Conad/Auchan. La distanza siderale tra due mondi…

Recentemente  mi ha colpito un tweet con una definizione interessante e centrata, a mio parere,  sulla figura dell’imprenditore: “È il motore del sistema economico e il fulcro del progresso… sono persone che hanno visto possibilità dove altri non vedevano nulla, che hanno colto delle opportunità dove altri esitavano, che hanno perseverato quando altri rinunciavano”.

E questo è un aspetto poco considerato nella vicenda Conad/Auchan. Il ruolo, l’impegno e il sogno degli oltre 2500 imprenditori del mondo Conad di fronte ad una sfida di quelle dimensioni. Ad ascoltare il giudizio del sindacato di categoria c’è da preoccuparsi. Additati come personaggi inaffidabili, dediti allo sfruttamento, incapaci di un’idea moderna di impresa chiusi nel loro egoismo e refrattari ai diritti altrui. Una caricatura, certo, ma un sentimento diffuso che coinvolge il giudizio sull’insieme della piccola e piccolissima impresa del nostro Paese che conta milioni di piccoli imprenditori.

Se ad oggi non abbiamo un accordo sul passaggio dalla ex Auchan è perché, di questo modello imprenditoriale, si insiste a sottolinearne i limiti presunti,  non i suoi punti di forza. Soprattutto, nel caso in questione, dove l’imprenditore, avendo ben compreso la sua solitudine, si consorzia anche per potersi permettere di ingaggiare manager di prim’ordine e dotarsi di strategie commerciali altrimenti precluse mettendo a fattor comune risorse ed esperienze.

La vera forza di Conad sono questi imprenditori con le loro contraddizioni, le loro ruvidità e il loro orientamento al risultato. Per una cultura passatista più legata agli schemi del 900 un modello da contrastare. Con la grande impresa e con le multinazionali sembra più facile. Quando qualcosa non funziona basta scaricare il conto sulla spesa pubblica. Leggi tutto “Conad/Auchan. La distanza siderale tra due mondi…”

Lavoro e futuro prossimo. Occorre riflettere su cosa c’è dietro l’angolo

Fuori dalle aziende e dalla scuola c’è chi si sta addestrando, seppur inconsapevolmente, per il lavoro di domani. Sempre più ragazzini maneggiano tablet, smartphone e altri sofisticati strumenti elettronici che li formano e li predispongono  nell’utilizzo pratico delle nuove tecnologie, nell’accettarne interattività e vincoli e, soprattutto, li spingono a considerare il tempo e le modalità utilizzate  come variabili assolutamente ininfluenti.

Restare connessi è normale e scontato. Lo si fa per un obiettivo o uno scopo. Oppure per restare in attesa di obiettivi e scopi altrui. Spazio, tempo e distanza contano sempre meno. Conta la connessione. O c’è o non c’è. L’azienda di domani, in parte, funzionerà anch’essa così. I più giovani non lo sanno ancora ma, oltre che digitali, stanno diventano compatibili.

Tecnologia sofisticata e connessa che trasmette disposizioni, tempi di esecuzione, modalità applicative. L’input, in questo contesto, può generarsi ovunque. Così come il controllo e le comunicazioni. Quindi, tre pilastri dei modelli contrattuali del 900, fordista e di quello attuale post fordista, verranno in parte (ovviamente non dappertutto) rimessi in discussione: il tempo, la distanza dalla gerarchia e dai colleghi, la postazione  di lavoro.

L’orario di lavoro, la sua retribuzione, il luogo dove la relazione con il capo e con i colleghi si manifestano, la distanza e le modalità da dove vengono impartiti criteri e disposizioni di lavoro potranno essere completamente stravolti. L’azienda stabilirà i suoi nuovi confini non più dentro un perimetro fisico  ben definito continuando  comunque a proporre al suo interno valori, linguaggi, modalità di crescita, di comportamento e di coinvolgimento. Leggi tutto “Lavoro e futuro prossimo. Occorre riflettere su cosa c’è dietro l’angolo”

The “Uberization” of lifelong learning. By Stella Sassi

The crisis has created, as one of its consequences, the need for an in-depth consideration of the role that lifelong learning plays for companies and its employee, especially for managers.

The premise is that we are faced with an epochal change of scenario in which the way to create value for companies, the managerial models and the skills they need to lead to this transformation are constantly evolving.

Technology and digitalization impose not only the acquisition of “technicality” but a change of approach and thinking that also touches the ways to do business.
In general, digitalization is still perceived as threatening because it is not clear how to exploit its opportunities and real potential.

Innovation is first and foremost an approach, a mentality that contemplates “try & error” and inevitably proceeds through experimentation. It is feasible to share and integrate, thinking in a “we” (versus me) optics even outside the organizational boundaries, knowing how to create ecosystems that include and enhance diversity.

