Rinnovi dei contratti nazionali e strategie sull’inquadramento professionale

Trovo interessante che si ritorni a parlare di evoluzione dei sistemi di inquadramento professionale in vista dei rinnovi contrattuali. Maurizio Sacconi riprende alcune idee (http://bit.ly/2D1zeRR) da cui, credo, possa partire una riflessione meno scontata.

Fino ad oggi, nelle imprese,  ha prevalso la preoccupazione di mettere mano a ciò che dagli anni 70 del secolo scorso ha caratterizzato questo tema ad ogni rinnovo del CCNL corrispondente. La paura di riaprire un contenzioso legale infinito ha spinto le differenti parti datoriali a evitare di concretizzare più di tanto quanto andavano via via stabilendo le sempre generiche intese contrattuali nazionali in numerose categorie.

Contemporaneamente nelle singole aziende e quindi in quasi tutti i settori si sono sviluppati sistemi nuovi e coerenti che seppur gestiti unilateralmente dalle direzioni HR rispondevano alle evoluzioni delle esigenze sia organizzative che professionali. Si è realizzato, così negli anni, una decisa ripresa  di autorità delle imprese sul tema che, pur tenendo formalmente a riferimento il CCNL applicato, ha spostato il suo baricentro e le sue dinamiche concrete in azienda con riferimenti retributivi nel comparto di appartenenza dettati più dal mercato e quindi spesso disomogenei.

Se a questo  sommiamo la distanza dei CCNL con le retribuzioni delle categorie più professionalizzate e i profondi cambiamenti organizzativi che hanno attraversato le imprese  ci rendiamo immediatamente conto del declino di ruolo e di peso che il CCNL, ha concretamente subìto. E l’arrivo del salario minimo non lascia presagire alcun rafforzamento del modello che ha avuto il suo massimo splendore nel secolo scorso. Leggi tutto “Rinnovi dei contratti nazionali e strategie sull’inquadramento professionale”

Etica del business, coscienza, professionalità degli HR e responsabilità sociale delle imprese

Che sia per una ristrutturazione, una riorganizzazione, un passaggio di proprietà o un capriccio del capo, il licenziamento è come una sentenza di Cassazione difficile da metabolizzare se non nel tempo. Individuale o collettivo poco importa. Non c’è alcuna ragione logica che lo possa rendere meno drammatico per chi lo subisce. Soprattutto nel momento della comunicazione.

Licenziare è anche un “mestiere” demandato in genere, nelle aziende più strutturate,  ad una figura professionale particolare: l’uomo dell’HR. Nell’interessantissimo libro “il futuro del lavoro spiegato a mia figlia” di Pino Mercuri DHR di Microsoft, l’autore attribuisce a suo padre la definizione più semplice e immediata della sua attività: assumere e licenziare. Non è solo questo il lavoro dell’HR, ovviamente. Ma se dovessimo lanciare una survey nel mondo del lavoro chiedendo a tutti una sintesi della job descriprion HR non avremmo risposte molto diverse. Assumere e licenziare.

Da ormai troppo tempo,  la prima caratteristica è spesso condivisa con altri colleghi o con società specializzate esterne, la seconda lasciata volentieri all’HR di turno. O agli avvocati. A licenziare si impara. Spesso addirittura ci si abitua. Per alcuni è un esercizio di potere personale. Forse l’ultimo rimasto ad una professione spinta forzatamente ad un  declino di ruolo dopo anni di euforia. Per altri un semplice dovere. Per altri ancora una sensazione alla quale non si è mai preparati per quanto sempre simile a sé stessa.

Devi colpire duro, sotto la cintura  mentre hai di fronte la persona nel momento in cui è più fragile. Le parole aiutano chi le pronuncia ma non attutiscono il colpo a chi lo riceve. E non è questione di ruolo. Dal CEO alla commessa fa male allo stesso modo. Sono momenti in cui ti scorrono davanti errori e successi come in un  film. Quello che hai costruito anche sul piano personale lo vedi crollare improvvisamente. Tutto sembra sbriciolarsi. Non capisci cosa ti ha portato lì. E mentre cerchi di uscire dalla morsa, chi ti sta di fronte, pronuncia e pesa parole sempre uguali a sé stesse. Assumere e licenziare. Leggi tutto “Etica del business, coscienza, professionalità degli HR e responsabilità sociale delle imprese”

Grande Distribuzione e media. La ragione della scarsa visibilità

La vicenda Conad/Auchan ha portato in superficie la vexata questio della scarsa visibilità di tutto ciò che riguarda la Grande Distribuzione sui media, soprattutto nazionali.

