in moto l’intero puzzle della Grande Distribuzione del nostro Paese. Il lockdown poi  ha mostrato limiti e potenzialità dell’intero comparto.

Alcune nuove multinazionali premono per entrare  in cerca di acquisizioni, diverse realtà nazionali, anche importanti,  sono (di fatto)  in vendita e la necessità di concentrarsi per crescere e competere resta l’unica traiettoria possibile.

Carrefour “pensiona” il suo CEO in Italia Gerard Lavinay che non aveva ancora concluso il difficile piano di riorganizzazione e lo sostituisce con Christophe Rabatel in arrivo dalla Polonia dove ha realizzato le migliori performance  tra i Paesi europei (con presenza  della multinazionale francese) anche in forza dell’accordo con Allegro, il marketplace leader in Polonia.

Gerard Lavinay con grande sensibilità chiosa sornione su LinkedIn, in risposta all’articolo sul blog di Emanuele Scarci (https://bit.ly/3h85vIN): “Non si guarisce da una lunga malattia con poche bende. Le fondamenta sono gettate, la strada da percorrere è tracciata ma disseminata di insidie che Christophe Rabatel sarà sicuramente in grado di superare, una ad una.”

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