The relationship with the customer is evolving towards a new balance that meets the need for customization and “experience” which are thanks to the possibilities offered by digitalization and technology.

“Traditional” organizational responses are under pressure: logic for processes and work for projects allow for greater efficiency and lower costs and organization charts, mansions, procedures, and so on. They describe less and less how they are created and who creates value in the company.

The pressure on those who have leadership roles is very high: the demand is to move in uncertainty and ambiguity, make decisions quickly and in high-stress situations.
In addition, one of the main functions of leadership is that of integrator: visions, differences, processes, etc.

Obviously, a response to such problems can only be achieved by setting different ways and by constantly listening to and involving all the actors in the system.
It is no longer the time for standardized proposals dropped from above. The crisis of business schools in almost every part of the world also comes from this.

In Italy, we have an additional problem because participation in training initiatives of Italian managers continues to be lower than our colleagues from the rest of Europe. Indeed, if the average of managers participating in training initiatives, both in their company and individually, is 30% across Europe, in Italy it is 18%.

The most advanced countries in this field are England and the Netherlands respectively with 35% and 31%. The countries we generally refer to however overcame us of at least 4 points.

There is still a long way to go. First of all, it is crucial that this awareness grows not only between managers but also in companies. Major training activities will be more and more on not just basic skills but also on new needed skills, delivered through a mix of complementary delivery ways (seminars, workshop, speech, …) and blended (virtual workshops, webinars, training pills, etc.) on demand, available on multiple devices.

Speaking of soft skills, “physical presence” will still be a key tool, which is increasingly becoming a moment of exchange of experience, co-creation and networking. In other contexts, conversely, it is possible to speak of possible “uberisation” of training.

Learning costs and technology platforms allow a different approach for economies of scale and engagement. Following the evolution of what is happening with MOOC in universities in many parts of the world, it is very likely that future millennials and companies will have different tools and contents available.

Personally, I believe that today, it is necessary to work to grow awareness that lifelong learning, from the end of school to retirement is a duty that determines professional growth, continuous adaptation of one’s own technical and personal skills and thus greater employability. The delivery methods, therefore, can also change if they are fit for the purpose.

Who provides adult training has the duty to experiment new proposals and new methodologies. Lifelong learning is a “duty” that we owe to ourselves and it is the key to face the new challenges posed by a completely new economic and social environment.

Grande distribuzione. La fragilità del middle management nelle ristrutturazioni aziendali

In tutta la grande distribuzione in Italia non ci sono più di settecento manager con la qualifica di dirigente. L’ossatura portante delle imprese è costituita ormai da tempo  da un’altra altrettanto importante figura professionale: i quadri.  Se togliamo i top manager e poco altro  non c’è molta differenza concreta tra le due categorie.

Negli ultimi quindici anni c’è stato un depauperamento evidente  di responsabilità e di ruolo del dirigente e questo ha reso ancora meno marcate le differenze. E, contemporaneamente ha reso più conveniente per molte imprese inserire quadri in ruoli che prima erano ritenuti dirigenziali.  Nell’ultimo periodo sembra esserci una modesta inversione di tendenza nel terziario di mercato ma non nella GDO. Anzi.

I Contratti nazionali continuano a tenerli rigidamente separati. I primi hanno un loro contratto specifico, i secondi, per storia e tradizione costituiscono la parte apicale dell’inquadramento unico. Sono però gli aggettivi a fare ancora la differenza. Il quadro,  nei testi contrattuali, ha funzioni di “notevole” importanza e autonomia, il dirigente ha “ampi” poteri e “rilevante” autonomia. Così almeno è scritto.

In azienda, nel quotidiano, è un altro film. Sono due popolazioni che, al loro interno, presentano sfaccettature e responsabilità ormai difficili da separare nettamente. Se non fosse per il welfare contrattuale, le differenze, nelle aziende del terziario, sarebbero minime. Il Quadro ha a disposizione Quas per l’assistenza sanitaria, Quadrifor e Forte per la formazione e Fonte per la previdenza, il dirigente ha a disposizione FASDAC per l’assistenza sanitaria, Mario Negri e fondo Pastore per la previdenza e Cfmt e Fondir per la formazione. Welfare più costoso per l’azienda e il dirigente, certo, ma di altro livello per questi ultimi. Leggi tutto “Grande distribuzione. La fragilità del middle management nelle ristrutturazioni aziendali”

Conad/Auchan. La fredda logica dei numeri….