La sollecitazione di Luigi Rubinelli, un guru della comunicazione di settore che rispetto molto,  mi ha stimolato a riflettere.  È vero la GDO nel suo complesso  è un nano dal punto di vista politico e della comunicazione. È un comparto che non è mai riuscito a trasmettere all’esterno una identità comune.

La stessa Federdistribuzione ci ha provato per anni  ma alla fine ha dovuto ripiegare su un più gestibile “minimo comun denominatore”. Niente di più. Troppi personalismi e troppi interessi in conflitto tra le diverse aziende da gestire. Forse potrà cambiare qualcosa in un futuro prossimo  con tutti i “grandi vecchi”, protagonisti del successo del comparto e a cui comunque si deve l’imponente fase di crescita, ormai praticamente a fine corsa.

Non dimentichiamo che buona parte della crescita del passato si è concretizzata più per capacità di relazione con le istituzioni locali che per creatività o innovazione  commerciale dell’insegna in sé. La stessa vicenda che ha coinvolto recentemente i vertici di un’azienda varesina dimostrano che certe pratiche sono tutt’altro che archiviate. Leggi tutto “Grande Distribuzione e media. La ragione della scarsa visibilità”

Conad/Auchan. Il dito e la luna

Ci sono molti modi per osservare una vicenda complessa come quella che vede coinvolti la multinazionale francese Auchan e Conad. C’è chi spera che se pur costretta sulle montagne russe quest’ultima riesca a portarla a termine e formare così un punto di riferimento importante per la grande distribuzione italiana e chi mira, strumentalmente o meno, a trascinare in una palude tipicamente italiana l’intera vicenda.

Sergio Marchionne dal palco del workshop Ambrosetti di Cernobbio, nel 2014, invitato a parlare del nostro Paese, decise di esordire citando Charles Osgood, un anchorman della CBS:” Questa è la storia di 4 persone, chiamate ognuno, qualcuno, ciascuno e nessuno. C’era un lavoro importante da fare e ognuno era sicuro che qualcuno lo avrebbe fatto. Ciascuno poteva farlo, ma nessuno lo fece, qualcuno si arrabbiò perché era il lavoro di ognuno. Ognuno pensò che ciascuno potesse farlo, ma nessuno capì che ognuno l’avrebbe fatto. Finì che ognuno incolpò qualcuno perché nessuno fece ciò che ciascuno avrebbe potuto fare”.

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Conad/Auchan. Dopo il pronunciamento dell’antitrust il menù prevede uno “spezzatino” indigesto.

L’accezione negativa che si è più volte assegnata al termine “spezzatino” quando si parla di concentrazioni e cessioni di punti vendita rende difficile comprenderne l’inevitabilità in casi come questo.

Conad si è lanciata in questa operazione con due obiettivi. Innanzitutto crescere. Solo operazioni di questa portata e con questi rischi  lo consentono nei tempi richiesti oggi. In secondo luogo essere il campione nazionale perno centrale del “salvataggio” di una fuga costruita a tavolino dalla multinazionale francese proprio per evitare di trovarsi impantanati in una operazione di sganciamento dal nostro Paese con costi incalcolabili che avrebbe tra l’altro  occupato le cronache dei media per settimane. 

L’obiettivo, per certi versi riuscito,  era di lasciare il Paese. Per fare questo la formula “vista e piaciuta” era inevitabile così da scansare una lunga due diligence dalle prospettive incerte. Immaginare un addio con tanto di “spezzatino” in salsa francese offerto al banchetto della GDO nazionale avendo in pancia diciottomila posti di lavoro a rischio avrebbe  coinvolto anche la stessa immagine della Francia ponendola, insieme all’azienda,  in balìa degli eventi  che, con i rischi legati alla superficialità della politica di oggi, hanno sicuramente spinto e convinto Gérard Paul Louis Marie-Joseph Mulliez, l’anziano patron di Auchan, a programmare la ritirata lasciano tutto (e di più) sul campo.