Com’era prevedibile siamo arrivati al dunque. La procedura partita per le sedi centrali chiarisce definitivamente  il problema principale di questa acquisizione. Non devono meravigliare tutti coloro che fingono di cadere dal pero. Succede sempre così. Otto mesi buttati al vento in cui si è scelto di discutere di altro. La procedura riporta tutti con i piedi per terra. Il conto alla rovescia è partito.

Se si continuerà a perdere tempo ci saranno presto  817 licenziamenti senza alternative. Personalmente non ho alcuna intenzione di seguire i profeti di sventura. Ho detto fin dall’inizio che il problema centrale sarebbe stata la gestione degli esuberi delle sedi e poco di più  e che lo sforzo principale andava fatto su questo. Molti hanno preferito parlare d’altro. Rancori di settore, dirigenti ex Auchan messi da parte, sindacalisti in cerca di nuove identità hanno fatto il resto creando quella confusione inutile in un complesso processo di ristrutturazione.

I dirigenti, dopo le inutili polemiche scatenate a suo tempo da qualche gola profonda, hanno in larga parte sottoscritto l’accordo raggiunto da Manageritalia. L’ho giudicato un buon accordo allora prendendomi le critiche delle “Teresine del lago” di varia estrazione e confermo il mio giudizio oggi. Magari potessero sottoscriverne uno simile i quadri aziendali che invece rischiano di essere trasformati nel classico vaso di coccio compressi  tra esigenze diverse.

Lo stesso vale per la gestione degli esuberi. L’universo Conad ha limitate capacità di assorbimento. Vanno sfruttate fino in fondo ma non saranno sufficienti. Meglio puntare al ricollocamento esterno. Dovessi dare un consiglio a tutti coloro che non sono in grado di gestirsi autonomamente punterei deciso verso un accordo con le società di OTP aderenti all’AISO che è l’associazione di riferimento e che ne garantisce la serietà di approccio. Leggi tutto “Conad/Auchan. La fredda logica dei numeri….”

Rapprsentanza e rappresentatività del terziario italiano e futuro dei corpi intermedi

Confindustria ci sta provando sul serio. Ci sono stati alcuni incontri di approfondimento con i sindacati confederali per valutarne l’opportunità. Lo si capisce anche dalle mosse per blandire i sindacati di categoria, coinvolti direttamente o riservatamente, messe in atto da Confcommercio. “No pasaran” sembra essere  il grido di battaglia di quest’ultima.

Tra garanzie fornite da alcuni interlocutori sindacali e strategie di organizzazione il fronte  non è così compatto come vorrebbero farlo apparire. C’è tanto in ballo. Sul tavolo il contratto nazionale del terziario italiano per il momento in capo all’unica organizzazione datoriale che lo ha presidiato fino ad ora.

Un contratto più flessibile e conveniente di altri che ha attraversato indenne le stagioni delle rigidità sindacali e, per questo, è stato adottato dalla maggioranza silenziosa delle piccole imprese italiane per i loro lavoratori entrambi fuori dai radar della rispettiva rappresentanza datoriale e sindacale.

È chiaro che non c’è un rapporto diretto tra rappresentanza e rappresentatività. La prima è data dal numero di associati reali in termini complessivi e del loro peso da far valere sul terreno politico e istituzionale, la seconda dal peso effettivo in uno specifico settore o sotto settore.
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La gestione delle crisi aziendali tra vecchie contrapposizioni e nuove contraddizioni

Nelle  ristrutturazioni aziendali che hanno caratterizzato gli ultimi venti anni del 900 più che la qualità del piani di rilancio il criterio prevalente adottato dai rappresentanti dei lavoratori per valutarne la loro consistenza e fattibilità si concentrava sulla gestione dei soggetti più deboli. Ed era relativamente semplice identificarli.  Dalla individuazione delle persone, al repechage, ai trasferimenti e ai demansionamenti l’obiettivo  è stato sempre quello di lasciar  uscire volontariamente più persone possibili, prepensionarne altre e mantenere al lavoro il più alto numero di lavoratori con tutti gli strumenti disponibili.

Oggi è molto più difficile individuare con certezza i tempi, i risultati attesi ma anche qual’è la parte più debole in una ristrutturazione complessa anche perché  le persone coinvolte non sono tutte uguali. E non è più possibile considerarle tali.  Neanche nelle conseguenze. C’è una componente di aleatorietà sulla prospettiva lavorativa e di necessaria attenzione alla personalizzazione che un tempo erano sullo sfondo mentre oggi sono diventate entrambe centrali. Anche per queste ragioni le procedure di licenziamento collettivo che accompagnano i piani di ristrutturazione e rilancio tendono generalmente a concludersi con accordi sindacali laschi costruiti per sostenere, per quanto è possibile, i lavoratori che inseguono il loro destino della nuova realtà ma anche assicurandosi che gli incentivi economici concordati finiscano al massimo possibile nelle tasche di quelli costretti a lasciare  l’azienda evitando che si perdano in mille rivoli fiscali e contributivi come avverrebbe nel caso di un mancato accordo tra le parti. Mancato accordo che rischia di danneggiare economicamente quasi sempre i lavoratori e quasi mai l’azienda. E questo è un punto importante su cui occorre riflettere. E che apre solo ad infiniti contenziosi legali individuali che durano anni e dagli esiti incerti. Leggi tutto “La gestione delle crisi aziendali tra vecchie contrapposizioni e nuove contraddizioni”