Il  rischio di  scatenare una riedizione della Bataille des Alpes fra il Regno d’Italia e la Francia del  giugno 1940 rischiava di prendere corpo. Visti gli altri casi che affollano i media in questo periodo, una possibilità  sicuramente concreta.  Leggi tutto “Conad/Auchan. Dopo il pronunciamento dell’antitrust il menù prevede uno “spezzatino” indigesto.”

Conad/Auchan. Pur nella sua complessità, il quadro sembra si stia delineando…

Sono sempre stato  convinto del ruolo centrale che il sindacato di categoria potesse e dovesse assumere nella gestione di questa complessa vicenda anche quando mi sono permesso di avanzare critiche per come una parte dello stesso aveva deciso di posizionarsi al suo inizio.

Ho avuto fin da subito  l’impressione che si sottovalutasse il mondo Conad, la sua forza intrinseca, l’alleato con cui quest’ultima aveva deciso di affrontare la partita  e quindi la determinazione ad andare fino in fondo in questa operazione pur decidendo di assumersi grandi rischi. Ma anche che si considerasse il modello organizzativo e di business più un residuo del passato da superare che non il destino stesso di buona parte della GDO vincente fatta anche di piccoli associati, franchising, cooperative e non solo di grandi imprese tradizionali.

Modelli che bilanciano diversamente diritti e doveri, che distribuiscono diversamente i rischi di impresa e che imporrebbero strategie sindacali tese a tutelare il lavoro più che il posto di lavoro prodotto dalla vecchia cultura fordista. I miei suggerimenti (per quanto poco ascoltati e vissuti spesso come ostili) tendevano ad indicare ai rappresentanti dei lavoratori il rischio di non essere sufficientemente attrezzati per percorrere una vicenda che si presentava completamente diversa dal passato.

E che, percorrerla, avrebbe imposto cambiamenti difficili da accettare. L’esperienza stessa dei rinnovi contrattuali nazionali e delle ristrutturazioni aziendali in corso, tutti all’insegna della riduzione del costo del lavoro, avrebbero dovuto far pensare che, in un caso come quello della multinazionale francese in disarmo, la storia si sarebbe  ripresentata moltiplicata nella sua drammaticità.

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Conad/Auchan. Evitare la tempesta perfetta…

La vertenza Conad/Auchan sta entrando nella sua fase più delicata. Almeno sul piano sindacale. Inutile nascondere che i rappresentanti dei lavoratori temono che gli esuberi, alla prova dei fatti, si potrebbero dimostrare ben superiori a quelli dichiarati fino ad oggi.

I partner commerciali che vogliono entrare in partita fanno trapelare notizie contraddittorie  sul costo del lavoro nei PDV di loro interesse mentre dai territori alcuni imprenditori del mondo Conad cominciano a fare i conti sugli organici delle filiali in trasferimento, sulla reale possibilità di una integrazione indolore o sul possibile arrivo di concorrenti agguerriti nelle loro aree di competenza.

C’è molto nervosismo che non aiuta a comporre un quadro di riferimento certo. Contemporaneamente in BDC cresce il disorientamento dei manager, dei quadri e degli impiegati. Dalle prese di posizione e dal numero degli interventi  in rete sta prendendo corpo una situazione di crescente tensione di cui non è difficile prevedere lo sbocco. Lo stesso passaggio delle 109 filiali già programmato è vissuto come un rischio di minore impegno di Conad sul resto dell’operazione.

Indipendentemente dalla composizione della compagine societaria e dalla sua possibile evoluzione dopo il passaggio delle 109 filiali, Conad sarà comunque quella che subirà il carico maggiore in termini di pressione e immagine. Difficile pretendere  dall’altro socio una risposta su terreni di responsabilità sociale che esulano dalla natura più speculativa alla base della sua partecipazione a questa operazione (non necessariamente da intendersi in un’accezione negativa). Quindi capisco le difficoltà di comporre interessi e esigenze differenti.