My (più) Auchan. Siamo quindi prossimi ai titoli di coda…

L’incontro del 16 gennaio nella sede ex Auchan è stato utile e positivo. Le voci di corridoio e le interpretazioni peggiori sono state spazzate via  dalla versione ufficiale dei rappresentanti di Margherita distribuzione. I feedback sono tutti o quasi fondamentalmente positivi. Sono emersi tre elementi importanti.

Innanzitutto la volontà di Conad di farsi carico delle conseguenze sull’occupazione mettendo così a tacere i mestatori di professione. Non era affatto scontato. L’andamento sempre più negativo dell’azienda (- 10%  delle vendite sull’anno prima e -6% a parità di rete poteva portare a decisioni ben più drastiche. Al “così fan tutti”. Non era difficile. Sarebbe bastato definire il perimetro da mettere in sicurezza e una tempistica rispettosa delle procedure di legge. E poi lasciare alla bad company il compito di gestire gli effetti collaterali.

Chi ha attaccato a testa bassa  il claim “persone oltre le cose” per partito preso oggi dovrebbe almeno riflettere. Temo però che non sarà così. Un secondo punto importante sono i tempi dell’operazione. L’intero 2020. Non è cosa da poco. Almeno sulla carta.

In una situazione comunque di grande disagio imposto dalla situazione avere un anno di tempo significa molto. Soprattutto per chi non ha soluzioni a portata di mano. Il terzo punto importante è che le previsioni peggiori evocate da Gianluigi Baroni, consulente di Pwc “Se a fine 2020 ci saranno ancora 300-400 addetti significa che il piano non ha funzionato” e riportate nell’articolo di Emanuele Scarci (http://bit.ly/2FZiRH1) fanno pensare che i numeri finali ritenuti dall’azienda l’ipotesi peggiore sono ben diversi da quelli evocati dai profeti di sventura. Leggi tutto “My (più) Auchan. Siamo quindi prossimi ai titoli di coda…”

Piccolo commercio e strumentalizzazioni pseudo ambientaliste

Quando si parla di commercio (piccolo o grande che sia) sul piano del suo contributo alla vivibilità di una città  prevale uno strano modo di ragionare. È come se le stagioni ne dovessero influenzare gli argomenti. In primavera-estate prevale la consapevolezza che il commercio resta un presidio che frena la desertificazione delle periferie e dei centri storici.

Se ne sottolinea il ruolo sociale spesso in alternativa alla grande distribuzione per chi vive nelle città, se ne salvaguardia l’autenticità e l’utilità per l’intera comunità. Si evita accuratamente di parlare dei problemi che lo affliggono e delle soluzioni possibili per rilanciarlo. Ci si limita a contrapporlo alla grande distribuzione o ai giganti della rete. Come se il problema fosse lì.

Non si affrontano temi cruciali come la crescita degli affitti nei centri storici, la questione fiscale e nemmeno la difficoltà nei passaggi generazionali. O come attrarre i giovani per rilanciare  tutti i mestieri collegati. E se questo a livello nazionale è un problema fortunatamente a Milano e in Lombardia  il rapporto tra le associazioni dei commercianti, a cominciare da Confcommercio, e le istituzioni è fortunatamente positivo, attento e collaborativo. Leggi tutto “Piccolo commercio e strumentalizzazioni pseudo ambientaliste”

Grande distribuzione. Coop Lombardia costretta alla disdetta del contratto integrativo aziendale…

La prima disdetta di un contratto integrativo aziendale nella Grande Distribuzione è datata 2004. Ricordo ancora i partecipanti a quella riunione che avvenne presso lo studio dell’Avv. Fernando Pepe professionista scelto proprio per la sua grande capacità di approfondimento e di proposta  su temi particolarmente innovativi in materia di lavoro.

Billa aveva da poco acquisito Standa Commerciale. I fatturati erano in pesante caduta, il costo del lavoro e l’assenteismo  viaggiavano a livelli insostenibili. Avevamo provato a sottoporre al sindacato nazionale di categoria il problema ma tutte le (poche) disponibilità individuate non fornivano riposte adeguate alla situazione.

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