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Conad/Auchan. Il diritto di far sentire la propria voce…

Perdonate la franchezza ma l’apparizione in TV durante la trasmissione “in mezz’ora” di Lucia Annunziata è stato un flop. Se la risposta alle trasmissioni populiste delle reti Mediaset sono queste, non siamo messi bene. Le tesi dietrologiche  più ardite si stanno accavallando.

Da “Conad la rossa” di cui Lucia Annunziata è naturalmente succube, alla forza degli investimenti pubblicitari che tutto possono. Nessuno che rifletta sulla banalità della realtà. Una pessima trasmissione gestita malissimo dove non si è capito praticamente nulla. Per stare in tema sembrava un supermercato delle disgrazie del mondo del lavoro. Messe lì alla rinfusa in un cestone tra lineari come fossero l’angolo delle occasioni.

Lucia Annunziata ha probabilmente la coda di paglia come la maggioranza dei giornalisti che provengono dall’estrema sinistra sessantottina. Per questo organizza riti propiziatori che evocano una stagione ormai alle spalle. Non c’è alcun 68 in programma né autunni caldi di vecchio conio. Mettere in fila situazioni diverse non dando il tempo per argomentarle e per ipotizzare delle soluzioni praticabili fa solo male a chi è coinvolto suo malgrado in  queste rappresentazioni.

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Conad/Auchan. Comunicazione di metodo ai lettori del blog.

Non tutto ciò che arriva al blog, viene reso pubblico. È nelle mie facoltà e le esercito fino in fondo. Come potete immaginare arriva di tutto. Politici di periferia in cerca di spazio, dirigenti infuriati per come sono trattati, gole profonde che non hanno il coraggio di esporsi con nome e cognome. Sfoghi legittimi di chi si sente tradito. Persone che temono per il loro futuro.

Il mio filtro come owner è doveroso. I miei pezzi  passano  su LinkedIn, Facebook, Twitter e, ovviamente sul blog. Il mio publico è formato da manager, giornalisti, quadri, professionisti e gente comune con i quali dialogo da dieci anni. Migliaia di persone che, solo in parte, provengono dalla GDO interessati alle mie opinioni sugli argomenti che tratto con maggiore frequenza. La vicenda Conad/Auchan è una di queste. Purtroppo non siamo in molti ad occuparcene. O ad avere la competenza per farlo.

Non ho mai nascosto il mio punto di vista senza se e senza ma. Spero che l’operazione promossa  da Conad vada in porto e realizzi gli obiettivi che si propone. Mi rendo conto delle contraddizioni e degli errori di percorso che trovo giusto raccontare e sottolineare  e della necessità che a tutte le persone coinvolte vada data un’opportunità di lavoro dentro o fuori il nuovo perimetro.

Di questo scrivo in qualità di esperto di gestione di piani di riorganizzazione aziendale che, a fronte alle problematiche che emergono, fa delle  proposte agli attori in campo. Proposte già personalmente sperimentate in passato.

È una vicenda che mi ha stimolato fin dall’inizio sia perché attraversa il settore sul quale scrivo maggiormente sia perché la trovo paradigmatica dell’evoluzione della GDO che prevederà ulteriori passaggi di mano, concentrazioni, riorganizzazioni con forti ricadute sulle persone sul piano quantitativo e qualitativo.

Continuerò a farlo semplicemente esprimendo le mie idee. Nessuno è obbligato a leggerle né a condividerle.

Buona lettura.

L’addio all’Italia di Edgard Bonte Presidente di Auchan Retail…

Dopo trent’anni di permanenza nel nostro Paese Auchan ha deciso di andarsene. Il Presidente di Auchan Retail Italia  con un discorso in francese di pochi minuti comunica la decisione e  le motivazioni ai diciottomila collaboratori italiani. Credo sia utile conservare l’intervento a futura memoria  per chi, esterno alla vicenda, desiderasse poterlo valutare. Inutile, credo, aggiungere parole….